Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24775 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24775 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 6240-2017, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
NOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso –
Controricorrente della sentenza n. 820/07/2016 della Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo , sez. staccata di Pescara, depositata il 6 settembre 2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 luglio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza e dagli atti difensivi delle parti si evince che l’Agenzia delle entrate , all’esito di una verifica fiscale condotta dalla GdF , notificò ad
Accertamento -Fatturazione on-line -Account in uso ad altro soggetto -Legittimazione passiva
NOME COGNOME l’avviso d’accertamento con cui, relativamente all’anno 2008, pretese maggiori imposte. La contestazione trovava genesi nella constatazione che il contribuente aveva esercitato attività di commercio online tramite il portale EBay, regolarizzando tuttavia la propria posizione fiscale, con apertura di una partita iva, solo dal dicembre 2008.
L’Agenzia delle entrate determinò il reddito , acquisendo i dati commerciali della società RAGIONE_SOCIALE, a cui la Ebay aveva emesso fatture, ma per le operazioni eseguite dal NOME, che a quell’account, in mancanza di uno proprio, si era appoggiato.
Il contribuente impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara, che ne accolse le ragioni, annullando l’atto, con sentenza n. 331/01/2014.
L’Ufficio appellò la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, che rigettò tuttavia le doglianze con sentenza n. 820/07/2016, ora al vaglio di questa Corte.
Il giudice regionale ha rilevato che l’attribuzione al NOME d ella documentazione fiscale per operazioni commerciali eseguite sull’account della società RAGIONE_SOCIALE, per essere questo un indirizzo utilizzato dalla stessa società giuridica per proprie operazioni, non consentiva di avere specifici elementi di riscontro del collegamento delle vendite alla persona fisica del Gianvito e non invece alla RAGIONE_SOCIALE. Ha dunque ritenuto di accogliere l’eccepito difetto di legittimazione passiva del contribuente, così confermando quanto già delibato dal giudice di primo grado.
L ‘Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso il contribuente.
All’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l ‘ufficio ha lamentato l ‘omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, in relazione all ‘art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. La sentenza d’appello non avrebbe tenuto conto di tutti i numerosi indizi allegati dall’amministrazione finanziaria a dimostrazione che quelle operazioni dovevano essere attribuite al NOME.
Il motivo è inammissibile.
RGN 6240/2017
La sentenza risulta pubblicata il 6 settembre 2016. Ad essa trova pertanto applicazione la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., che, introdotta dell’art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito della legge 7 agosto 2012, n. 134, è entrata in vigore dal giorno 11 settembre 2012 e dunque anteriormente alla pubblicazione della sentenza impugnata. Pertanto nel ricorso per cassazione non sono più ammissibili le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza, e al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Con la nuova formulazione del n. 5 dunque lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Si è anche affermato che la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie sempreché la o le risultanze non considerate partitamente non siano tali da condurre ad una diversa decisione – dovendo solo fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.
Nel caso di specie il giudice regionale ha ritenuto che gli elementi allegati dall’amministrazione finanziaria non fossero idonei ad escludere che le operazioni , che l’ufficio riteneva riconducibili all’attività di commercio on-line
espletata dal NOME, non appartenessero invece alla società RAGIONE_SOCIALE, titolare dell’account e d esercente evidentemente la stessa attività o comunque una similare. Ma soprattutto, ai fini della inammissibilità del motivo, milita la considerazione che la ricorrente non ha indicato un fatto storico, ma una serie di indizi, che a suo dire il giudice non avrebbe adeguatamente valorizzato e correttamente interpretato. Con ciò l’Agenzia delle entrate non ha in realtà lamentato l’ omesso esame di un fatto decisivo, ma ha sollecito questa Corte ad una rivalutazione degli elementi probatori, attività riservata solo al giudice di merito ed inammissibile in sede di legittimità.
Il ricorso in definitiva deve essere rigettato.
Le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate in favore del controricorrente nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di causa, che si liquidano in fa vore del NOME nella misura di € 4.300,00 p er competenze, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie, nella misura del 15% delle competenze, ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025