Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6616 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13241/2023 R.G. proposto da: REGIONE CAMPANIA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI ii GRADO della CAMPANIA-NAPOLI n. 2185/2023 depositata il 03/04/2023.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE con istanza datata 8 aprile 2021 diretta sia alla regione Campania che all’Agenzia delle Dogane (giusta il primo paragrafo della sentenza in epigrafe e il doc. ‘A istanza rimborso’ contenuto nel fascicolo di merito allegato al controricorso, e depositato il 14 settembre 2023 ad ore 16:07, ‘sub’ cartella ‘ – -122125 -845’, sottocartella ‘Ricorrente’), chiedeva il rimborso dell’Imposta Regionale sulla Benzina per Autotrazione (c.d. IRBA) per gli anni d’imposta dal 2016 al 2020 per un totale di € 304.917,68.
La regione Campania, con provvedimento prot. NUMERO_DOCUMENTO, rigettava la richiesta.
La contribuente impugnava il provvedimento, con ricorso del 6 luglio 2021, evocando in giudizio sia la regione Campania che l’Agenzia delle Dogane (giusta il doc. ‘RAGIONE_SOCIALE ricorso’ contenuto nel suddetto fascicolo).
La CTP Napoli, con sentenza n. 1129/03/22 depositata il 26/01/2022, rigettava il ricorso.
La contribuente proponeva appello nei confronti di entrambe le PP.AA. (come da frontespizio della sentenza in epigrafe, ove, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, leggesi che l’Agenzia delle Dogane ‘rimaneva intimata’), limitando tuttavia la domanda di rimborso agli anni 2019 e 2020 in ragione di € 125.946,39.
La CGT di II Grado della Campania -Napoli accoglieva l’appello.
In particolare, dopo un’ampia premessa dedicata alla ricostruzione del quadro normativo, essa motivava come segue:
Ritiene questa Corte, andando di contrario avviso a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, che anche per le annualità antecedenti la sua abolizione, la legge regionale Campania n. 28 del 2003 non risponde ai requisiti imposti dalla giurisprudenza vincolante della Corte di Giustizia UE in tema di interpretazione dell’art. 1, par. 2 della Direttiva UE n.118/2008.
Come evidente già dalla rubrica della legge regionale istituiva, recante disposizioni urgenti per il risanamento della finanza regionale, l’IRBA anche dalla regione Campania era stata destinata a mere finalità di bilancio, tale dovendosi qualificare la destinazione del ricavato del gettito per il rafforzamento patrimoniale delle Aziende sanitarie locali o per l’incremento del capitale della società di cui all’articolo 6, della stessa legge, riguardante il Consolidamento del debito e razionalizzazione della gestione dei servizi nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere.
Come più volte evidenziato dalla giurisprudenza unionale innanzi riportata, ai fini del perseguimento di una «finalità specifica» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118, non è sufficiente che sia prevista una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro -quale potrebbe essere l’assegnazione del gettito ad un fondo per far fronte a spese di competenza regionale -che non potrebbe, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente, poiché altrimenti qualsiasi finalità dovrebbe considerarsi specifica, con conseguente privazione di ogni effetto utile per l’armonizzazione delle accise istituita dalla direttiva.
Premessa la necessità che l’imposta miri, di per sé stessa, a garantire la realizzazione della finalità specifica invocata, e quindi che sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la predetta finalità specifica, è agevole osservare che non sussiste nel caso della legge in esame alcun nesso specifico o di coerenza tra un’accisa sui carburanti e le spese generali delle Aziende sanitarie locali in materia di sanità regionale che, rientrando nella competenza esclusiva e istituzionale di ogni Regione, non possono certo costituire una finalità dotata del requisito della specificità mancando di fatto un vincolo di connessione tra il prodotto oggetto di imposta e la destinazione del gettito; diversamente,
una possibile finalità specifica sarebbe potuta essere la finalizzazione del prelievo a meccanismi di disincentivazione del consumo di carburante, ad esempio per ragioni di salubrità ambientale, che sarebbero state immediatamente percepite dal consumatore come collegate al prodotto oggetto di tassazione.
Dall’illegittimità dell’imposta per contrarietà con l’art. 1, § 2, della direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretato dalla Corte di giustizia della UE nelle sentenze suindicate, ne consegue l’illegittimità anche della norma abrogativa dell’IRBA, nella parte in cui ne prevede la salvezza per le annualità sino al 2020, che presenta analoghi profili di contrarietà con il diritto unionale .
L’art. 1, comma 628, legge 30.12.2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), nella parte in cui prevede di applicare l’IRBA ai rapporti pregressi ancora non esauriti, sebbene tale imposta sia stata ritenuta dalla CGUE in contrasto con il diritto unionale sin dal 1992, perché priva della finalità specifica prevista dalle direttive sopra citate, si pone dunque in contrasto con tali principi per cui, nella impossibilità di procedere ad una sua interpretazione conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, se ne impone la disapplicazione, in quanto in contrasto con la direttiva n. 2008/118, così come interpretata, da ultimo, dalla ordinanza del 9 novembre 2021 della Corte di Giustizia Europea di diritto dell’Unione.
Posta l’illegittimità del prelievo, venendo alla richiesta di rimborso rileva che da costante giurisprudenza il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del diritto dell’Unione, nell’interpretazione loro data dalla Corte.
Gli Stati membri sono quindi tenuti, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (sentenza del 19 luglio 2012, RAGIONE_SOCIALE e a., C -591/10, EU:C:2012:478, punto 24 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza 23 aprile 2020, cause riunite C -13/18 e C -126/18, punto 34) .
Non solo il diritto dell’Unione esclude l’applicazione di qualsiasi presunzione o principio in materia di prova volti a far gravare sull’operatore interessato l’onere di dimostrare che i tributi indebitamente pagati non sono stati trasferiti su altri soggetti (sentenza del 21 settembre 2000, NOME, C -441/98 e C 442/98, EU: C:2000:479, punto 42), ma anche di recente la CGUE ha ribadito che ( Corte di Giustizia UE, 7 febbraio 2022, C -460/21, Vapo Atlantic SA, punto 47), ma
afferma anche che, quando è provato che l’onere del tributo indebitamente riscosso sia stato riversato su terzi, il rimborso all’operatore del relativo importo non gli procura necessariamente un arricchimento senza causa, giacché l’incorporazione dell’importo del tributo nei prezzi praticati può avergli arrecato un danno per diminuzione del volume delle sue vendite (v., in tal senso, sentenze del 14 gennaio 1997, Comateb e a., da C -192/95 a C -218/95, EU:C:1997:12, punti da 29 a 32, e del 6 settembre 2011, RAGIONE_SOCIALE e a., C -398/09, EU:C:2011:540, punto 21).
Ne consegue che, ferma l’illegittimità del tributo anche per gli anni precedenti l’abrogazione, può essere escluso il diritto al rimborso dell’imposta già versata nella sola ipotesi in cui risulti provata, con onere della prova a carico dell’amministrazione finanziaria, l’avvenuta traslazione del tributo indebito dal soggetto passivo al consumatore finale, ritenendo di contro indispensabile riconoscere il diritto al rimborso in difetto di tale prova, al fine di garantire effettività alla tutela nei confronti di norme interne confliggenti con quelle unionali.
Il principio di effettività, in base al quale le norme interne non devono rendere ‘impossibile o eccessivamente difficile’ l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario, trova il suo fondamento nell’art. 4, paragrafo, 3 del Trattato UE (ex art. 10 del Trattato della Comunità Europea), che imponendo una leale cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri per assicurare l’adempimento degli obblighi posti dalle norme comunitarie, vincola questi ultimi a produrre all’interno dei propri ordinamenti nazionali le necessarie norme volte a consentire concretamente il pieno esercizio del diritto al rimborso dei soggetti ai quali sono state imposte prestazioni patrimoniali in violazione di norme comunitarie.
Si aggiunga che in relazione al rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario, art. 29, comma 2, della l. n. 428 del 1990, stabilisce che: “I diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni ” (le parole da “circostanza” in poi sono state aggiunte dalla L. n. 13 del 2007, art. 21, in vigore dal 3 marzo 2007).
La S.C., in conformità alle indicazioni ermeneutiche della Corte di Giustizia UE, ha chiarito da tempo che la mancata traslazione del tributo non è elemento del fatto costitutivo del diritto al rimborso, perché l’avvenuta traslazione integra un fatto impeditivo di detto diritto, l’onere della cui prova ricade sull’amministrazione finanziaria .
Tale principio risulta coerente con la struttura del tributo, il cui soggetto passivo è stato individuato dal legislatore nel solo fornitore del prodotto sottoposto ad accisa, per il quale l’accisa costituisce un costo sostenuto prima della cessione del bene al consumatore finale, tale da farlo rientrare nella base imponibile dell’IVA.
Il fornitore non ha un obbligo di rivalsa nei confronti del consumatore finale, come avviene per l’IVA, ma una mera facoltà, con la conseguenza che se attuata la traslazione del costo sul consumatore riguarda esclusivamente il peso economico dell’imposta, senza trasferimento dell’obbligazione tributaria; ne consegue che il rapporto di imposta rimane in capo al fornitore, quale unico obbligato al versamento dell’imposta, mentre ad esso si affianca il diverso rapporto civilistico di rivalsa tra fornitore e consumatore, che rimane separato dal rapporto tributario tra fornitore ed Erario .
Propone ricorso per cassazione la regione Campania con due motivi. Resiste la contribuente con controricorso. L’Agenzia delle Dogane resta intimata.
In data 20 dicembre 2024, la regione Campania deposita istanza di rinvio dell’udienza in considerazione del rinvio pregiudiziale sollevato, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dalla CGT II del Piemonte nei giudizi di rimborso dell’IRBA relativamente all’applicabilità dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 nei casi di traslazione dell’imposta.
In data 21 dicembre 2024, il Pubblico Ministero, in persona della Dott.ssa NOME COGNOME deposita conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del primo motivo, assorbito, o in subordine rigettato, il secondo.
In data 3 gennaio 2025, la contribuente deposita ampia memoria, mediante la quale ulteriormente illustra le sue ragioni, altresì instando, in via di estremo subordine, per
la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia Europea per la definizione delle seguenti questioni pregiudiziali:
-illegittimità della normativa nazionale e regionale (Campania) con la quale è stata istituita l’IRBA;
-illegittimità dell’art. 1, comma 628 della l 178 del 30.12.2020, nella parte in cui ha abrogato l’IRBA solo dal 1° gennaio 2021, facendo salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte, in quanto in contrasto con il diritto comunitario;
-illegittimità della normativa nazionale, laddove ritenuta esistente, che, in materia di accise avente rilevanza comunitaria, nel caso di specie l’IRBA, impone al contribuente, che chieda il rimborso delle somme illegittimamente pretese dallo stato, l’onere di provare la mancata traslazione dell’accise sul consumatore finale, ivi compresi: -l’attuale formulazione dell’art. 7, comma 5 bis, del d.lg.o n. 546/1992, laddove prevede che’ spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati’; l’art. 29, comma 2, della I. n.428/1990.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va rigettata l’istanza di rinvio presentata dalla regione Campania in attesa della decisione sul rinvio pregiudiziale sollevato, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dalla CGT II del Piemonte, atteso che il relativo ricorso (n. 15074 del 2024 R.G.) viene trattato nella medesima pubblica udienza odierna.
I motivi di ricorso sono così letteralmente sintetizzati dalla regione Campania:
Violazione e falsa applicazione di legge art. 360 1 co. n.3 in riferimento agli artt. 7 e 18, 1° co. lett. e) D.Lvo n. 546/92 nonché artt. 2697 c.c. e 112 c.p.c. -Error in judicando. Si denuncia l’erroneità della sentenza perché il giudice di secondo grado ha violato il principio (espresso costantemente anche dalla Suprema Corte) in base al quale il contribuente che presenta un’istanza di rimborso all’ente impositore è onerato della dimostrazione di essere stato economicamente inciso da un prelievo che si assume non dovuto, non essendo sufficiente la mera deduzione che il tributo per cui è causa è stato dichiarato non conforme alle norme dell’UE. Costituisce infatti presupposto logico e di fatto del rimborso la dimostrazione che la decurtazione economica è rimasta a
carico del soggetto che chiede il rimborso e che la relativa prova deve essere fornita dal contribuente.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, 1° co. lett. e) D.l.vo n. 546/92, art. 17 D.l.vo 21/12/1990 n. 398; art. 3 LRC n. 28/2003, n.398 (art. 360, 1° co. n.3 c.p.c.) Si denuncia l’erroneità della sentenza perché non sussiste l’incompatibilità della norma regionale istitutiva dell’IRBA con la Direttiva UE 2008/118.
In via preliminare deve essere esaminata d’ufficio la questione della legittimazione passiva della regione nel presente giudizio in ordine alla istanza di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione azionata nel giudizio di merito, dovendosi richiamare il principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui « la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio » (cfr. Cass., Sez. U., 20 marzo 2019, n. 7925 e, più di recente, Cass., 13 maggio 2024, n. 12936; Cass., 1 luglio 2024, n. 17989; Cass., 1 luglio 2024, n. 18001).
Tanto premesso, nella fattispecie in esame vengono in rilievo l’art. 1 della legge 14 giugno 1990, n. 158 (recante « Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni »), che, nel riconoscere l’autonomia finanziaria delle regioni, prevedeva « l’applicazione di tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune che assicuri il finanziamento delle spese necessarie ad adempiere a tutte le funzioni normali compresi i servizi di rilevanza nazionale » e, in attuazione della delega legislativa, l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del 1990, che stabiliva che « le regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione,
erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva , in misura non eccedente lire 30 al litro ». L’art. 17 d.lgs. n. 398 del 1990, al comma 2, ha poi stabilito che « le regioni, possono, con successive leggi, fissare l’aliquota dell’imposta in misura diversa da quella precedentemente prevista, purché non eccedente lire 30 al litro, sulla benzina erogata successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione ». L’art. 18 ha previsto che « l’imposta eventualmente istituita è dovuta dal soggetto consumatore della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo alla regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’art. 3 del decreto -legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » ed il successivo art. 19 ha disposto che « le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell’imposta nelle casse regionali, le sanzioni, da determinare in misura compresa tra il 50 per cento ed il 100 per cento del tributo evaso, le indennità di mora e gli interessi sono disposti da ciascuna regione con propria legge, con l’osservanza dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato ».
La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 d.lgs. n. 398 del 1990 e, al comma 13, ha inciso sulla struttura dell’IRBA, ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina, con riscossione da parte del soggetto erogatore, tenuto a versarne l’importo alla regione, come previsto dall’art. 18 dello stesso d.lgs n. 398 del 1990), nella misura determinata sulla base dei quantitativi erogati e contabilizzati nei registri di carico e scarico.
Nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in continuità con l’abrogato art. 19 d.lgs. n. 398 del 1990,
lo stesso comma 13 ha altresì precisato che « le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono stabiliti da ciascuna regione con propria legge ». Sempre il comma 13 ha, poi, previsto che, « per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente. Le regioni hanno facoltà di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell’imposta e di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. Ciascuna regione riscuote, contabilizza e dà quietanza delle somme versate, secondo le proprie norme di contabilità ».
A questo assetto normativo si è allineata la disciplina della regione Campania, che, dapprima, con l’art. 3 della legge regionale n. 28 del 2003, ha stabilito che « l’imposta è dovuta alla regione dal concessionario dell’impianto di distribuzione di carburante sulla base dei quantitativi erogati in ogni mese » e, dopo, con l’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 8 del 2004, ha modificato l’art. 3 cit. aggiungendo alla parola « concessionario » le seguenti « e dal titolare », per poi addivenire alla formulazione di detto articolo così come risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 15 del 2005: « L’imposta è dovuta alla regione dal concessionario e dal titolare dell’autorizzazione dell’impianto di distribuzione del carburante o, per loro delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice dell’impianto, su base mensile e sui quantitativi di cui al decreto del Ministero delle finanze 30 luglio 1996, articolo 1, comma 1, lettera d)».
L’IRBA è stata soppressa tanto dal legislatore nazionale, che, con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio 2021), ha disposto che « l’articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l’articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte », quanto dalla stessa regione Campania che, in attuazione della legge di bilancio 2021, con l’art. 54 della legge regionale 29 giugno 2021, n. 5, nel disporre l’abrogazione delle disposizioni normative che, per il passato, avevano regolato il prelievo (comma 2), ha espressamente previsto che « a decorrere dal periodo d’imposta 2021 è soppressa l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte » (comma 1).
Come, dunque, reso esplicito dalla successione normativa sopra ripercorsa, l’IRBA non può trovare più applicazione nella regione Campania a decorrere dall’anno d’imposta 2021.
In ragione di quanto detto, gli aspetti procedurali, dichiarativi, liquidativi, di accertamento, di riscossione e sanzionatori dell’IRBA, ad integrazione e modifica di quanto inizialmente stabilito nel 1990, sono stati modificati e fissati dall’art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, che, per quel che rileva in questa sede, ha stabilito che « gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia
di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente ».
Il conseguente corollario è che l’IRBA è un tributo regionale proprio derivato, in quanto colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico; dunque, l’imposta è dovuta al momento della fornitura della benzina al consumatore finale e il fornitore, « in caso di pagamento indebito, è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 ».
Peraltro, già nell’impianto della legge di delega n. 158 del 1990 (art. 6), la « facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle predette regioni » veniva correlata all’obiettivo di « attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione ».
Anche la Corte Costituzionale, di recente, ha affermato che « l’IRBA è stata prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, in attuazione della legge delega n. 158 del 1990, la quale, all’art. 6, comma 1, lettera c), al dichiarato fine di ‘attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’art. 119 della Costituzione’, aveva consentito a dette regioni di introdurre, con proprie leggi, un’imposta sulla benzina per autotrazione erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nei rispettivi territori» e che « L’IRBA si configura come un tributo regionale proprio derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento
e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico » (Corte cost., 4 giugno 2024, n. 100).
Dunque, l’IRBA rientra tra i cosiddetti ‘tributi propri derivati’ delle regioni, cioè quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b), n. 1, della legge n. 42 del 2009 (legge delega sul federalismo fiscale) sono « istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ».
Detta definizione ha trovato adeguata sede nel decreto legislativo n. 68 del 2011, che all’art. 8 ha elencato i tributi delle regioni a statuto ordinario, distinguendo: al comma 1, i tributi propri autonomi « ceduti », che possono, cioè, essere istituiti e interamente disciplinati o anche soppressi con legge regionale, tra i quali non è previsto il tributo in questione; al comma 2, la tassa automobilistica, che si configura come un tertium genus , vale a dire un tributo proprio derivato particolare, parzialmente « ceduto » alle regioni; al comma 3 i « tributi propri derivati », cioè gli altri tributi riconosciuti alle regioni a statuto ordinario dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Come in numerose occasioni ha affermato la Corte costituzionale, questi tributi, che sono quindi individuati dalla norma in via residuale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (Corte cost., 26 marzo 2010, n. 123; Corte cost., 14 luglio 2009, n. 216; Corte cost., 25 ottobre 2005, n. 397; Corte cost., 26 gennaio 2004, n. 37; Corte cost., 26 settembre 2003, n. 296).
Nel descritto contesto normativo, con specifico riferimento all’IRBA istituita dalla regione Lazio con l’art. 3 della corrispondente legge regionale n. 19 del 2011, e dunque ad una disciplina del tutto omogenea a quella qui in esame, siccome rinveniente dal medesimo fondamento normativo offerto dalla legislazione nazionale e connotata da medesimi contenuti di regolazione, si innesta la considerazione che è intervenuta a sancirne la
contrarietà al diritto unionale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, giusta ordinanza del 9 novembre 2021 resa in causa C -255/20, su rinvio pregiudiziale riguardante l’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell’art. 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 118/08, che dispone nei seguenti termini: « Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni ».
Ai sensi di detta disposizione, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, punto 34), gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che dette imposte rispondano a finalità specifiche e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto sia per la determinazione della base imponibile sia per il calcolo, l’esigibilità ed il controllo. Le due condizioni, che mirano ad evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi, hanno carattere cumulativo e, per quanto attiene alla prima, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che una finalità specifica, per essere tale, non deve essere puramente di bilancio (cfr. CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, punti 19 e ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punti 27 e ss.; CGUE, 25 luglio 2018, causa C-103/17, punti 34 e ss.).
Con riferimento alla nozione di finalità specifica, la Corte di Giustizia, nell’ordinanza richiamata, ha rilevato che l’IRBA istituita dalla regione Lazio « persegue solo una finalità generica di supporto
al bilancio degli enti territoriali» (punto 38), per poi concludere che « l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella italiana istitutiva di un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che «non si può ritenere che tale imposta abbia una ‘finalità specifica’ ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti locali ».
Il quadro d’insieme che si va delineando si completa considerando che, in conformità a quanto stabilito da questa Corte, se è vero che oggetto del presente giudizio è la realizzazione di una pretesa impositiva insorta prima della soppressione del tributo, pretesa impositiva che, stante la su riportata clausola legale, dovrebbe rimanere « salva » nei suoi effetti obbligatori, tuttavia l’accertata incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’UE esclude che la clausola di salvezza in sé e per sé possa sopravvivere alla radicale espunzione del tributo, proprio per le prevalenti considerazioni di incompatibilità rispetto all’ordinamento unionale.
Sicché, per le stesse ragioni ostative già evidenziate dalla CGUE nell’esaminata ordinanza, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna che vorrebbe mantenere al tributo soppresso una residuale efficacia impositiva per il passato, in rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione stessa. Conclusione, questa, che impone di ritenere non dovuta l’imposta anche per le annualità antecedenti al 2021, con ciò parimenti disapplicandosi la previsione di limiti temporali (espliciti od impliciti) di (residua) validità ed efficacia di un’imposta che si pone in già affermato totale contrasto con il diritto dell’UE e, in particolare, con l’articolo 1, par. 2, della direttiva 118/08 (cfr. fra le tante Cass., 6 marzo 2023, n. 6687; Cass., 7 marzo 2023, n. 6858; Cass., 8 marzo 2023, n. 6966; Cass., 19 giugno 2023, n. 17436; Cass., 19 giugno 2023, n. 17529).
Fermo quanto precede, anche rispetto alla nozione di finalità specifica in relazione alla legge regionale campana n. 28 del 2003, deve rilevarsi che l’art. 1, comma 3, della stessa esula dalla finalità specifica per come individuata dalla direttiva testé citata, alla luce dell’ordinanza della Corte di Giustizia del 9 novembre 2021, rivelando una pura e semplice finalità di gettito o di bilancio. L’art. 1, comma 3, cit., infatti ha previsto una destinazione del gettito prodotto dall’IRBA, unitamente al gettito prodotto dalla tassa e dalla sopratassa automobilistica regionale (ex art. 2) ad un fondo « prioritariamente utilizzato per il rafforzamento patrimoniale delle aziende sanitarie locali o per l’incremento del capitale della società di cui all’articolo 6, comma 1 », disponendo, inoltre, che « per il finanziamento del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 400 milioni di euro per l’anno 2004 e di 200 milioni di euro per l’anno 2005 ».
Alla luce di quanto esposto, dunque, deve ritenersi che, conformemente a quanto affermato dai giudici unionali, la legge regionale campana n. 28 del 2003 non ha previsto una « finalità specifica » ai sensi dell’art. 1, par. 2, della direttiva 118/08, dovendosi considerare che il finanziamento di un fondo del bilancio regionale avente come scopi il rafforzamento patrimoniale delle aziende sanitarie locali e l’incremento del capitale di una società destinata a sviluppare programmi per la gestione del debito sanitario regionale rappresenti una finalità di bilancio, peraltro finanziata anche da altre fonti (quale la sopratassa automobilistica regionale) e comunque individuata solo in relazione ai periodi 2004 e 2005.
Ed invero, la finalità specifica non può mai esser data dalla finalità di bilancio, perché qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, mentre, per soddisfare il requisito unionale, è necessario che l’imposta sia diretta di per sé a garantire la tutela della salute e dell’ambiente in tanto in quanto il
gettito sia obbligatoriamente utilizzato al fine di ridurre i costi sociali ed ambientali precipuamente connessi al consumo del carburante su cui essa grava, cosicché sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta; pertanto, deve essere esclusa la finalità specifica nel caso in cui il gettito sia finalizzato (come nel caso di specie) alle spese sanitarie in generale e non a quelle specificamente connesse al consumo del carburante. Ciò conformemente ai principi statuiti dai giudici unionali che, ai fini della configurabilità della finalità specifica, hanno ritenuto necessario che la normativa nazionale preveda meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’imposta e, in mancanza di siffatta assegnazione predeterminata, che l’imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare i prodotti i cui effetti sono più nocivi per la salute e per l’ambiente.
Dunque, anche in relazione alla legge regionale campana n. 28 del 2003, deve rilevarsi che l’incasso regionale del tributo è indebito, in quanto l’IRBA non soddisfaceva i requisiti previsti dalla direttiva 118 del 2018, poiché non era individuabile la finalità specifica secondo l’interpretazione vincolante della Corte di Giustizia (cfr., fra le tante, con riferimento a diverse leggi regionali, Cass., 31 luglio 2023, n. 23201; Cass., 19 giugno 2023, nn. 17529 e 17436; Cass., 25 maggio 2023, n. 14606; Cass., 8 marzo 2023, nn. 6966, 6961, 6956, 6943, 6923 e 6903; Cass., 6 marzo 2023, n. 6687).
Quanto precede per addivenire alla conclusione che, nella vicenda in esame, alla base delle istanze di rimborso si collocano assestati profili di incompatibilità del prelievo con l’art. 1, par. 2, della suddetta direttiva di armonizzazione del sistema delle accise, per l’assenza di una « finalità specifica » qualificante il prelievo.
E tuttavia -così pervenendosi al momento nodale della decisione – il gettito è stato procurato alle regioni da una legge dello Stato che non ha riconosciuto alcuna discrezionalità a livello locale, al punto da elidere ogni margine di autonomia finanziaria periferica, e non è stato nemmeno gestito dalle regioni, che hanno svolto un mero ruolo di servizio all’interno di assetti stabiliti dal legislatore statale.
Prova ne è che le procedure e gli atti necessari a fornire attuazione al prelievo (modelli, dichiarazioni di consumo, canali telematici di trasmissione, ecc.) sono stati definiti dall’Agenzia delle Dogane, che, inoltre, è rimasta per legge titolare delle funzioni di accertamento e riscossione coattiva del tributo.
Nessuna competenza è, dunque, residuata alle regioni in ordine alla definizione dello schema di attuazione del tributo, regolato, da ultimo, dall’art. 3 della legge n. 549 del 1995.
Ancora, la destinazione finale del gettito a favore delle regioni non costituisce un elemento sufficiente ad indurre, da un lato, i titolari delle azioni di rimborso a rivolgere l’istanza direttamente all’ente territoriale e, dall’altro, l’Agenzia fiscale ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva nelle controversie giudiziarie nate dai dinieghi di rimborso del tributo.
Ritenere diversamente significa superare limiti di carattere operativo, oltreché giuridico, dal momento che agli enti territoriali è preclusa la verifica in concreto del presupposto del diritto al rimborso, non avendo tra l’altro avuto mai evidenza (salva l’eventuale prova processuale) degli effettivi versamenti eseguiti dai sostituti per ciascun contribuente nelle annualità in questione. In altri termini, le regioni, a differenza dell’erario, non hanno e soprattutto non possono acquisire, mediante procedure di accertamento che competono solo a quest’ultimo, contezza dell’intervenuta unitaria corresponsione del tributo, disponendo di mere comunicazioni in forma aggregata sui volumi dell’imposta che
ciascun soggetto tenuto al versamento del tributo ha indirizzato, non a caso, in via prioritaria, secondo quanto previsto dalla normazione statale anche di attuazione (decreto del Ministro delle finanze 30 luglio 1996), all’Agenzia delle Dogane: comunicazioni di per sé inidonee verificare se e quali somme siano state versate da parte di chi abbia successivamente azionato il diritto di rimborso.
Sul piano giuridico, l’affermazione della legittimazione passiva dell’Agenzia delle Dogane, in ragione della natura erariale di prelievi normati dal legislatore statale al fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti periferici, tiene specificamente conto del dato normativo (art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, che stabilisce che « gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, con le modalità stabilite dal Ministero delle finanze, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono, e trasmettono alle regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente; inoltre, le regioni devono segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento »). Tale affermazione è ulteriormente avvalorata dalla finalità specifica del prelievo, identificata nello scopo esclusivo di creare ‘finanza aggiuntiva’ alle regioni, che ne giustifica la qualificazione in termini di « mero trasferimento di risorse dallo Stato agli enti territoriali », secondo la previsione di cui all’art. 119, secondo comma, ultima parte, della Costituzione.
Da ultimo, va valorizzata la circostanza dell’assoluta marginalità delle regioni nell’attuazione del tributo, che induce a configurarne
le funzioni -sempre nell’ambito della qualificazione, strettamente statale, dell’imposta e della relativa competenza attuativa -in termini di ‘mera tesoreria’ nel trasferimento di risorse. E d’altro canto, come già detto, il riferimento del citato art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995 alla competenza dell’Agenzia delle Dogane in ordine ai servizi del contenzioso non può che evocarne sul piano processuale la legittimazione attiva e passiva.
Mette poi conto rilevare che la vicenda che ne occupa è assai prossima a quella decisa da questa Corte, in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis cod. proc. civ., con riferimento al rimborso di versamenti dell’addizionale provinciale per le accise sull’energia elettrica (istituita dall’art. 6 del decreto -legge n. 511 del 1988 al fine di sopperire alle esigenze finanziarie degli enti territoriali ed abrogata dall’art. 2, comma 6, del decreto legislativo n. 23 del 2011, con decorrenza dal 1° gennaio 2012, per le regioni a statuto ordinario e dall’art. 4, comma 10, del decreto legge n. 16 del 2012, con decorrenza dal 1° aprile 2012, per le regioni a statuto speciale, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 118/08). In tale fattispecie, questa Corte ha statuito il seguente principio di diritto: « Spetta in via esclusiva all’Agenzia delle dogane e dei monopoli la legittimazione passiva nelle liti promosse dal cedente della fonte energetica per il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise, di cui all’ abrogato art. 6, del decreto -legge 511/1988, per forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW » (Cass., 2 agosto 2024, n. 21883).
Deve, dunque, riconoscersi la legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane nel procedimento amministrativo e di poi nell’azione di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione incassata dalle regioni, stante la natura erariale del prelievo, previsto dal legislatore statale al solo fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti territoriali.
In considerazione di quanto esposto, va evidenziata la irrilevanza di eventuali Convenzioni tra regione e Agenzia delle Dogane, in relazione alle quali il Presidente, all’udienza pubblica, ha specificamente richiesto alle parti di interloquire, che, comunque, ove esistenti, non incidono sulla gestione dei rimborsi.
Le suddette argomentazioni superano in radice qualsivoglia questione (introdotta dalla regione Campania) in ordine alla valutazione di ammissibilità dell’istanza di rimborso in riferimento all’obbligo di comunicazione della stessa anche all’Agenzia delle Entrate competente, ex art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, dovendosi oltretutto ritenere che nel giudizio di cassazione è precluso rilevare questioni di diritto pur conoscibili d’ufficio implicanti indagini ed accertamenti di fatto non effettuati (come nella specie) dal giudice di merito (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
Le suddette argomentazioni, in uno all’esito del giudizio, rendono conto dell’insussistenza dei presupposti per attivare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia nei termini richiesti dalla contribuente.
In conclusione, pronunciando sul ricorso, con esclusivo riferimento alla posizione riguardante la regione Campania, della quale soltanto quivi si discute avendo solo essa proposto ricorso per cassazione, mentre, come visto, l’Agenzia delle Dogane (già destinataria dell’istanza di rimborso) non ha assunto difese, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio e va dichiarato inammissibile il ricorso originario alla medesima regione Campania dalla contribuente notificato.
Sussistono i presupposti, in considerazione dell’evoluzione normativa ed interpretativa di cui si è dato conto nonché della complessità della materia trattata, per compensare tra la regione Campania e la contribuente le spese sia dei giudizi di merito che del giudizio di legittimità.
Nulla è a statuirsi in punto di spese con riguardo all’Agenzia delle Dogane, per non aver questa esperito attività processuale.
P.Q.M.
La Corte,
pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla regione Campania e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite limitatamente alla regione Campania.
Compensa interamente le spese tra la regione Campania e RAGIONE_SOCIALE con riferimento a tutti i gradi di giudizio.
Così deciso a Roma, lì 14 gennaio 2025.