Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15518 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15518 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6968/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RTI RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI IMPRESE AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE –RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE nonché AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE
-intimati-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 6214/2019 depositata il 11/07/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per parte ricorrente, ha concluso per l’accoglimento del ricorso .
Sentito il P.G. il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La CTR Campania, con la sentenza n. 6214/22/2019, depositata in data 11 luglio 2019 e non notificata, rigettava l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza di primo grado che aveva disatteso l’impugnazione avanzata della società contribuente avverso l’avviso di accertamento, relativo a TARSU per le annualità 2010, 2011 e 2012, notificatole dal R.T.I. Agenzia delle entrate-Riscossione (già RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
I giudici d’appello disattendevano, in primo luogo, la censura volta alla disapplicazione del regolamento comunale TARSU e delle relative delibere tariffarie sul presupposto che non sussistevano i profili di illegittimità dedotti. Osservavano, poi, in ordine all’eccezione di difetto legittimazione attiva del R.T.I., che la mancata iscrizione all’apposito albo dei soggetti abilitati alla gestione dell’attività di accertamento e di riscossione del suddetto raggruppamento temporaneo di imprese non rilevava posto che questo non poteva considerarsi un ente distinto dalle imprese partecipanti al raggruppamento sicchè solo per queste ultime poteva, semmai, porsi una questione iscrizione all’albo e precisavano, altresì, che a nulla rilevava che una delle imprese facenti parte del raggruppamento che aveva stipulato la convenzione (la RAGIONE_SOCIALE) non era iscritta nell’apposito albo di cui al D.M. 289/2000, atteso che risultava incontroverso che alla stessa erano stati affidati compiti e servizi meramente complementari, essendo, sufficiente al fine di scrutinare legittimità degli atti impugnati che l’attività principale di
accertamento e riscossione fosse stata svolta da una delle imprese iscritte, come risultato nella specie. Rilevavano, ancora, che appariva infondato il rilievo concernente l’asserito difetto di legittimazione processuale del R.T.I. conseguente alla presunta illegittimità del subingresso di Agenzia delle entrate-Riscossione nei rapporti giuridici instaurati dalla soppressa Equitalia Servizi riscossione S.p.A. disposto dal d.l. n. 193/2016 con decorrenza 1 luglio 2017 in quanto la previsione, per legge, di un’ipotesi di scioglimento senza liquidazione di una società privata, in deroga alle previsioni codicistiche in materia, non poteva ritenersi, di per sé, illegittima in assenza di un contrasto con norme di rango costituzionale. Assumevano, poi, che risultava corretta l’argomentazione contenuta nella sentenza di primo grado in ordine alla legittimità della sottoscrizione dell’atto da parte del responsabile della gestione Dott. COGNOME NOME legittimato alla firma in quanto legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE società non solo in possesso del requisito soggettivo dell’iscrizione all’Albo dei concessionari ma anche deputata a svolgere le attività principali della R.T.I. fra cui rientravano gli accertamenti nonché soggetto ritualmente delegato in virtù di procura notarile da parte di Equitalia, società capofila, poi sostituita Agenzia delle entrate-Riscossione e che, infine, erano da ritenere infondate le ulteriori censure relative all’illegittimità dell’atto impositivo per difetto di contraddittorio preventivo e per difetto di motivazione.
Contro detta sentenza propone ricorso per Cassazione, sulla base di otto motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Il R.T.I. Agenzia delle entrate-Riscossione (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché l’ Agenzia delle entrate Riscossione -destinataria di apposita notifica del ricorso per cassazione- sono rimasti intimati.
La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo accogliersi il ricorso in ragione della fondatezza del primo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione degli artt. 11, comma 5quater , d.l. n. 195/2009 nonché degli artt. 52 e 53 d.lgs. n. 446/1997 assumendo che i giudici di merito avevano erroneamente disatteso l’eccezione di illegittimità del provvedimento impugnato per difetto di legittimazione attiva del R.T.I. non considerando che tale raggruppamento non era ricompreso fra i soggetti abilitati alla gestione delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione indicati dall’art. 11, comma 5 -quater , d.l. n. 195/2009 e, pertanto, fra i soggetti di cui agli artt. 52 e 53, d.lgs. n. 446/1997 elencati nel D.M. 289/2000. Rileva, ancora, che sulla scorta del contratto di appalto in questione la concessione del servizio di gestione dell’attività di accertamento e riscossione era unitaria senza alcuna distinzione fra attività primarie e secondarie, con la conseguenza che appariva dirimente, nel senso prospettato, la circostanza che, in ogni caso, non risultava iscritta dell’apposito albo una delle società de l RRAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE
1.1. Tal motivo è da ritenere privo di fondamento per le ragioni appresso specificate.
Va premesso che, ratione temporis , rileva, il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 che disponeva nei seguenti termini:
-«…….. I regolamenti, per quanto attiene all’accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate, sono informati ai seguenti criteri:
……..
qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, a:
i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53, comma 1;
……………» [art. 52, comma 5, lett. b
), n. 1];
«Presso il Ministero delle finanze è istituito l’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni» (art. 53, comma 1; v., altresì, il d.m. 11 settembre 2000, n. 289 recante il relativo regolamento).
1.2. Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che:
la disciplina del Raggruppamento Temporaneo di Imprese portata dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 37 (v. poi, negli stessi sostanziali termini, il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 48) distingue due tipi di raggruppamento, quello orizzontale (quando, per i servizi e le forniture tutte le imprese riunite eseguono la medesima prestazione) e quello verticale (quando, invece, per i servizi e le forniture, la mandataria esegue la prestazione principale e le mandanti eseguono le prestazioni secondarie), essendo, inoltre, consentito anche il raggruppamento c.d. misto, che è un raggruppamento verticale in cui l’esecuzione delle singole prestazioni (per i servizi e le forniture) viene assunta da sub-associazioni di tipo orizzontale;
«come ribadito anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. nn. 435/2005, 2294/2002, 2580/2002), in via generale, in caso di partecipazione alla gara – indetta per l’aggiudicazione di appalto di servizi -di imprese riunite in raggruppamento temporaneo, come nel caso di specie, occorre distinguere nettamente fra i requisiti tecnici di carattere oggettivo (afferenti in via immediata alla qualità del prodotto o servizio che vanno accertati mediante sommatoria di quelli posseduti dalle singole imprese), dai requisiti di carattere soggettivo (che devono essere posseduti singolarmente da ciascuna associata), tanto che può verificarsi l’ipotesi di un concorrente che, sebbene fornito di tutti i requisiti di qualificazione, non sia in grado di offrire uno specifico servizio per la cui erogazione avrebbe, in astratto, tutti i titoli in termini di capacità organizzativa, di controllo e di serietà imprenditoriale»;
«secondo un principio di fondo del sistema, tali certificazioni costituiscono, infatti, un requisito tecnico di carattere soggettivo e devono essere possedute da ciascuna delle imprese associate a meno che non risulti che esse siano incontestabilmente riferite unicamente ad una parte delle prestazioni eseguibili da alcune soltanto delle imprese associate (cfr. Cons. St. nn. 1459/2004, 2569/2002)»;
«più volte, pertanto, è stato affermato che sul piano sostanziale la certificazione di qualità, diretta a garantire che un’impresa è in grado di svolgere la sua attività almeno secondo un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò preposto, è un requisito che deve essere posseduto da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili (cfr., ex plurimis , Cons. St., nn. 4668/2006, 2756/2005, 2569/2002, 5517/2001)»;
«il consolidato orientamento del Giudice amministrativo è stato peraltro costantemente condiviso e ribadito, per parte sua, anche dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, ad esempio nel parere precontenzioso n. 254 del 10.12.2008, laddove la medesima Autorità ha chiarito come nei raggruppamenti “il requisito soggettivo” in parola debba essere “posseduto” da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili» (così Cass., 30 novembre 2022, n. 35338 cui adde Cass., 6 dicembre 2024, n. 31391; Cass., 8 giugno 2023, n. 16261).
1.3. Precisato, poi, che la nozione di concessione di un pubblico servizio, come rilevato dalle Sezioni Unite della Corte (Cass. Sez. U., 20 aprile 2017, n. 9965), ha fondamento nel diritto dell’Unione Europea e si correla (come gli stessi dati normativi di fattispecie rendono evidente) ad «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo» [così il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 3, comma 12; v.
altresì, negli stessi sostanziali termini, il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, lett. vv), ove si rimarca la «assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi», ed ora il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, all. 1, art. 2, lett. c)], va, pure, chiarito che nella specie, secondo quanto desumibile dalle complessive emergenze processuali si verte in ipotesi di una concessione di pubblico servizio e non di appalto.
1.4. Orbene muovendo da tali premesse, relativamente alla contestata mancata iscrizione del R.T.I. occorre chiarire che l’Associazione temporanea di imprese (ATI o secondo altra denominazione, Raggruppamento temporaneo di imprese) -introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 20 della Legge 8 luglio 1977, n. 584 (Norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunità economica europea) successivamente abrogato dall’art. 256 d. lgs n. 163 del 2006 recante il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE” nel quale è confluita la disciplina dei raggruppamenti temporanei di imprese)- si colloca come istituto giuridico nell’ambito generale della contrattualistica pubblica e rappresenta una formula negoziale che consente un sistema di aggregazione, tra operatori economici, caratterizzato da occasionalità, temporaneità e limitatezza, finalizzato alla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici. In concreto, quindi, la costituzione di una ATI mira a realizzare una forma di cooperazione tra le imprese che possono integrare capacità economico-finanziarie e tecnico organizzative in vista dell’ aggiudicazione o della esecuzione di un’opera. Lo strumento giuridico per la realizzazione di tale obiettivo è costituito da un accordo negoziale in base al quale più parti effettuano il conferimento di un mandato collettivo irrevocabile ad un soggetto terzo, prescelto come capogruppo, che dovrà agire in nome dei mandanti per effettuare
un’offerta congiunta. La connotazione in termini di mera aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione, implica quindi che la costituzione dell’ATI non dia luogo ad un’entità giuridica nuova con un proprio autonomo patrimonio distinto dalle imprese che la compongono. A riguardo la dottrina maggioritaria ha precisato che ciascuna impresa riunita non svolge attività in comune, ma, nell’ambito della propria parte dei lavori, agisce autonomamente e intrattiene direttamente i propri rapporti con terzi (banche, fornitori, personale ecc.… ) di fronte ai quali risponde singolarmente senza impegnare la responsabilità delle altre imprese costituenti la riunione. Il vincolo giuridico che nasce dall’ Associazione temporanea di imprese si esprime, infatti, nella responsabilità solidale dell’ATI e delle imprese associate nei confronti dei terzi per gli atti o fatti di gestione riferibili a ciascuna impresa. ( art. 13 , comma 2, Legge n. 104 del 1994, abrogato dal d. lgs n. 163 del 2006). Il rapporto di mandato non determina, di per sé, la nascita di un’organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia.
Questa Corte (vedi Cass. n. 30354/2018) ha avuto modo di precisare che «il raggruppamento temporaneo è volto alla collaborazione delle imprese raggruppate per ottenere l’aggiudicazione di un appalto mediante la presentazione di un’offerta unitaria da parte di soggetti che conservano la propria indipendenza giuridica; e, a tale scopo, è previsto il conferimento di un mandato collettivo speciale gratuito, a norma dell’art. 37, 14° co., del d.lgs. n. 163/06, secondo cui «Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di esse, detto mandatario». Si tratta quindi di un’aggregazione temporanea e occasionale tra imprese per lo svolgimento di un’attività, limitatamente al periodo necessario per il suo compimento, retta e disciplinata da un contratto di mandato collettivo speciale. Il mandato collettivo, per di più con
rappresentanza, non configura un centro autonomo d’imputazione giuridica, perché è finalizzato ad agevolare l’amministrazione appaltante nella tenuta dei rapporti con le imprese appaltatrici (in termini, da ultimo, Cass. 26 febbraio 2016, n. 3808). Il proprium dell’istituto sta appunto nella possibilità di associarsi temporaneamente, senza obbligo di assumere vincoli societari che imporrebbero oneri e obblighi sproporzionati rispetto ad un rapporto caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare. La costituzione dell’a.t.i. è affidata a un contratto associativo (così Cass. n. 15129/15) volto a realizzare un’aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione, il che di per sé esclude la formazione di un’entità giuridica nuova con un proprio autonomo patrimonio distinto dalle imprese che la compongono (in termini, Cass. 9 dicembre 2015, n. 24883 )… ».
1.5. Deve ritenersi, pertanto, che non era necessaria alcuna iscrizione del R.T.I., come condivisibilmente affermato dalla C.T.R., in ragione della natura giuridica dello stesso: la connotazione in termini di mera aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione implica che la costituzione del R.T.I. non dia luogo ad un’entità giuridica nuova che non costituisce un ente autonomo ed ha una durata limitata nel tempo.
Va, poi, rimarcato che nulla escludeva, nella fattispecie, che l’affidamento dei servizi in questione avvenisse dietro distinzione tra attività principali e attività secondarie (di cd. supporto) e che, per queste ultime, non risultasse necessaria l’iscrizione all’Albo.
1.6. Deve, pervero, rilevarsi che la superfluità dell’iscrizione all’albo ministeriale di imprese associate per l’esclusivo svolgimento di attività secondarie o accessorie rispetto alle attività di accertamento e riscossione dei tributi trova positivo riscontro nella disciplina del diritto unionale.
Difatti, in base alle direttive n. 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (sull’aggiudicazione dei contratti
di concessione) e n. 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (sugli appalti pubblici), di cui il c.d. ‘ codice dei contratti pubblici ‘ costituisce attuazione nel diritto interno, quelle forme di partecipazione aggregata, caratterizzate dal « raggruppamento » di persone fisiche, persone giuridiche o enti pubblici, « compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o di un’opera, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi », che il diritto unionale riconduce alla soggettività di un unico « operatore economico » ex artt. 5, n. 2, della citata direttiva 2014/23/UE e 2, par. 1, n. 10, della citata direttiva n. 2014/24/UE, non escludono affatto, quand’anche sia effettivamente riscontrabile una permanente alterità soggettiva tra gli enti a vario titolo coinvolti nell’affidamento e nell’esecuzione del servizio pubblico, la possibilità che un soggetto faccia valere i requisiti, in materia tanto di capacità economica e finanziaria, quanto di capacità tecniche e professionali (requisiti di selezione di cui agli artt. 36, par. 1, 2 e 3, della citata direttiva 2014/23/UE e 58, par. 1, lett. a), b) e c), della citata direttiva n. 2014/24/UE), propri di altro soggetto, con il quale si correli appunto nell’ambito di un affidamento unitario e coordinato.
Così, l’art. 38 della citata direttiva 2014/23/UE (con riguardo alla ‘ Selezione e valutazione qualitativa dei candidati ‘) stabilisce che, « ove opportuno e nel caso di una particolare concessione, l’operatore economico può affidarsi alle capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei suoi rapporti con loro » (par. 2); e che « (s)e un operatore economico vuole fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, deve dimostrare all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore che disporrà delle risorse necessarie per l’intera durata della concessione, per esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di detti soggetti », fermo restando che « l’amministrazione aggiudicatrice o l’ ente aggiudicatore può richiedere che l’operatore economico e i soggetti
in questione siano responsabili in solido dell’esecuzione del contratto » (par. 2).
E tanto in linea con il predicato del precedente art. 26, che, con particolare riguardo ai « raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee », dispone che: « Ove necessario, le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori possono precisare nei documenti di gara le modalità con cui gli operatori economici ottemperano ai requisiti in materia di capacità economica e finanziaria o di capacità tecniche e professionali di cui all’articolo 38, purché ciò sia giustificato da moti vazioni obiettive e proporzionate. Gli Stati membri possono stabilire le condizioni generali relative all’ottemperanza a tali modalità da parte degli operatori economici. Eventuali condizioni per l’esecuzione di una concessione da parte di tali gruppi di operatori economici diverse da quelle imposte a singoli partecipanti sono giustificate da motivazioni obiettive e proporzionate » (par. 2).
Analogamente, l’art. 63 della citata direttiva n. 2014/24/UE (con riguardo all” Affidamento sulle capacità di altri soggetti ‘) prevede che « (…) un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi »; e che « se un operatore economico vuole fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, dimostra all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno assunto d a detti soggetti a tal fine », fermo restando che « se un operatore economico si affida alle capacità di altri soggetti per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria, l’amministrazione aggiudicatrice può esigere che l’operatore economico e i soggetti di cui sopra siano solidal mente responsabili dell’esecuzione del contratto » (par. 1); inoltre, che: « le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente
stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 19, paragrafo 2, da un partecipante al raggruppamento » (par. 2). Queste disposizioni sono state interpretate in senso ampio dalla giurisprudenza unionale, cioè nel senso che l’art. 63, par. 1, della citata direttiva n. 2014/24/UE « conferisce a qualsiasi operatore economico il diritto di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi, al fine di soddisfare le varie categorie di criteri di selezione elencati all’articolo 58, paragrafo 1, di detta direttiva e riportati nei paragrafi da 2 a 4 di tale articolo » (Corte Giust., 26 gennaio 2023, causa C-403/21, RAGIONE_SOCIALE vs. Judeţul COGNOME , par. 72 -in senso analogo: Corte Giust., 10 ottobre 2013, RAGIONE_SOCIALE COGNOME Luigino vs. Provincia di Fermo , causa C-94/12, par. 29 e 33; Corte Giust., 7 settembre 2021, causa C-927/19, «Klaipėdos regiono atliekų tvarkymo centras» UAB , par. 150), e che il combinato disposto degli artt. 38, par. 1 e 2, e 26, par. 2, della citata direttiva 2014/23/UE « deve essere interpretato nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non può, senza violare il principio di proporzionalità garantito dall’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva, esigere che ciascuno dei membri di un’associazione temp oranea di imprese sia iscritto, in uno Stato membro, nel registro commerciale o nell’albo professionale a i fini dell’esercizio dell’attività di noleggio e leasing di automobili e autoveicoli leggeri » (Corte Giust., 10 novembre 2022, causa C486/21, Sharengo najem in zakup vozil d.o.o. vs. Mestna občina Ljubljana , par. 104).
In particolare, si è osservato (Corte Giust., 10 novembre 2022, causa C486/21, cit.), con riguardo all’art. 38 della citata direttiva 2014/23/UE, che « la disposizione in parola non può essere interpretata nel senso che impone a un operatore economico di fare unicamente ricorso al contributo di soggetti che possiedono ciascuno
l’abilitazione all’esercizio della medesima attività professionale. Infatti, per ipotesi, un operatore economico che fa affidamento sulle capacità di altri soggetti cerca vuoi di potenziare capacità di cui già dispone ma, eventualmente, in quantità o qualità insufficienti, vuoi di dotarsi di capacità o di competenze di cui non dispone. (…) Sarebbe pertanto sproporzionato, in particolare in quest’ultima ipotesi, esigere che tutti i membri di un’associazione temporanea di imprese siano abilitati all’esercizio dell’attività professionale oggetto della concessione. Infatti, il principio di proporzionalità, che è segnatamente garantito dall’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2014/23 e che costituisce un principio generale del diritto dell’Union e, impone che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni di detta direttiva non vadano oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da quest’ultima » (par. 100-101), a meno che non ricorrano « motivazioni obiettive e proporzionate » (par. 102).
In definitiva, la disciplina unionale consente che il raggruppamento temporaneo, come unico « operatore economico », ai fini della partecipazione alla procedura di aggiudicazione, possa beneficiare delle capacità riferibili alle singole imprese associate e che ciascuna delle imprese associate possa usufruire delle capacità riferibili alle altre nell’ambito unitario de l raggruppamento temporaneo nei rapporti esterni con l’amministrazione aggiudicatrice.
In tal modo, si realizza un fenomeno di reciproca e vicendevole ‘ osmosi ‘ tra le singole imprese associate, da un lato, e tra queste e il raggruppamento temporaneo nel suo complesso, dall’altro lato, in modo che le capacità dell’una siano paritariamente condivise con le altre e siano cumulativamente imputate al raggruppamento temporaneo nella relazione corrente con l’amministrazione aggiudicatrice, fermi restando i poteri di verifica e di adeguamento
che sono riservati a quest’ultima dall’art. 63 della citata direttiva n. 2014/24/UE.
Né tale peculiarità è esclusa dall’istituzione di «elenchi ufficiali di imprenditori, di fornitori, o di prestatori di servizi riconosciuti » o dalla previsione di una « certificazione da parte di organismi di certificazione conformi alle norme europee in materia di certificazione di cui all’allegato VII » (art. 64, par. 1), essendo stato contemplato dalla citata direttiva n. 2014/24/UE l” adeguamento ‘ delle « condizioni di iscrizione negli elenchi ufficiali » e di « quelle di rilascio di certificati da parte degli organismi di certificazione » « all’articolo 63 per le domande di iscrizione presentate da operatori economici facenti parte di un raggruppamento e che dispongono di mezzi forniti loro dalle altre società del raggruppamento » (art. 64, par. 2), obbligando « detti operatori (…) in tal caso dimostrare all’autorità che istituisce l’elenco ufficiale che disporranno di tali mezzi per tutta la durata di validità del certificato che attesta la loro iscrizione all’elenco ufficiale e che tali società continuera nno a soddisfare, durante detta durata, i requisiti in materia di selezione qualitativa previsti dall’elenco ufficiale o dal certificato di cui gli operatori si avvalgono ai fini della loro iscrizione ».
Per cui, ciò che rileva in tale contesto è il legame associativo, con reciproca vincolatività, tra le imprese munite e le imprese sprovviste del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività qualificata, che viene in tal modo a concentrarsi -ai soli fini della partecipazione alla procedura selettiva – in capo al raggruppamento temporaneo nella veste di unico « operatore economico » « che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o di un’opera, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ».
1.8. Va, allora, ribadito il principio di diritto, pienamente condivisibile, secondo il quale, in tema di affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle entrate dei comuni ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese, il requisito soggettivo
dell’iscrizione nell’apposito albo istituito presso il Ministero delle Finanze, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997 e del d.m. n. 289 del 2000, è richiesto solo per le imprese associate chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili; ne consegue che, quando il servizio è affidato ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese di tipo misto, la predetta qualifica soggettiva è necessaria solo per le società del raggruppamento che svolgono le attività principali concernenti l’accertamento e la riscossione dei tributi, per le quali detto requisito formale è previsto, ma non anche per quelle che svolgono attività secondarie, di mero supporto e non in rapporto di fungibilità con la prestazione principale ma solo in funzione servente, il cui accertamento è riservato al giudice del merito (vedi Cass. n. 31391/2024).
Non può, dunque, rilevare -contrariamente a quanto paventato da parte ricorrente la mancata iscrizione all’apposito Albo di RAGIONE_SOCIALE posto che la stessa svolgeva quelle attività prodromiche o, comunque, di ausilio alla riscossione che non comportano la delega al privato delle potestà pubblicistiche e neppure la riscossione diretta delle somme da parte dello stesso (come riscontrato dalla CTR), per la stessa, quindi, non occorreva alcuna iscrizione atteso che gli altri operatori risultano avere i requisiti di legge.
Peraltro laddove la società contribuente assume che il Raggruppamento Temporaneo di imprese è risultato aggiudicatario dell’appalto ‘ il cui oggetto (unitario) è la concessione del servizio di gestione ordinaria e straordinaria e accertamento di riscossione della Tarsu senza alcuna distinzione tra attività principali attività secondarie ovvero la gestione dell’accertamento e la riscossione della tassa per cui sarebbe stata richiesta l’iscrizione all’albo da un lato le attività secondarie ‘, in realtà formula delle censure in punto di fatto in relazione all’accertamento di merito compiuto dai giudici della CTR. i quali hanno osservato che alla Ottogas spettavano i compiti e servizi meramente complementari. Sotto altro profilo la
censura appare non autosufficiente in quanto sarebbe stato onere della società ricorrente richiamare testualmente il contenuto del contratto de quo al fine di comprovare che tutte le società erano chiamate a svolgevano analoghe funzioni ed avevano analoghi compiti.
1.9. Il motivo va, in conclusione, rigettato.
Con il secondo motivo la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 19, 20 e 21 d.lgs. 163/2006 nonché dell’art. 48 d.lgs. 50/2016 per avere la CTR omesso di rilevare il difetto di legittimazione ad agire del R.T.I. a partire dal 1 luglio 2017 a seguito dello scioglimento, senza liquidazione, delle società del gruppo Equitalia S.p.A. cui era subentrata Agenzia delle entrateRiscossione, atteso che in ragione di detto scioglimento si sarebbe dovuto considerare estinto e risolto il contratto di affidamento della gara pubblica del 2011 in quanto era venuta a mancare la società capofila.
2.1. Anche tale motivo è privo di fondamento.
Va premesso che il d.l. n. 193/2016, convertito con modificazioni dalla legge n. 225/2016, riguardante AdER, è intervenuto ad operare un completo riassetto organizzativo della riscossione nazionale. In quest’ottica, tale decreto ha disposto, a decorrere da l 1° luglio 2017: lo scioglimento delle società del Gruppo Equitalia (ad esclusione della società RAGIONE_SOCIALE, cancellate d’ufficio dal registro delle imprese ed estinte, senza esperire alcuna procedura di liquidazione (art. 1, comma 1); l’ attribuzione delle funzioni relative alla riscossione nazionale, ex art. 3, comma 1, del d.l. n. 203/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2005 all’Agenzia delle entrate e l’esercizio delle stesse da parte del nuovo ente pubblico economic o denominato ‘Agenzia delle entrate -Riscossione’, strumentale dell’Agenzia delle entrate medesima – che ne monitora costantemente l’attività secondo principi di trasparenza e pubblicità
– e sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell’economia e delle finanze.
L’Agenzia delle entrate Riscossione è subentrata, quindi, a titolo universale, nell’ambito di un fenomeno successorio riguardante enti pubblici, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia sciolte, assumendo la qualifica di Agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 e svolgendo anche le attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali dei comuni e delle province e delle società da essi partecipate.
Devono essere richiamati, in proposito, i principi fissati da Cass. Sez. U n. 15911/2021 la quale ha statuito che in tema di riscossione dei tributi, la successione “a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali”, di Agenzia delle Entrate-Riscossione alle società del gruppo Equitalia, prevista dall’art. 1, comma 3, del d.l. n. 193 del 2016, conv. dalla l. n. 225 del 2016, pur costituendo una fattispecie estintiva riconducibile al subentro ” in universum ius “, riguarda il trasferimento tra enti pubblici, senza soluzione di continuità, del ” munus publicum “.
Come chiarito in seno a detta pronunzia (v. §.7.2.: « la specifica disciplina del subentro ex lege del nuovo ente pubblico economico, espressamente qualificata dal citato comma 3 dell’art. 1 del d.l. n. 193/2016 «a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali», alle cessate società del gruppo Equitalia, con l’assunzione, da parte del nuovo ente, della qualifica di agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, descriva(e), pur nel quadro della riconduzione della fattispecie estintiva delle società del gruppo Equitalia ad una successione in universum ius, piuttosto il trasferimento tra enti pubblici, senza soluzione di continuità, del
munus publicum riferito all’attività della riscossione, essenziale per il soddisfacimento delle esigenze della collettività, nell’ambito di un assetto organizzativo ritenuto più razionale, volto al perseguimento dei principi di efficienza e di efficacia, oltre che d’imparzialità, nell’ottica di una leale collaborazione con il contribuente, cui deve essere ispirata, secondo l’art. 97 Cost., l’azione della pubblica amministrazione. Successione nel munus che la giurisprudenza amministrativa descrive come fenomeno di natura pubblicistica, che si concretizza nel passaggio di attribuzioni tra amministrazioni pubbliche, con trasferimento sia della titolarità delle strutture burocratiche, sia dei rapporti attivi e passivi pendenti, contraddistinta da una stretta linea di continuità tra l’ente che si estingue e l’ente che subentra….. ».
L’affermazione della società contribuente per cui, una volta verificatosi lo scioglimento di RAGIONE_SOCIALE ed il subentro di RAGIONE_SOCIALE, si sarebbe dovuto considerare estinto e risolto il contratto di affidamento sia per il venir meno di Equitalia (in violazione del principio di immodificabilità del R.T.I) sia perché sarebbe ‘venuta a mancare’ la società capofila, contrasta con i citati principi fissati dalle SS.UU. essendosi verificata una ‘mera successione fra enti pubblici’ e dovendosi considerare che l’Agenzia delle entrate-Riscossione è subentrata, a titolo universale, senza soluzione di continuità alcuna, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia (vedi, in senso conforme, la richiamata pronunzia Cass. 31391/2024).
Appare, in sintesi, evidente che la continuità sostanziale nell’esercizio ininterrotto della medesima attività di riscossione, già svolta dalla estinta società del gruppo Equitalia da parte del nuovo ente pubblico economico, Agenzia delle Entrate – Riscossione non ha comportato, nella peculiarità della fattispecie sopra descritta, nessuna violazione del principio di immodificabilità del citato R.T.I., laddove una interpretazione di segno diverso per un verso non tiene
conto specificità della disciplina esaminata e per altro verso contrasta con i principi di efficienza e di efficacia che devono contraddistinguere l’azione amministrativa ex art. 97 Cost., principi alla luce dei quali vanno esaminate le disposizioni in questione.
3. Con il terzo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. stante l’omessa pronuncia del giudice di appello sulla questione relativa al difetto di valida procura in favore degli avvocati del libero foro NOME COGNOME e NOME COGNOME costituitisi in rappresentanza del R.T.I., in difetto di prova delle fonti di rappresentanza ed assistenza in alternativa al patrocinio in favore dell’Avvocatura dello Stato, questione rilevabile anche d’ufficio.
3.1. Va premesso che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame (come verificatosi nel caso in esame), la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16171 del 28/06/2017; conforme Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9693 del 19/04/2018): nel caso in esame, premesso che non occorre procedere ad alcuna ulteriore indagine in fatto deve rilevarsi, in diritto, che la censura è priva di fondamento. Deve, infatti, ritenersi rituale la costituzione nel giudizio di appello del R.T.I. con avvocati del libero foro alla luce dei principi fissati da S.U. sentenza n. 30008/2019 e come confermato da questa Corte, proprio con riferimento alla costituzione in giudizio del medesimo
R.T.I., con le ordinanze nn. 31391/2024, 35299/2022 11659/2021.
Inoltre, si ribadisce che, nel caso di specie, il R.T.I. è soggetto ad una regolamentazione giuridica differente rispetto a quella di norma applicabile per l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, quale agente di riscossione ed, infatti, esso è affidatario dell’attività di accertamento della TARSU da parte della Società Provinciale di Napoli denominata RAGIONE_SOCIALE, alla quale era stata demandata, con legge regionale, tale attività per gli anni 2010-2012, operando, in questo caso, come Concessionario per gli accertamenti della provincia di Napoli ai sensi dell’art. 53, d. lgs. 446/1997 e non come ‘Agente della Riscossione’. 4. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione degli artt. 71 e 74, d.lgs. n. 507/73 in ragione del rigetto della eccezione di nullità dell’atto impositivo per difetto di una valida sottoscrizione da parte di un soggetto validamente designato per la gestione del tributo de quo , non potendo rilevare la mera sottoscrizione del Dott. COGNOME legale rappresentante della sola RAGIONE_SOCIALE, che peraltro non era la capo-fila.
Orbene l’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 157 del 1995, nella parte in cui dispone che le imprese facenti parte di un raggruppamento temporaneo di imprese aggiudicatario di un appalto di lavori pubblici conferiscono “mandato speciale con rappresentanza ad una di esse, designata quale capogruppo”, e procura “al rappresentante legale dell’impresa capogruppo”, non impedisce a quest’ultimo di nominare un procuratore per farsi rappresentare in determinati affari del raggruppamento, né di sceglierlo tra i partecipanti al raggruppamento stesso, derivando il potere gestorio dell’impresa mandataria e quello rappresentativo del suo legale rappresentante non direttamente dalla legge ma dalla designazione, libera e volontaria, delle imprese raggruppate che, pur obbligate a nominare una capogruppo ed a conferire procura al legale rappresentante della stessa, sono libere di scegliere quale
debba essere designata come mandataria e, in caso di capogruppo con pluralità di legali rappresentanti, a quali di essi conferire la procura.
Questa Corte ha avuto modo di rilevare che le disposizioni secondo le quali le imprese in Raggruppamento Temporaneo devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza all’impresa mandataria, con conferimento di procura al legale rappresentante dell’operatore economico mandatario – così che al mandatario «spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto» (d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, art. 37, commi 14, 15 e 16) – sono finalizzate ad agevolare l’amministrazione appaltante nella tenuta dei rapporti con le imprese appaltatrici ma non si estendono anche nei confronti dei terzi estranei a quel rapporto, atteso che la presenza di tale mandato collettivo non determina un centro autonomo di imputazione giuridica (art. 37, comma 17, cit.; v. Cass., 2 ottobre 2024, n. 25925, cit.; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29737; Cass., 20 maggio 2010, n. 12422; v., altresì, Consiglio di Stato, V, 5 aprile 2019, n. 2243; Consiglio di Stato, Ad. plen., 13 giugno 2012, n. 22).
E, in particolare, si è rimarcato che tanto il potere gestorio dell’impresa mandataria quanto il potere rappresentativo del legale rappresentate della stessa non derivano direttamente dalla legge, ma dalla designazione dell’impresa mandataria liberamente e volontariamente effettuata dalle imprese raggruppate, così che -non operando, in ambito negoziale di diritto privato, il principio delegatus delegare non potest -non sussistono ragioni per restringere l’operatività degli ordinari principi della rappresentanza negoziale con riferimento al rilascio di procure da parte del legale
rappresentante dell’impresa mandataria (Cass., 27 aprile 2016, n. 8407).
L’ avviso di accertamento de quo è stato sottoscritto in data 16 novembre 2016, validamente, da un soggetto quale responsabile della gestione il Dott. COGNOME legale rappresentate di una delle società affidatarie del servizio (la RAGIONE_SOCIALE) delegato tramite apposita procura notarile dalla società capofila Equitalia -come riconosciuto dalla stessa ricorrente -a nulla rilevando le vicende successive, vale a dire che nelle more (e precisamente con decorrenza 1 luglio 2017) Equitalia è stata soppressa.
5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione dell’art. 69, d.lgs. 507/93 nonché dell’art. 7 legge 212/2000 non avendo i giudici di merito considerato che, nella specie, era palese il difetto di motivazione dell’atto impugnato che non risultava neanche motivato per relationem con rinvio ad atti conosciuti da parte contribuente e tenuto conto che la CTR aveva finito per ritenere legittima una integrazione della motivazione postuma.
Va ribadito che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto nelle condizioni di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta, esigendo il requisito motivazionale, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (v., ex multis , Cass., 21 aprile 2023, n. 11449; Cass. 21 aprile 2023, n. 11443; nello stesso senso, Cass., 26 luglio 2023, n. 22702, che
richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 29 ottobre 2021, n. 30887; Cass. 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass. 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass. 15 novembre 2004, n. 21571/2004)
La Commissione regionale si è uniformata a tali principi, considerando indicati nell’avviso la natura tutti gli elementi sufficienti per la determinazione della pretesa.
Si tratta di censura che costituisce mera riproposizione dell’eccezione di nullità del provvedimento impositivo motivatamente disattesa dai giudici di appello e, peraltro, la parte non mette la Corte nella condizione di ripercorrere il contenuto dell’avvis o di accertamento impugnato nei suoi tratti contenutistici essenziali. La censura è da ritenere, sotto tale profilo, inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. Va dato seguito, invero, al principio di diritto secondo il quale «in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo» (cfr. Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 12 febbraio 2015, n. 2928; Cass. 4 aprile 2015 n. 8312) Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla ricorrente nella sua formulazione non essendo stata affatto riportata per estratto nei punti rilevanti la motivazione dell’atto impositivo impugnato.
La ricorrente fa, peraltro, riferimento ad una integrazione postuma della motivazione sulla scorta di un documento prodotto nel corso del giudizio dall’ente impositore ma giova replicare che, anche sotto tale profilo, il ricorso generico e non è autosufficiente.
6. Con il sesto motivo la società contribuente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 73 e 69 d.lgs. 507/73, dell’ art. 7 legge 212/2000 nonché dell’art. 2697 c.c. avendo i giudici di appello erroneamente rigettato le eccezioni di nullità dell’atto impositivo per violazione delle disposizioni di cui all’art. 73 d.lgs. 507/1993 in forza delle quali l’ente impositore avrebbe dovuto richiedere l’esibizione delle planimetrie e di ogni altra utile documentazione, non tenendo conto che i funzionari del R.T.I. avevano effettuato un accesso senza alcun preavviso e non valutando gli oneri probatori a carico dell’en te impositore che avrebbe dovuto comprovare le modalità di determinazione e misurazione della superficie tassabile. Evidenzia che, nella specie, risultava palese la violazione del contraddittorio non avendo il Comune neanche richiesto i dati catastali la cui indicazione era stata omessa nell’atto impositivo da ritenere carente di motivazione, per come dedotto e ribadito con il precedente motivo di ricorso.
6.1. Tali censure non colgono nel segno.
In ordine alla paventata nullità per violazione dell’art. 73 d.lgs. 507/1993 questa Corte ha condivisibilmente affermato che ai fini dell’applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la prima fase della procedura di accertamento, disciplinata dall’art. 73, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, è caratterizzata dal dialogo fra comune e contribuente, per il consolidamento (mediante controllo in base a documenti, planimetrie, risposte a questionari, ecc.) dei dati contenuti nella denuncia presentata, ovvero acquisiti dall’ufficio tramite rilevazione diretta delle superfici. Pertanto, nel corso di questa fase interlocutoria e collaborativa, i dipendenti
comunali o il personale operante a convenzione accedono all’immobile del contribuente col consenso espresso o tacito (supposto) del medesimo, con la conseguenza che essi non hanno bisogno di autorizzazione specifica da parte del sindaco, e l’eventuale preavviso corrisponde a ragioni di mera opportunità o cortesia, sicché la sua mancanza non determina l’invalidità della procedura tipizzata dal consenso dell’interessato. (vedi Cass., 7 agosto 2019, n. 21062; Cass., 25 febbraio 2010 n. 4568; Cass, 9 giugno 2009, n. 13230/2009).
Le cause di nullità dell’atto possono, del resto, essere solo quelle irregolarità così sanzionate dalla legge o, in difetto di una specifica comminatoria, quelle gravemente lesive di specifici diritti o garanzie nei confronti del contribuente da impedire qualsivoglia effetto da parte dell’atto cui sottostanno, nella specie esclusa dal Giudice regionale, in termini che vanno qui condivisi, posto che l’attività amministrativa di accertamento in tema di tributi non è retta dal principio del contraddittorio (cfr. Cass. n. 21062/2019 cit.). Difatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 24823/2015, Cass. nn. 11283, 11284, 11285 e 11286 del 2016; Cass. nn. 6757 e 6758 del 2017 ; Cass., Sez. nn. 21616 e 21618 del 2020; Cass. 27382/2020; Cass., Sez. 40482/2021; Cass. nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119/2021; n. 366/2022; n. 16481/2022,). Per i tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per cui non si pone la questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi
di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo. La Corte costituzionale, pur rilevando che « la mancat a generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale », ha, nondimeno, osservato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere u na di esse a modello generale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativa per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47). Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi armonizzati’ ed essendo stato l’accertamento svolto ‘a
tavolino’, in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass., 3 maggio 2023, n. 11518).
Gli ulteriori profili (del motivo di ricorso) concernenti la violazione dell’art. 2697 c.c. e la erronea valutazione del materiale istruttorio sono da ritenere inammissibili in quanto non vi è stata, all’evidenza, alcuna violazione dei criteri di riparto degli oneri probatori (occorrendo ribadire che in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, vedi da ultimo, Cass., 15 ottobre, 2024 n. 26739) e tenuto conto che non sono sindacabili in questa sede le valutazioni dei mezzi di prova di competenza esclusiva del giudice del merito.
Riguardano, poi, il puro merito della vicenda i profili concernenti le ulteriori ‘rilevazioni’ asseritamente svolte e gli errori nel computo delle superfici tassabili.
7. Con il settimo motivo la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione e falsa per violazione applicazione degli artt. 238, comma 11 e 264, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152/2006, art. 14, comma 7, d.l. n.201/2011, nonché 42, comma 2, lett. f) e 48, comma 3, d.lgs. n. 267/2000 per avere la CTR. omesso di accogliere la richiesta di disapplicazione del Regolamento TARSU e delle relative delibere tariffarie in ragione della assenza di una proroga legale del regime TARSU per gli anni 2010, 2011 e 2012 e della mancata corrispondenza fra le tariffe ed i costi di gestione del servizio rifiuti.
7.1. La parte, in primo luogo (ed in sintesi) assume che relativamente agli anni 2010/2011/2012 il prelievo tributario della TARSU non aveva fondamento normativo in quanto il suo regime transitorio (di proroga) doveva ritenersi cessato.
7.2. Tale rilievo non coglie nel segno. La ricognizione normativa della fattispecie è stata varie volte riepilogata da questa Corte ed è stato chiarito che il regime transitorio previsto dall’art. 49 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (e dal d.P.R. attuativo n. 158 del 1999, art. 11, cit.), onde evitare ogni soluzione di continuità «nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta» del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 , è stato mantenuto in vigore sino a ll’adozione (col d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e sui servizi, cd. TARES) secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dal 1° gennaio 2013 «sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza» (art. 14, comma 46; v. peraltro, altresì, il d.l. n. 102 del 2013, art. 5, comma 4- quater, conv. in l. n. 124 del 2013). In particolare, la Corte ha precisato che: – il regime fiscale della Tarsu, prevista dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, è stato sostituito dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale, introdotta dall’art. 49 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 cd. decreto Ronchi), a sua volta sostituita dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale, di cui all’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, cd. codice dell’ambiente); – l’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che h a istituito la nuova ‘tariffa’ sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha poi previsto, al comma 1, che: «La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11», il quale recita che. «Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al
compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti»; poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA 1, prevista dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, alla quale, per effetto dell’art. 1, commi 183 e 184, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU; – l’art. 5, comma 2-quater, d.l. 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, ha, infine, disposto che, «Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i Comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari- dunque, inutilmente decorso il termine del 30 giugno 2010, è stata prevista la facoltà per gli enti locali di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011 (per tale ricostruzione vedi ex multis tra le tante: Cass. n. 11035/2019; Cass. n. 17032/2021). L’art. 14, comma 7, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha, poi, disposto che: «Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i Comuni di adottare la tariffa integrata ambientale». Da dette disposizioni poteva, allora, conseguire (al più) il divieto di passare dall’una all’altra forma di imposizione – e, con questo, una preclusione alla modifica dei regolamenti di TARSU e TIA 1, – ma non anche l’abrogazione delle discipline istitutive di dette forme di prelievo in difetto della (compiuta) realizzazione della TIA 2 (istituita col d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) (Cass., Sez. n. 17271/
2017; Cass n. 31286/2018; Cass. n. 8650/2019; Cass., n. 33224/2019; Cass. nn. 34283, 34284, 34285, 34286 e 34287 del 2019; Cass., n. 7849/2020; Cass. n. 30120/2021; Cass. 19110/2022,) (così Cass. n. 14670/2023 e, nello stesso senso, tra le tante Cass. Sez. n. 21423/2023 e Cass. n. 22694/2023).
7.3. Parte ricorrente ha, pure, eccepito che l’ente impositore non avrebbe tenuto conto, nello stabilire le tariffe da applicare, della necessaria corrispondenza con il costo totale del servizio di smaltimento e che le stesse ‘erano state determinate al ne tto e non al lordo dell’intero gettito dall’addizionale’ (ex ECA) con la conseguente illegittimità delle stesse perché calcolate ‘in misura sicuramente superiore al costo del servizio rifiuti’.
Trattasi di contestazione inammissibile nella parte in cui, nella sua genericità, involge profili fattuali (la verifica della percentuale di scostamento tra costo e gettito) non esigibili nella sede che occupa e, comunque, inidonea a giustificare la dichia razione d’illegittimità del regolamento applicato, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria.
Occorre rilevare, in generale, che il criterio legale di commisurazione delle tariffe della Tarsu alla capacità di produzione di rifiuti (effettiva o potenziale), qual emergente dal dettato normativo nazionale, ha trovato riscontro anche nella giurisprudenza unionale che, come già rilevato da questa Corte (v. Cass., 15/03/2019, n. 7437; Cass., 04/04/2018, n. 8308), ha statuito che:
– risultando «spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun “detentore”», «ricorrere a criteri basati, da un lato, sulla capacità produttiva dei «detentori», calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano nonché della loro destinazione e/o, dall’altro, sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare i costi dello smaltimento di tali
rifiuti e ripartirli tra i vari «detentori», in quanto questi due criteri sono in grado di influenzare direttamente l’importo di detti costi»;
«Sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito non può essere considerata, allo stato attuale del diritto comunitario, in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12»;
«il principio «chi inquina paga» non osta a che gli Stati membri adattino, in funzione di categorie di utenti determinati secondo la loro rispettiva capacità a produrre rifiuti urbani, il contributo di ciascuna di dette categorie al costo complessivo necessario al finanziamento del sistema di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani.»; – (Corte di Giustizia, 16 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE e a., causa C254/08).
La giurisprudenza di questa Corte ha, anche, affermato che la disapplicazione può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) e che la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria.(Cass. n. 7044/2014, v. altresì, sez. 5, del 27/02/2020; Cass. dell’11.01.2022, n. 533/2022).
Con l’ottavo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn.3 e 4 c.p.c., violazione e falsa violazione applicazione del combinato disposto degli articoli 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, 167, 416, 88 e 115 c.p.c. nonché 111 Cost. osservando che i giudici di appello non avevano considerato che il R.T.I. non aveva in alcun modo
contestato le prove offerte dalla contribuente circa gli errori di calcolo in ordine all’effettiva superficie tassabile.
Con riferimento al principio di non contestazione, la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, come già riconosciuto da Cass. n. 1540/2007) esso non elide l’operatività dell’altro principio operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive alla domanda avversaria (Cass. n. 7127/2019; Cass. n. 12287/2018; Cass. n. 31619/2018). Peraltro, nel caso in esame, la richiesta di rigetto della impugnazione originaria -nel giudizio di primo grado -nonché del gravame proposto con l’atto di appello equivale a contestazione delle allegazioni difensive della contribuente.
Sotto altro profilo il motivo si appalesa inammissibile in quanto carente sotto il profilo dell’autosufficienza posto che ai fini del rispetto di tale principio, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass., 29 maggio 2024, n. 15058).
Sulla scorta delle suddette argomentazioni il ricorso va respinto.
9.1. Nulla va disposto in ordine alle spese in ragione della mancata costituzione del R.T.I nonché di RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione