Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15294 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma ;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , nella qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura allegata al controricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Enna con studio in Nicosia, INDIRIZZO che ha indicato recapito Pec;
-controricorrente –
e contro
Agenzia delle Entrate Riscossione , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura allegata al controricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con studio in Catania alla INDIRIZZO che ha indicato recapito Pec;
-controricorrente –
–
OGGETTO:
Cartella
di
pagamento
–
Modalità
di
calcolo
degli
interessi
Legittimazione.
avverso
la sentenza n. 1664/2017, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sezione 7, il 3.4.2017, e pubblicata l’8.5.2017;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
Fatti di causa
NOME COGNOME impugnava innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado di Nicosia due avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte dirette nel 1984, con i quali veniva accertata una maggiore IRPEF per gli anni d’imposta 1975 e 1976.
L’Ufficio appellava la decisione di primo grado favorevole al contribuente; la Commissione Tributaria di secondo grado di Enna accoglieva il gravame.
Il contribuente impugnava la decisione sfavorevole innanzi alla Commissione Tributaria Centrale di Palermo, che, con ordinanze nn. 286 e 287 depositare il 17.5.2011, dichiarava estinti i giudizi per mancata presentazione dell’istanza di trattazione ex art. 75, comma 2, D.lgs. n. 546 del 1992.
1.1. L’Amministrazione finanziaria iscriveva a ruolo le imposte e gli interessi dovuti dal contribuente, nelle more deceduto. La RAGIONE_SOCIALE, Concessionario per la riscossione in Sicilia, notificava agli aventi causa la cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME impugnavano la cartella di pagamento loro notificata, in qualità di eredi di COGNOME NOME, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Enna, e contestavano l’inesistenza e la nullità della notifica delle ordinanze di estinzione pronunciate dalla CTC . Con riguardo alla cartella di pagamento, criticavano la mancata indicazione delle ordinanze di estinzione, la
nullità delle notifiche per omessa identificazione del messo, il mancato invio dell’avviso bonario, il difetto di sottoscrizione e l’intervenuta prescrizione del credito.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio affermando la regolarità della propria attività e, con riferimento agli asseriti vizi della cartella di pagamento, ne rilevava l’opponibilità all’Agente della riscossione RAGIONE_SOCIALE
Questa si costituiva in giudizio affermando la legittimità delle cartelle di pagamento.
La Commissione Tributaria Provinciale di Enna, con sentenza n. 600 del 7 novembre 2013, accoglieva il ricorso dei contribuenti ed annullava il provvedimento impugnato.
L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la sentenza sfavorevole conseguita dalla CTP di Enna, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Palermo. L’Amministrazione finanziaria censurava il proprio difetto di legittimazione passiva e la carente ed erronea motivazione della sentenza impugnata. I contribuenti resistevano criticando, innanzitutto, la carenza di interesse a proporre appello da parte dell’Agenzia delle Entrate. Formulavano, inoltre, appello incidentale con il quale contestavano, tra l’altro, l’omessa indicazione nella cartella di pagamento della data di notificazione delle ordinanze di estinzione dei giudizi emesse dalla CTC di Palermo, il mancato invio dell’avviso bonario e la prescrizione del credito.
La Commissione Tributaria Regionale di Palermo respingeva i ricorsi delle parti e confermava integralmente la decisione del giudice di primo grado.
Avverso la sentenza del giudice dell’appello ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate adducendo due motivi di impugnazione. Hanno resistono mediante controricorso i citati COGNOME NOME Pietro e NOME, nonché COGNOME NOMECOGNOME nella su richiamata qualità di eredi di COGNOME NOME .
4.1. Questa Corte, con ordinanza 6.11.2024, n. 28537, rinviava la causa a nuovo ruolo richiedendo di integrare il contradittorio in favore dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, già parte del giudizio d’appello. L’ADER si costituiva con Avvocato del libero Foro depositando controricorso, con il quale chiedeva il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo.
I contribuenti hanno anche depositato una memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la «violazione e/o falsa applicazione degli articoli 10 e 19 del d.lgs. n. 546/1992, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 132, comma 2, numero 4) c.p.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.».
L’Ente impositore critica la nullità della decisione impugnata, in particolare, a causa della mancanza di motivazione della sentenza, lamentando che i giudici d’appello non hanno tenuto in debita considerazione l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, atteso che la controversia verte su asseriti vizi propri della cartella esattoriale opponibili esclusivamente al Concessionario per la riscossione.
Con il secondo mezzo di impugnazione, l’Ente impositore censura la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 del DPR. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 132, comma 2, numero 4) c.p.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.».
L’Agenzia delle Entrate denuncia la nullità della decisione impugnata, a causa, in particolare, della contraddittorietà della motivazione della pronuncia nella parte in cui la CTR ha, da un lato, affermato che il contribuente deve essere messo in grado di
verificare la correttezza del calcolo degli interessi, e, dall’altro, ha poi condiviso le opposte affermazioni della CTP.
Preliminarmente occorre osservare che, nel suo controricorso, l’Agenzia delle Entrate Riscossione ha affermato che la cartella di pagamento oggetto del presente giudizio è stata interamente sgravata. I contribuenti, nella loro memoria, hanno dichiarato di aderire alla richiesta di cessazione della materia del contendere. Deve, però, rilevarsi che l’ADER non ha prodotto copia del provvedimento di sgravio, e gli stessi controricorrenti non hanno neppure allegato di esserne venuti a conoscenza.
Occorre, pertanto, procedere ad esaminare il merito del ricorso.
Con il primo mezzo d’impugnazione l’Agenzia delle Entrate si duole -come già detto – della mancanza di motivazione della sentenza della CTR. Il difetto di motivazione, nella prospettazione della ricorrente si estrinseca ‘in argomentazioni non idonee a rilevare la ratio decidendi ‘. L’Ente impositore oppone che ‘i giudici dell’appello, infatti, non hanno tenuto in debita considerazione l’eccezione di difetto di legittimazione passiva opposta dall’Agenzia delle Entrate dal momento che la controversia verte su asseriti vizi propri della cartella esattoriale ed opponibili, pertanto, esclusivamente nei confronti dell’Ente concessionario della riscossione, secondo quanto disposto dall’art. 19 del d. lgs. n. 546/1992’ (ricorso pp. 10 e 11).
Trattasi di questione di puro diritto su cui questa Corte regolatrice è comunque tenuta a pronunciare.
4.1. Occorre allora ricordare che l’art. 10 del D.lgs. 546 del 1992 dispone che ‘ sono parti nel processo dinnanzi alle Corti di Giustizia tributaria di primo e secondo grado oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate … l’agente della riscossione … ‘. Detta norma deve essere letta in combinato disposto con l’art. 39 del D.lgs. n. 112 del 1999, il quale prevede che ‘ Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente
la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite ‘.
La disposizione si occupa del caso in cui l’Ente della riscossione possa autonomamente avere legittimazione passiva, non anche, invece, di negare la legittimazione passiva dell’Ente creditore. Le norme in esame, in altri termini, non escludono la legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate, Ente impositore, ma giustificano, in alcuni casi, quella dell’Ente della riscossione. Ciò è dovuto alla natura dell’Incaricato alla riscossione quale adiectus solutionis causa , ossia quale soggetto incaricato di ricevere il pagamento dal contribuente.
A conferma può richiamarsi il principio espresso da questa Corte (Sez. VI-V, 16.2.2022, n. 5062) secondo cui in tema di contenzioso tributario, qualora il contribuente abbia impugnato una cartella di pagamento emessa dal Concessionario per la riscossione, per motivi che non attengono a vizi della cartella medesima, il ricorso deve essere notificato all’ente impositore quale titolare del credito oggetto di contestazione nel giudizio, essendo il Concessionario un mero destinatario del pagamento, o più precisamente, mutuando lo schema civilistico dell’art. 1188 c.c., il soggetto incaricato dal creditore ed autorizzato a ricevere il pagamento (negli stessi termini, cfr., in precedenza, già Cass., Sez. V, 15.04.2011, n. 8613).
4.2. La ricorrente Agenzia delle Entrate contesta il difetto di motivazione in quanto dalle argomentazioni della sentenza non emerge la ratio decidendi . Questa Corte regolatrice ha avuto modo di chiarire che la motivazione apparente così come denunciata dal ricorrente deve riferirsi a motivazioni sviluppate con argomentazioni inidonee a rivelare il procedimento logico attraverso il quale il giudice di merito è pervenuto alla sua decisione ovvero logicamente inconciliabili tra loro (Cass., V sez.,
15 marzo 2002, n. 3868). Il giudice di secondo grado afferma che ‘con il primo motivo di appello l’Amministrazione Finanziaria eccepisce la mancata pronuncia da parte del Giudice sulla dedotta richiesta di legittimazione passiva, rilevando che già in primo grado gli appellanti avrebbero eccepito vizi propri della cartella impugnata con la conseguente opponibilità di tali vizi soltanto al concessionario della riscossione.
La censura introdotta dall’Amministrazione finanziaria è infondata.
Dalla documentazione versata in atti del fascicolo di primo grado, infatti, è agevole evincere che già nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i contribuenti avevano formulato una serie di eccezioni riguardanti direttamente la condotta ed i provvedimenti posti in essere dall’Amministrazione Finanziaria (sentenza CTR p. 2 s.). Appaiono di tutta evidenza l’ iter logico e la ratio decidendi del giudice che, appunto, si riferiscono all’oggetto della contestazione, peraltro facendo proprio il costante orientamento di questa Corte.
Il primo motivo di ricorso risulta, pertanto, infondato.
Con il secondo strumento di impugnazione l’Ente impositore eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del Dpr n. 602 del 1973, che ‘non prevede infatti alcuna indicazione delle modalità di calcolo degli interessi’ (ric., p. 14), nonché la contraddittorietà e la illogicità della motivazione.
5.1. Il secondo motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria trae origine da una lettura non condivisibile della decisione del giudice dell’appello.
La CTR, infatti, ha motivato che ‘con il quinto motivo di appello incidentale viene eccepito’ dai contribuenti, ‘la omessa indicazione delle modalità di calcolo degli interessi’. Quindi la CTR ripercorre le ragioni per le quali ritiene che la contestazione non sia meritevole di accoglimento, ed alfine scrive che ‘parimenti infondato risulta anche l’appello incidentale proposto dalla parte contribuente che va
rigettato’ (sent. CTR, p. 4). In conseguenza l’Amministrazione finanziaria non aveva nulla di cui lamentarsi sul punto, essendo stata la sua prospettazione condivisa dal giudicante, difettava di interesse, ed il suo secondo motivo di ricorso risulta perciò inammissibile.
5.2. Il motivo è, comunque, pure infondato.
Non coglie nel segno la censura di contraddittorietà della motivazione proposta dall’Amministrazione finanziaria. Il giudice dell’appello rigetta il motivo del ricorso incidentale perché ‘nessuna norma dispone che venga analiticamente indicato il metodo di calcolo degli interessi risultando sufficiente che venga indicato in modo astratto l’indicazione delle disposizioni di riferimento o i relativi criteri per il calcolo in parola, così come rilevato anche dai giudici di prime cure e che questo collegio ritiene di dover condividere’ non contraddice l’esigenza di consentire al contribuente di ‘verificare la correttezza del calcolo degli interessi’. La motivazione risulta coerente con l’orientamento di questa Corte che, pronunziando a Sezioni Unite, ha statuito che ‘la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati -attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui
questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo (Cass. SS. UU., 14.7.2022, n. 22281).
D’altronde, se è annullata la pretesa impositiva, viene meno anche la pretesa relativa alla corresponsione degli interessi.
Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate risulta in definitiva infondato, e deve perciò essere respinto. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza (con attribuzione al difensore antistatario) , nei rapporti tra l’Agenzia delle Entrate ed i contribuenti e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura della pronuncia emessa e del valore del giudizio. Nei rapporti tra l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate Riscossione, invece, le spese di lite possono essere interamente compensate.
6.1. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dei contribuenti, e le liquida in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre 15% per le spese generali, Euro 200,00 per esborsi ed accessori come per legge, somme da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Spese compensate tra l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
Così deciso in Roma, il 16.4.2025.