Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24502 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24502 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3038/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME
(CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
Avverso della SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LOMBARDIA n. 3397/2023 depositata il 13/11/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia ( hinc: CGT2), con la sentenza n. 3397/2023 depositata in data 13/11/2023 e notificata in data 06/12/2023, ha accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 1687/2022, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva, a sua volta, respinto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE (che aveva agito quale consumatore) contro il silenziorifiuto dell’istanza di rimborso d ell’addizionale provinciale sull’energia elettrica ex art. 6 d.l. n. 511 del 1988, relativa agli anni 2010-2011 per le somme versate al suo fornitore.
La CGT2 ha ritenuto, in particolare, che:
quanto ai presupposti della legittimazione straordinaria, la Corte di cassazione non ha affermato che il presupposto della legittimazione straordinaria del consumatore ad agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione sia l’impossibilità assoluta di ottenere le restituzione delle somme dal proprio fornitore, ma il semplice fatto che ciò risulti ‘oltremodo gravoso’ e, dunque, eccessivamente difficile. Ne consegue che il presupposto non può ritenersi presente solo in caso di ‘fallimento’ e, dunque, di conclamata e irreversibile
insolvenza che integra una situazione di ‘impossibilità assoluta’, ma anche in caso di concordato preventivo, perché la situazione di crisi economico-reddituale presupposta da tale procedura e le regole della par condicio creditorum precludono, comunque, che i crediti anteriori alla domanda di ammissione possano essere soddisfatti. Di conseguenza, è effettivamente pregiudicato il diritto del creditore ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente corrisposte e la realizzazione di tale diritto diventa estremamente difficoltosa e gravosa;
quanto alla prospettata tardività della domanda, il termine di cui all’art. 14, comma 2, TUA riguarda esclusivamente il fornitore e il rapporto dello stesso con l’Amministrazione in ragione della disciplina speciale che regola il meccanismo di liquidazione e versamento delle accise (su base periodica per acconti, salvo conguagli annuali finali). Di conseguenza, non può estendersi al consumatore per il quale rileva solo l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito e il relativo termine di prescrizione decennale. In definitiva, non si tratta di una eccezionale surroga del consumatore rispetto all’azione di rimborso che sarebbe spettata al fornitore (nel qual caso rileverebbe il termine biennale di decadenza), ma di una eccezionale legittimazione straordinaria del consumatore a indirizzare l’azione di ripetizione di indebito che gli spetta e di cui è titolare anziché al suo fornitore direttamente all’Amministrazione Finanziaria (e dunque continua a valere, anche in tal caso, il termine di prescrizione decennale).
2.1. La CGT2 ha, quindi, evidenziato che se lo strumento di tutela principale e diretto (l’azione di ripetizione di indebito nei confronti del suo fornitore) è azionabile nel termine di prescrizione di dieci anni, non è possibile riconoscere l’esistenza di uno strumento
ulteriore, ma subordinato, per garantire l’effettività della tutela (quando il primo non consente di raggiungere il risultato), che però è soggetto a un termine di decadenza molto più breve (due anni). Tanto più che quest’ultimo inizierebbe, addirittura, a decorrere in un momento in cui il contribuente non è ancora legittimato a far valere quello strumento (e così sarebbe sia se il termine si volesse fare decorrere dal pagamento originario, sia se il termine si volesse fare decorrere dalla abrogazione per legge delle addizionali sulle accise ossia dal 2012). Il risultato finale sarebbe, quindi, la negazione della effettività della tutela al cui raggiungimento è funzionale il riconoscimento della legittimazione straordinaria.
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ( hinc: ADMO) ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ha, poi, depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stato denunciato il difetto di legittimazione (straordinaria) di RAGIONE_SOCIALE ad agire e la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 14 d.lgs. n. 504 del 1995 dell’art. 81 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva che la circostanza che in data 08/04/2021 -dunque a distanza di oltre dieci anni dal momento in cui si sarebbe verificato il presupposto per il rimborso de quo -la fornitrice RAGIONE_SOCIALE sia stata ammessa alla proceduta di concordato preventivo, secondo la RAGIONE_SOCIALE dimostrerebbe l’impossibilità di esperire l’ordinaria azione di ripetizione di indebito ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. nei confronti della stessa fornitrice e, quindi, nel caso
di specie, si configurerebbe la situazione delineata dalla giurisprudenza di legittimità. La parte non ha provato le circostanze di fatto che legittimerebbero la medesima alla suddetta ‘legittimazione straordinaria’: RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto presentare un’istanza di rimborso alla ex fornitrice a partire dal 01/01/ 2012, data della soppressione dell’addizionale provinciale in esame (ben prima del 05/02/2020, data della diffida inviata a RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE), ma così non è stato. Rileva, quindi, che la prova della difficoltà ad agire verso la società fornitrice non è stata fornita in quanto NOME: i) non ha mai presentato un invito alla ripetizione alla fornitrice né una semplice lettera prima del 05/02/2020, dunque anteriormente alla presentazione della prima e unica diffida e prima della domanda di concordato da parte della grossista al Tribunale di Milano; ii) non ha mai esperito nei riguardi della medesima fornitrice la ripetizione dell’indebito davanti al giudice ordinario (art. 2033 c.c.) fintanto che la fornitrice era ‘in bonis’ e , comunque, in attività; iii) non si è mai insinuata nella procedura di concordato preventivo per concorrere all’attivo sociale con gli altri creditori ante procedura. I giudici di secondo grado non hanno considerato che la situazione della società fornitrice RAGIONE_SOCIALE fosse ben lungi da quella di una società in totale dissesto economico, tale da rendere impossibile oppure oltremodo gravoso il rimborso da parte del consumatore finale. La società avrebbe ben potuto esperire l’azione ordinaria di ripetizione dell’indebito nei confronti del proprio fornitore, sia quando esso era ancora in bonis, sia in seguito all’apertura della procedura concorsuale. NOME si è, invece, limitata a inviare una lettera di diffida alla società grossista il 05/02/2020, avanzando richiesta di rimborso delle addizionali provinciali sulle accise pagate illo tempore entro sette giorni, salvo poi attendere del tutto inerte, dopo più di
un anno, la risposta di HPE che comunicava di aver richiesto, in data 01/04/ 2021, l’ammissione alla procedura di concordato preventivo e ‘suggeriva’ di agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.
Nel caso di specie, quindi, la società non ha allegato, né tantomeno provato che il proprio fornitore (soggetto passivo legittimato a chiedere il rimborso) non avesse avuto la possibilità di chiedere il rimborso e nemmeno che non avesse proposto la relativa domanda. Non ha, quindi, provato, come era suo onere, i presupposti della propria legittimazione straordinaria, limitandosi ad affermare che la situazione in cui versava la società fosse elemento sufficiente a fondare la sua legittimazione straordinaria di consumatore finale nei confronti dell’ amministrazione finanziaria.
1.2. Ad avviso della ricorrente l’azione di RAGIONE_SOCIALE contrasta anche con quanto previsto nell’art. 81 c od. proc. civ., in quanto soltanto la legge può accordare la legittimazione processuale per far valere un diritto altrui, ovverosia un diritto che, secondo quanto disposto dall’art. 14 TUA, è del fornitore/grossista.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 d.lgs. 504 del 1995 (T.U.A.) dell’art. 2033 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente, richiamato il contenuto dell’art. 14 TUA, rileva che in conformità a quanto stabilito da Cass., Sez. U, n. 13676 del 2014, nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto unionale da una sentenza della CGUE , l’efficacia retroattiva di detta pronuncia incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza. Costituisce, quindi, principio immanente in ogni Stato di diritto quello in virtù del quale qualsiasi situazione o rapporto giuridico diviene irretrattabile in
presenza di determinati eventi, quali lo spirare di termini di prescrizione o di decadenza, l’intervento di una sentenza passata in giudicato o altri motivi previsti dalla legge e ciò a tutela del fondamentale ed irrinunciabile principio di preminente interesse costituzionale, come quello della certezza delle situazioni giuridiche. Ad avviso di parte ricorrente, quindi, la CGT2 è incorsa nella violazione delle norme indicate in rubrica, avendo applicato al rapporto tributario il termine di prescrizione ordinario decennale ex art. 2033 cod. civ., anziché quello previsto dall’art. 14 d.lgs. n. 504 del 1995. Infatti, nel sistema delle accise coesistono due distinti rapporti giuridici: uno tributario, intercorrente tra l’Amministrazione Finanziaria ed il fornitore (soggetto passivo del tributo) e uno privatistico tra fornitore e consumatore cui viene traslato, in virtù di un meccanismo puramente economico, l’onere del tributo (tra le altre Cass., Sez. U, n.1837 e 1836 del 2016).
Tale distinzione determina anche una duplicità di azioni esperibili da parte dei due diversi soggetti, atteso che, in caso di pagamento non dovuto, il fornitore aziona innanzi al giudice tributario una richiesta di rimborso, mentre il consumatore – soggetto meramente inciso dal tributo – instaura un ‘ azione di ripetizione innanzi al giudice ordinario, per la parte del prezzo indebitamente corrisposto.
In definitiva, il consumatore -considerato che non ha introdotto nessuna azione civilistica ex art. 2033 cod. civ. nei confronti del suo fornitore, ma ha presentato all’ amministrazione la domanda di rimborso in luogo del fornitore, per poi impugnare il conseguente diniego avanti la commissione tributaria competente – ha instaurato, di fatto, un rapporto di tipo tributario, soggetto al termine decadenziale di due anni previsto dall’art. 14 , comma 2, TUA, lex specialis applicabile al rapporto tributario in materia di accise.
3. I motivi di ricorso possono essere esaminati insieme e sono infondati, con la precisazione che il primo motivo è anche inammissibile, nella parte in cui la censura relativa alla violazione dei legge veicola (anche) la rivalutazione dei fatti, sottratta al sindacato di legittimità di questa Corte (Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34476). Con riferimento alla censura relativa alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. secondo questa Corte la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., 19/08/2020, n. 17313).
3.1. Ciò premesso, occorre evidenziare che questa Corte ha, infatti, precisato che, in tema di addebito dell’addizionale provinciale (di cui all’art. 6, comma 2, del d.l. n. 511 del 1988, conv. con modif. dalla legge n. 20 del 1989, applicabile ratione temporis ), il consumatore finale – se ha corrisposto al fornitore di energia, a titolo di rivalsa, imposte in contrasto con il diritto dell’Unione Europea e rispetto alle quali l’azione di rimborso risulta eccessivamente difficoltosa – è legittimato, in via straordinaria e per il principio di effettività della tutela giurisdizionale, ad agire nei confronti dell’Erario con la stessa azione di indebito oggettivo esperibile nei confronti del fornitore, entro il termine di prescrizione ordinaria, attesa la sua natura civilistica, non trovando applicazione il termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1995, assegnato al soggetto passivo del rapporto di imposta per il rimborso (Cass., 29/07/2024, n. 21154).
La CGUE (sentenza 11/04/2024, causa C-316/22) ha precisato che il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare sopportato a causa della ripercussione operata da un fornitore, in base ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che tale fornitore aveva indebitamente versato, consentendogli unicamente di intentare un ‘azione civilistica per la ripetizione dell’indebito contro detto fornitore, qualora il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell’imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell’ambito di tale azione, in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati. Nella pronuncia appena richiamata la CGUE (§§ 30-34) ha precisato che: « in deroga al principio del rimborso di tributi incompatibili con il diritto dell’Unione, la restituzione di importi indebitamente percepiti può essere negata nell’ipotesi in cui essa comporterebbe un arricchimento senza causa degli aventi diritto, vale a dire quando sia accertato che la persona tenuta al pagamento di detti importi ne ha effettivamente traslato l’onere direttamente su un altro soggetto (v., in tal senso, sentenza del 20 ottobre 2011, COGNOME e COGNOME, C -94/10, EU:C:2011:674, punto 21 nonché la giurisprudenza ivi citata).
Infatti, in una tale situazione, l’onere dell’imposta indebitamente percepita è stato sopportato non dal soggetto passivo, bensì dal consumatore finale sul quale l’onere è stato ripercosso. Pertanto, rimborsare al soggetto passivo l’importo dell’imposta ch e egli ha già percepito dal consumatore finale equivarrebbe, per tale soggetto
passivo, a ricevere un doppio pagamento qualificabile come arricchimento senza causa, senza tuttavia porre rimedio alle conseguenze dell’illegittimità dell’imposta per il consumatore finale (v., in tal senso, sentenza del 20 ottobre 2011, COGNOME e COGNOME, C -94/10, EU:C:2011:674, punto 22 nonché la giurisprudenza ivi citata). Per contro, in questa situazione occorre evitare che lo Stato membro interessato ottenga un beneficio dalla violazione del diritto dell’Unione. In particolare, dato che tale ripercussione è stata operata in base ad una facoltà che la normativa nazionale riconosce ai fornitori e che, di conseguenza, il consumatore finale ha, in definitiva, indebitamente sopportato detto onere economico supplementare, tale consumatore deve avere la possibilità di ottenere il rimborso di tale onere direttamente da tale Stato membro o dal soggetto passivo venditore. In quest’ultimo caso, tale soggetto passivo deve dunque avere la possibilità di chiedere a detto Stato membro la compensazione del rimborso che ha dovuto effettuare.
Precisato ciò, occorre ricordare che, conformemente a una consolidata giurisprudenza, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le precise modalità procedurali secondo le quali deve essere esercitato il diritto di ottenere il rimborso del suddetto onere economico (v., per analogia, sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma RAGIONE_SOCIALE, C -35/05, EU:C:2007:167, punto 37), restando inteso che tali modalità devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività (v., in tal senso, sentenze del 17 giugno 2004, RAGIONE_SOCIALE, C -30/02, EU:C:2004:373, punto 17, e del 6 ottobre 2005, MyTravel, C -291/03, EU:C:2005:591, punto 17). In particolare, qualora tale rimborso si rivelasse impossibile o eccessivamente difficile da ottenere rivolgendosi ai fornitori
interessati, il principio di effettività esigerebbe che il consumatore finale sia in grado di rivolgere la propria domanda di rimborso direttamente allo Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C -35/05, EU:C:2007:167, punto 41, e del 26 aprile 2017, Farkas, C -564/15, EU:C:2017:302, punto 53). »
3.2. Alla luce di quanto sin qui rilevato, la sentenza impugnata è da ritenere conforme alla giurisprudenza sia di legittimità che unionale, avendo riconosciuto al soggetto sul quale era stata applicata in ripercussione l’imposta ritenuta contrastante con il diritto unionale la legittimazione ad agire direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria, ritenendo che l’accesso del fornitore alla procedura di concordato preventivo integrasse un requisito sufficiente a legittimare il consumatore al recupero delle somme indebitamente versate a titolo di addizionale provinciale sull’energia elettrica direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Anche la recente giurisprudenza unionale ha, infatti, riaffermato il requisito dell’impossibilità o dell’eccessiva difficoltà nel recupero, che può ben essere emblematizzato anche dall’accesso a una procedura concordataria. A compromettere i principi di effettività e di equivalenza in ordine al pagamento di un tributo che contrasti con il diritto unionale è necessario e sufficiente l’accesso a una procedura concorsuale anche alternativa al fallimento o alla liquidazione giudiziale. Anche nella prima ipotesi può prospettarsi, infatti, una possibile falcidia del credito restitutorio, in esito all’omologazione del concordato ed è evidente che non può essere il consumatore cui è stato addossato il pagamento di un’imposta non dovuta a dover sopportare il rischio dell’insolvenza o della parziale restituzione dell’indebito.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.