Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1272 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/01/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 25126-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , cf. 01109590214, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 90/06/2020 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 30.01.2020;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 7 novembre 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Accise – Energia elettrica – Autoproduzione – Cessione ai soci – Sanzioni e interessi
Dalla pronuncia impugnata e dal ricorso si evince che l ‘Agenzia delle dogane e dei monopoli notificò alla RAGIONE_SOCIALE un avviso di pagamento confermativo e un atto di irrogazione di sanzioni pecuniarie, oltre accessori, per il mancato pagamento delle accise sulla energia elettrica emessa in consumo nell’anno 2010 e somministrata alle proprie consorziate.
Gli atti trovavano genesi negli accertamenti miranti a verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della esenzione dall’accisa, ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), del d.gs. n. 504/1995, all’esito dei quali emerse come la società non fosse autoproduttrice di energia, non conducendo in proprio alcun impianto azionato da fonti rinnovabili, né risultando autoconsumatrice, per aver al contrario ceduto l’energia a soggetti terzi, tali dovendo qualificarsi i consorziati.
La società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, che con sentenza n. 114/02/2018 accolse le ragioni della contribuente limitatamente alle sanzioni e agli interessi, confermando invece l’avviso di pagamento quanto alla debenza dell’imposta.
La Commissione tributaria regionale del Veneto, adita da entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, respinse i rispettivi appelli con sentenza n. 90/06/2020. Il giudice regionale, per quanto di interesse, dopo aver evidenziato che la contribuente aveva impropriamente dichiarato di essere autoproduttrice di energia elettrica, ceduta a terzi, così escludendosi anche il presupposto dell’autoconsumo, ed aver pertanto qualificato la RAGIONE_SOCIALE come mero ‘operatore di mercato’, ha confermato l’atto impositivo relativo al recupero delle accise. Ad un tempo però ha ritenuto applicabile l’art. 10 comma 2, l. 212 del 2000, riconoscendo il legittimo affidamento che la società aveva riposto nei vari rapporti da essa intrattenuti con l’Agenzia delle dogane. Ha pertanto confermato la sentenza di primo grado anche in riferimento alla non debenza della sanzione e degli interessi.
L’Agenzia delle dogane ha censurato la sentenza, affidandosi ad un unico motivo e chiedendo la cassazione della decisione, cui ha resistito con controricorso la società.
All’esito dell’adunanza camerale del 7 novembre 2024 la causa è stata decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Erroneamente la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che al caso di specie trovasse applicazione l’art. 10, con conseguente non debenza delle sanzioni.
Il motivo è fondato.
Deve premettersi che in tema questa Corte ha affermato che le società consortili costituite per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili, come tutte le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, nonché le società cooperative, sono obbligate al pagamento del tributo, a norma dell’art. 53, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995, mentre ne sono esentate, ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), dello stesso decreto (nel testo applicabile ratione temporis , sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. m, del d.lgs. n. 26 del 2007) solamente a condizione che l’energia, oltre che autoprodotta con impianti aventi potenza disponibile superiore a 20 KW, sia anche autoconsumata in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, con la conseguenza che le suddette società beneficiano dell’esenzione limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche per quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati (ex multis, per le società consortili, cfr. Cass., 16 ottobre 2019, n. 26142; 18 dicembre 2019, n. 33592; 11 settembre 2020, n. 18863; per le società cooperative, cfr. 23 agosto 2023, n. 25143; 9 gennaio 2024, n. 791).
Nel caso di specie l’esclusione in capo alla controricorrente tanto del requisito dell’autoproduzione, quanto di quello dell’autoconsumo , ha consentito di escludere l’esenzione della società dall’assoggettamento all’obbligo del pagamento dell’accisa. A tal fine in sentenza, nel corpo della motivazione, il giudice regionale riferisce che «a seguito di attività istruttoria posta in atto dall’Ufficio è emerso che la contribuente ha impropriamente usato il concetto di autoproduttore usufruendo di indebiti vantaggi sul piano fiscale non essendo esercente degli impianti di produzione di energia elettrica, ma soggetto che ha acquistato quote di energia elettrica
rivendendola ad altri soggetti giuridici: si tratta conseguentemente di mero operatore di mercato».
Dalla sentenza e dagli atti difensivi emerge peraltro che la società aveva beneficiato dell’agevolazione sulla base di dichiarazioni di denuncia di attività agli uffici doganali, con rilascio di licenza di attività come autoproduttore, qualifica messa successivamente in discussione a seguito di accertamento della GdF, al cui esito erano elevate le contestazioni per cui è causa. Costituisce dunque un dato rilevato dal giudice d’appello che le licenze erano state rilasciate alla RAGIONE_SOCIALE sulla base di dichiarazioni, rivelatesi poi inveritiere, rese dalla medesima contribuente.
Nonostante ciò, e nonostante la sentenza ora al vaglio della Corte abbia dunque negato il diritto all’esenzione d’imposta , ex art. 52, comma 3, lett. b) , d.lgs. n. 504 del 1995, di contro essa ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000, e dunque la sussistenza dell’affidamento del contribuente alle determinazioni degli uffici doganali, con conseguente esclusione dei presupposti per la comminazione delle sanzioni.
L’opzione della sentenza è tuttavia contraddetta da specifici precedenti tra l’Agenzia delle dogane e la medesima contribuente. Infatti, per la medesima annualità 2010, oltre che per l’anno 2011, questa Corte è già intervenuta, affermando che «4. Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, «la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall’art. 10, commi 1 e 2, della L. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni» (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora, Cass. n. 20055 del 2020; Cass. n. 10499
del 3/05/2018; Cass. n. 12635 del l’ 8/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 3/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009). 6. Il principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale «la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta» (Cass. S. U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione). 7. Nella specie, il motivo non coglie la ratio decidendi avendo la CTR escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del legittimo affidamento in capo alla società contribuente, , con riferimento all’atto di irrogazione delle sanzioni per il 2010, in quanto, “tenuto conto della specificità del caso concreto” non ricorrevano “né una incolpevole/errata interpretazione della normativa di riferimento né una non fornita da parte dell’Amministrazione corretta interpretazione del dato normativo (circostanza comunque valevole
non oltre la conoscenza della sentenza Cass. n. 23523/2008)”. In particolare, il giudice di appello ha escluso la configurabilità del legittimo affidamento in capo alla contribuente anche con riferimento all’anno 2010, in quanto all’esito della verifica fiscale del 2011, di cui al richiamato p.v.c. della G.d.F., era emerso che la RAGIONE_SOCIALE difettava ab origine della qualifica di autoproduttore e autoconsumatore, per cui l’Amministrazione aveva riconosciuto l’esenzione dall’accisa sulla base di dichiarazioni non veritiere rese dalla contribuente».
In sintesi, nel precedente richiamato, la Corte di legittimità ha affermato che ai fini della rilevanza dell’affidamento, previsto dall’art. 10 cit., e con esso l’esclusione dei presupposti per l’irrogazione della sanzione, gli atti dell’ufficio (o le circolari ministeriali), favorevoli al contribuente nonostante la violazione della disciplina, presuppongono che esse a loro volta non siano frutto di dichiarazioni inveritiere del contribuente medesimo.
Nel caso di specie il giudice regionale non ha tenuto conto di tale principio nella decisione della causa. Al contrario, con una illogica consequenzialità del ragionamento, per un verso ha rilevato che a seguito della verifica era emerso come la società, a differenza di quanto dichiarato dalla medesima, non fosse né autoproduttrice, né autoconsumatrice dell’energia elettrica, per altro verso ha parimenti riconosciuto la sussistenza dei presupposti per l’esonero dall’applicazione delle sanzioni.
Né assume rilevanza la difesa della controricorrente, che, denunciando la ricostruzione della difesa erariale, nella parte in cui ha inteso collocare le dichiarazioni non veritiere della società nell’alveo della condotta elusiva della società, ha affermato che tale addebito, non risultava mai rivolto nei gradi di merito e che comunque esso avrebbe richiesto il rispetto del rigoroso procedimento, a tutela del contraddittorio, prescritto dall’allora vigente art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
Al di là della riconduzione, effettivamente errata, della fattispecie nella vicenda elusiva, nel ricorso, come nei gradi di merito, l’Amministrazione erariale ha ben delineato e circoscritto i fatti, la condotta della società, la disciplina violata. A fronte di una corretta perimetrazione del fatto e delle norme effettivamente violate, gli artt. 52 e 53 del d.lgs. n. 504 del 1995,
l’inquadramento della vicenda come condotta elusiva e non come evasiva, quale essa è per davvero, costituisce solo una qualificazione giuridica, che non incide affatto sul denunciato errore compiuto dal giudice regionale, il quale prima ha riconosciuto l’ inesistenza dei requisiti della autoproduzione e autoconsumo dell’energia elettrica dichiarati dalla società, e poi, pur nella consapevolezza della mendacità delle suddette dichiarazioni, rese agli uffici doganali per acquisire le licenze e veder riconosciu ta l’esenzione dall’accisa, ha ritenuto che la società avesse incolpevolmente fatto affidamento sul rilascio delle licenze fiscali come autoproduttore.
Nel caso di specie, infatti, prima ancora che ancorato ad una questione di incolpevole affidamento, emerge principalmente la mendacità della qualificazione di autoproduttore, dichiarato agli uffici erariali dalla RAGIONE_SOCIALE, che pone la fattispecie del tutto al di fuori delle premesse stesse della teoria dell’affidamento e delle condizioni entro cui l’art. 10 l. n. 212 può trovare applicazione.
Il motivo va dunque accolto e la sentenza va cassata nei termini e limiti di cui in motivazione, con conseguente rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Veneto, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, provvederà al riesame delle ragioni d’appello della Agenzia delle dogane, tenendo conto dei principi di diritto enunciati.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, e rinvia la causa dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Veneto, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2024