Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26278 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 26278 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 27/09/2025
ICI IMU Accertamento Ricorso per revocazione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29013/2019 R.G. proposto da Fondazione ‘Ente Friulano di RAGIONE_SOCIALE‘ (80001770306) , in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dal prof. avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE EMAIL e dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; EMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di Lignano Sabbiadoro (83000710307), in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dal prof. avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL);
-controricorrente –
per la revocazione della ordinanza n. 8548/19, depositata il 27 marzo 2019, della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE; Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 10 giugno 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che la Corte accolga il ricorso per la revocazione dell’ordinanza n. 8548 del 2019 e rigetti il terzo motivo di ricorso proposto nel giudizio iscritto al n. 6903/2015 di RG limitatamente a sanzioni e interessi.
FATTI DI CAUSA
-Con un solo motivo rescindente, la RAGIONE_SOCIALE ricorre per la revocazione della ordinanza n. 8548/19, depositata il 27 marzo 2019, con la quale la Corte ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Lignano Sabbiadoro avverso la sentenza n. 364/01/14, depositata il 16 settembre 2014, della Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, che, a sua volta, aveva disatteso l’appello dell’Ente e, così, confermato la decisione di prime cure recante accoglimento delle impugnazioni proposte dalla parte, odierna ricorrente, avverso avvisi di accertamento ICI emessi dall’Ente impositore per gli anni dal 2006 a 2010.
1.1 -A fondamento del motivo di ricorso, assume la ricorrente che:
la Commissione tributaria provinciale di Udine aveva accolto l’impugnazione de i cinque avvisi di accertamento ICI rilevandone il difetto di motivazione;
-sull’appello principale del Comune e sulla riproposizione dell’eccezione di violazione del principio del legittimo affidamento -il giudice del gravame aveva disatteso l’appello principale e confermato la pronuncia (allora) gravata, con diversa motivazione, accogliendo
(anche) il motivo di ricorso da essa esponente riproposto in ordine alla ricorrenza di un legittimo affidamento;
esaminando il terzo motivo del ricorso per cassazione proposto dal Comune – censura che involgeva (proprio) il rilievo attribuito, nella fattispecie, al legittimo affidamento -con l’impugnata ordinanza l a Corte aveva ritenuto che: – il legittimo affidamento avrebbe potuto incidere su sanzioni ed interessi, non anche sul tributo, e sulla sua dovutezza; – la contribuente non aveva contestato la sussistenza dei presupposti impositivi; – sul punto relativo alle sanzioni non era stata formulata specifica domanda;
-quest’ultimo rilievo, pertanto, doveva considerarsi frutto di mero errore materiale in quanto essa esponente, nel depositato controricorso, aveva espressamente concluso, in via principale, per la dichiarazione di inammissibilità, ovvero per il rigetto, del ricorso proposto da controparte e «in via subordinata, in caso di decisione nel merito, disporre l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati in relazione ad interessi e/o sanzioni ai sensi degli artt. 10, comma 2, L. n. 212/2000, 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 e 8 D.Lgs. n. 546/1992.».
– Il Comune di Lignano Sabbiadoro resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Come anticipato, l’impugnata ordinanza ha pronunciato su ricorso proposto dall’Ente impositore avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia (n. 364/01/14, del 16 settembre 2014) che ne aveva disatteso l’appello rilevando che:
andavano condivise le conclusioni cui il giudice del primo grado era pervenuto, in punto di difetto di motivazione dell’atto impositivo,
ed avuto riguardo alla condotta tenuta dalle parti «per almeno diciannove anni … sulla convinzione della spettanza dell’esenzione»;
per di più, emergeva, nella fattispecie, «un concorrente vizio in sede istruttoria (a fronte dello Statuto dei diritti del contribuente, L. 212/2000, art. 10, comma 1, prevedente che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria siano ( ‘sono’ ) improntati al principio della collaborazione e della buona fede -… ). Consistente, quest’ultimo, nel non avere richiesto al contribuente, anteriormente all’emanazione dell’atto (al Comune noti ad acta e per facta concludenda gli antefatti, diffusamente riportati) informazioni/notizie utili, anzi necessarie, al corretto espletamento dell’istruttoria …»;
andava accolta la «riproposizione da parte della contribuente del motivo inerente il legittimo affidamento» atteso che «l’inattività dell’amministrazione nel lungo fluire del tempo (elemento quest’ultimo ravvisato ragionevolmente rilevante anche dalla giurisprudenza comunitaria ai fini della determinazione della ‘intensità’ del legittimo affidamento) si è sostanzialmente tradotta in un “dato positivo”, inteso dalla contribuente come precisa indicazione a cui adeguare il proprio comportamento fiscale, con determinazione di una “aspettativa legittima”.», così che «l’assoluta eccezionalità del caso porta ad escludere, in presenza del nesso di causalità, debenza d’imposta e di sanzioni».
-Accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso -che avevano riguardo ai rilievi svolti dal giudice del gravame in punto, rispettivamente, di difetto di istruttoria (primo motivo) e di difetto di motivazione dell’atto impositivo (secondo motivo) -la Corte, nell’esaminare il terzo motivo , -che recava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la denuncia di violazione e falsa applicazione della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 2, in quanto «Parte ricorrente contesta la pronuncia della Commissione tributaria
regionale nella parte in cui ha qualificato l’inerzia amministrativa come precisa indicazione a cui adeguare il proprio comportamento fiscale, riscontrando una “aspettativa legittima” in capo alla contribuente allorquando l’amministrazione muta orientamento in ordine all’applicazione di una norma nel caso concreto e, quindi, ritiene tassabili fattispecie che, in precedenza, aveva ritenuto non soggette ad imposta, mentre il nuovo indirizzo avrebbe dovuto valere solo per il futuro, escludendo, così, nel caso di specie, l’obbligo di versare l’imposta e le sanzioni. L’amministrazione sostiene che il fatto di non aver emesso alcun provvedimento impositivo per gli anni pregressi non aveva ingenerato alcun legittimo affidamento.», – si è così espressa: «Il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori e accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Cass. 9 gennaio 2019, n. 370; Cass. 25 marzo 2015, n. 5934). Il principio di buona amministrazione impone dunque di richiedere l’imposta per i periodi pregressi e nei limiti della decadenza, lì dove il legittimo affidamento avrebbe potuto, semmai, valere ai fini delle sanzioni, ma sul punto non è stata formulata una specifica domanda, mentre la contribuente non ha contestato la sussistenza dei presupposti impositivi.».
-Tanto posto, il ricorso per revocazione è ammissibile e sussiste il denunciato errore revocatorio.
3.1 – La Corte ha ripetutamente statuito che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (oggetto di richiamo nell’art. 391bis cod. proc. civ.), e idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà (sostanziale o
processuale), una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore revocatorio, pertanto, deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio (v., ex plurimis , Cass., 29 marzo 2022, n. 10040; Cass. Sez. U., 18 febbraio 2021, n. 4367; Cass., 11 gennaio 2018, n. 442; Cass., 29 ottobre 2010, n. 22171).
Più specificamente, si è rimarcato che l’errore di fatto rilevante deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, atti che la Corte può, e deve, esaminare direttamente, in correlazione ai proposti motivi di ricorso, ovvero alle questioni rilevabili d’ufficio (così Cass., 22 ottobre 2018, n. 26643; Cass., 5 marzo 2015, n. 4456; Cass., 18 febbraio 2014, n. 3820; v., altresì, Corte Cost., 31 gennaio 1991, n. 36); e che, ai fini della revocazione per errore di fatto, rilevano, pertanto, (anche) i vizi degli atti del procedimento allorché non se ne sia tenuto conto in conseguenza di un errore percettivo nell’esame degli atti del giudizio di cassazione, dovendosi, per converso, escludere dall’àmbito dell’errore percettivo quello di valutazione, e di interpretazione, degli atti processuali nonché l’ error iuris nell’applicazione delle corrispondenti disposizioni processuali, seppur oggetto di consolidati orientamenti interpretativi (Cass., 21 febbraio
2020, n. 4584; Cass. Sez. U., 11 aprile 2018, n. 8984; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29922).
3.2 – Nella fattispecie, il rilievo secondo il quale «il legittimo affidamento avrebbe potuto, semmai, valere ai fini delle sanzioni, ma sul punto non è stata formulata una specifica domanda» è pianamente il frutto di una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile siccome la domanda, cui il rilievo allude, doveva ritenersi presupposta in quanto la sentenza (allora) impugnata aveva, per l’appunto, rilevato -in accoglimento del motivo di ricorso che era stato riproposto in appello dalla parte -che «l’assoluta eccezionalità del caso porta ad escludere, in presenza del nesso di causalità, debenza d’imposta e di sanzioni».
4. -Se, dunque, l’impugnata ordinanza, in parte qua , va revocata, deve procedersi al riesame del terzo motivo di ricorso col quale, come si è già rilevato, la parte ricorrente aveva denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 2, deducendo, nello specifico, che -potendo operare il legittimo affidamento (al più) alle sanzioni ed interessi applicati – illegittimamente il giudice del gravame aveva posto a fondamento del reclamato legittimo affidamento la mera inerzia di essa esponente che, per vero, né aveva mai dato specifiche indicazioni in punto di spettanza dell’esenzione né aveva emesso atti impositivi dai quali poteva desumersi la spettanza di detta agevolazione.
Soggiungeva, poi, la ricorrente che alla stessa ratio decidendi della sentenza impugnata erano rimasti estranei i dati evocati da controparte con riferimento ad una nota della Fondazione (del 19 gennaio 2001) -resa in risposta ad una richiesta di chiarimenti di esso esponente (del 21 dicembre 2000) -e ad una delibera del Consiglio Comunale di Lignano Sabbiadoro (la n. 89/2006) che aveva ad oggetto un accordo
di programma tra Regione, Comune e Fondazione; atti, questi, dai quali alcun legittimo affidamento avrebbe potuto farsi conseguire.
La Corte, difatti, ha in più occasioni statuito che l’accoglimento del ricorso per revocazione che concerna solo un capo della decisione impugnata ne comporta la rescissione solo per la parte impugnata e per quelle strettamente connesse e/o conseguenziali, a cui, dunque, va limitato il giudizio rescissorio, essendosi formato il giudicato sulle altri parti del provvedimento, che non sono state oggetto di impugnazione (v. Cass., 21 novembre 2023, n. 32288; Cass., 12 maggio 2020, n. 8773; Cass., 27 novembre 1972, n. 3465), così che il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere, deve procedere ad un nuovo esame prescindendo dalle rationes decidendi della sentenza revocata (Cass., 16 maggio 2017, n. 12215; Cass., 15 febbraio 2001, n. 2181).
4.1 -Questo motivo deve ritenersi fondato, e da accogliere, con conseguente rigetto, anche per il profilo in questione, dell’originario ricorso della contribuente.
4.2 -Destituita di fondamento rimane, innanzitutto, l’eccezione di inammissibilità che era stata formulata dalla controricorrente con riferimento agli accertamenti in fatto operati dal giudice del gravame venendo, nella fattispecie, piuttosto in considerazione la (erronea) sussunzione dei dati assunti nella fattispecie astratta che delinea, per l’appunto, la rilevanza in iure del legittimo affidamento del contribuente.
4.3 -Indiscusso, poi, che il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente
dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (v., ex plurimis , Cass., 24 maggio 2022, n. 16691; Cass., 11 luglio 2019, n. 18618; Cass., 18 maggio 2016, n. 10195; Cass., 25 marzo 2015, n. 5934), la Corte ha avuto modo di rilevare che «i presupposti, che integrano una situazione di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria e che consentono al primo di invocarne la relativa tutela, possono così individuarsi: 1) -un’attività dell’Amministrazione finanziaria idonea a determinare una situazione di “apparente” legittimità e coerenza dell’attività stessa in senso favorevole al contribuente; 2) – la conformazione “in buona fede” (in senso soggettivo) -l’affidamento”, appunto – da parte di quest’ultimo alla situazione giuridica “apparente”, purché nel contesto di una condotta dello stesso (“buona fede” in senso oggettivo) – anteriore, contemporanea e successiva all’attività dell’amministrazione -connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del generale dovere di correttezza gravante sul medesimo (affidamento “legittimo”); 3) l’eventuale presenza di circostanze specifiche del caso concreto e “rilevanti”, idonee, cioè, a costituire altrettanti “indici” della sussistenza o dell’insussistenza dei predetti presupposti…» (v. Cass., 15 settembre 2022, n. 27242; Cass., 11 maggio 2021, n. 12372; Cass., 14 gennaio 2015, n. 537; Cass., 9 novembre 2011, n. 23309; Cass., 22 settembre 2003, n. 14000; Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576).
Si è, peraltro, rimarcato (anche) che il mero silenzio, serbato su di una interlocuzione avviata dal Comune (con la richiesta di chiarimenti) nei confronti del contribuente, che aveva sostenuto la non debenza (per esenzione) del tributo, non risulta idoneo a giustificare un legittimo affidamento, non assumendo carattere univoco (così Cass., 15 settembre 2022, n. 27242).
E, in più complessivi termini, le Sezioni Unite della Corte hanno osservato (sia pur nel contesto della dichiarazione di un componente
di reddito ad efficacia pluriennale) che tra le situazioni tutelabili ( ex l. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2) «non può farsi rientrare la mera inerzia dell’amministrazione che sia incorsa in decadenza nell’accertare la dichiarazione di prima deduzione dell’elemento pluriennale. Da questa circostanza il contribuente non può realisticamente trarre alcun convincimento tutelabile circa la correttezza del proprio operato e la legittimità della sua reiterazione nelle dichiarazioni successive; reiterazione che di certo non potrebbe reputarsi “direttamente conseguente”, e men che meno causalmente determinata, dalla mancata sottoposizione a verifica di una annualità pregressa. Se in via generale deve escludersi che il solo decorso del tempo ed il comportamento meramente passivo dell’amministrazione finanziaria siano suscettibili di produrre nel contribuente un affidamento tutelabile, a maggior ragione questa conclusione si impone nello specifico caso del mancato esercizio della potestà di rettifica.» (così, in motivazione, Cass. Sez. U., 25 marzo 2021, n. 8500).
4.3.1 – Va, ancora, considerato che -secondo un consolidato e risalente orientamento interpretativo – la sussistenza del requisito oggettivo dell’agevolazione «non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare – ed anche sotto questo aspetto l’onere della prova spetta al contribuente – che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale» (così già Cass., 29 febbraio 2008, n. 5485; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20776); e che -secondo la specifica disciplina dell’ICI l’obbligo dichiarativo risultava escluso con riferimento alle unità immobiliari «esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 7» (d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 10, comma 4).
Così che (ancora una volta) ciò che residua, nella fattispecie, è la mera inerzia dell’amministrazione che, per il passato, non ha fatto esercizio del potere di accertamento (già) sottoposto a specifici termini di decadenza (d.lgs. n. 504/1992, cit., art. 11, comma 2; l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161) -a fronte, dunque, di atti (quali quelli stessi evocati dalla ricorrente) che recavano la mera spendita di una qualità soggettiva ex se inidonea a determinare un qualche affidamento laddove dedotta in completa anomia di indicazioni sulle concrete modalità di svolgimento delle attività suscettibili di essere ricondotte al citato règime di favore.
-Le spese dei gradi di merito e del giudizio per revocazione vanno compensate tra le parti mentre quelle del giudizio di legittimità definito in sede rescissoria, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’odierna parte ricorrente .
P.Q.M.
La Corte
-revoca, nei limiti di cui in motivazione, la propria ordinanza decisoria n. 8548/19, depositata il 27 marzo 2019;
-accoglie il terzo motivo di ricorso proposto dal Comune di Lignano Sabbiadoro avverso la sentenza n. 364/01/14, depositata il 16 settembre 2014, della Commissione tributaria regionale del FriuliVenezia Giulia e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente;
-compensa le spese dei gradi di merito;
-condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del Comune di Lignano Sabbiadoro, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 14.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
-compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 giugno 2025.
Il Presidente dott. NOME COGNOME
Il Consigliere estensore dott. NOME COGNOME