Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17681 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17681 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Accertamento societario Ires-IrapIva-Ricorso proposto dal destinatario dell’avviso intestato alla società-Legittimazione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10980/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME destinatario dell’avviso di accertamento intestato a NOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t ., domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale è difesa ope legis ;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Emilia -Romagna n. 1285/2021 depositata in data 28 ottobre 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ udienza pubblica del 2/04/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME;
udito l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente; udito l’avv . COGNOME per l’Avvocatura generale dello Stato .
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Ferrara, emetteva l’ avviso di accertamento n. THD03I400129/2016 a fini Ires, Irap e Iva anno di imposta 2010, con cui recuperava nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE società con sede in Liechtenstein ma da ritenersi avere la sede effettiva in Italia, i ricavi derivanti da una cessione di terreni in Costa Smeralda, formalizzata mediante scrittura privata autenticata dal notaio COGNOME in data 05/03/2010 e registrata in data 15/03/ 2010 presso l’Ufficio Territoriale di Bologna, in favore di altra società con sede in Lussemburgo, la RAGIONE_SOCIALE; l’avviso era notificato alla società, presso il domicilio fiscale eletto in Italia e ad NOME COGNOME quale suo rappresentante fiscale in Italia.
La Commissione tributaria provinciale di Ferrara accoglieva il ricorso, evidenziando che il COGNOME non poteva essere considerato amministratore di fatto della società, che questa non era esterovestita e ch e quindi la notifica dell’avviso nei suoi confronti era inesistente.
La Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna accoglieva l’appello erariale.
In particolare, evidenziava che il COGNOME era da considerarsi amministratore di fatto della società; che questa doveva considerarsi
avere sede effettiva in Italia; che l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato; che il recupero del maggior valore del bene ceduto era fondato.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente sulla base di sei motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La causa è stata fissata per l ‘udienza pubblica del 2 aprile 2025, per la quale l’ufficio del PM ha depositato memoria con cui ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo gruppo di motivi di ricorso, proposti ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., il ricorrente censura la sentenza di appello ove ha ritenuto sussistente la sua qualità di amministratore di fatto; deduce (i) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, quale la sussistenza della qualifica di amministratore di fatto; (ii) in subordine, nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. -travisamento di prova; (iii) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2639 c.c. in relazione all’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986.
Con una prima censura il ricorrente deduce l’omesso esame, da parte del giudice dell’appello, di un fatto decisivo per il giudizio, ovvero la sussistenza della qualifica di amministratore di fatto e beneficiario economico della Renaredda in capo a soggetto diverso dal ricorrente, nella specie, in c apo all’avv. NOME COGNOME notorio collaboratore del Principe NOME COGNOME. L’esistenza di tale fatto oltre ad essere stata affermata dalla stessa sentenza di primo grado -è stata oggetto di rituale allegazione e prova documentale da parte del ricorrente per tutto il corso del giudizio emergendo da ultimo dalla documentazione reperita dall’avv. COGNOME dopo il decesso dell’avv. COGNOME
ritualmente depositata nel giudizio di secondo grado in sede di memoria illustrativa del 03/09/2021.
Con una seconda censura, formulata in subordine, nella ipotesi in cui la Suprema Corte adita ravvisasse nella proposizione «è irrilevante che in sede di successione ereditaria il formale amministratore avv. COGNOME ha attribuito in una missiva (…) il ruolo non meglio definito di ADE all’avv. NOME COGNOME senza alcuna produzione societaria di riscontro» un implicito esame (e rigetto) della questione relativa all’effettiva qualifica dell’avv. COGNOME quale amministratore effettivo della Renaredda, la sentenza sarebbe comunque censurabile per l’errore di percezione in cui è incorso il g iudice dell’appello; errore che «cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., per violazione dell’articolo 115 del medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate assenti, ma in realtà offerte». In particolare, la CTR non avrebbe percepito il reale contenuto dei documenti pure ritualmente offerti alla sua valutazione.
Con una terza censura il ricorrente contesta il positivo accertamento della qualifica di amministratore di fatto sulla scorta di circostanze che non soddisfano i requisiti dettati dall’art. 2639 c.c. , secondo cui tale qualifica può essere attribuita solo a chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; la CTR avrebbe quindi errato dando rilevanza al carattere generale della procura, avulso dalle concrete funzioni poi esercitate, al prelievo fatto dal COGNOME sul conto della Renaredda in circostanze e tempi non meglio precisati, all’esistenza di un conto corrente in Italia -peraltro accertato in altra sentenza, la n. 198/2019 della stessa CTR Emilia Romagna verso cui era stato proposto ricorso per cassazione (RG n. 24407/2020).
1.2. Con il secondo gruppo di motivi, proposti ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c., viene censurata la ritenuta esterovestizione, e si deduce: (i) v iolazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986; (ii) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la collocazione all’estero del cd. place of effective management della società RAGIONE_SOCIALE
Sotto un primo profilo, la CTR avrebbe omesso di esaminare i seguenti fatti, tutti aventi carattere di decisività alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale del concetto di esterovestizione che riconosce centralità assoluta al luogo da cui promanano le decisioni inerenti alla società: a) la società ha la propria sede legale in Vaduz, Liechtenstein; b) è sottoposta alle direttive e al controllo costante di persone di residenza estera, in particolare dell’avv. COGNOME reale dominus della società; c) ha la propria sede amministrativa a Ginevra, luogo dove si tengono le assemblee; d) detiene tutta la propria documentazione in Vaduz, come rappresentato dalla missiva del 29/03/2017 proveniente dalla società RAGIONE_SOCIALE, fiduciaria dell’avv. COGNOME
In memoria si segnala che l’infondatezza della asserita esterovestizione societaria della RAGIONE_SOCIALE era stata affermata anche in sede penale, stante l’archiviazione, in data 23 /03/2016, del procedimento penale n.r.g. 5053/2013 che aveva visto COGNOME indagato per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000. Sotto tale aspetto, se è vero che l’attuale formulazione dell’art. 21 -bis del d.lgs. 74/2000 non consente di affermare l’efficacia vincolante del provvedimento di archiviazione, si assume che non possa prescindersi dal considerare anche l’esito di tale indagine, pretermessa totalmente dalla valutazione della CTR.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione del l’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54 del d.P.R. n. 633/1972, alla luce delle
modifiche apportate dalla legge comunitaria n. 88 del 07/07/2009, e degli artt. 85 e 86 t.u.i.r. come modificati dal decreto internazionalizzazione (art. 5 d.lgs. n. 47/2015) e del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.
Il motivo di ricorso, formulato per l’ipotesi di mancato accoglimento dei motivi che precedono, censura la parte della sentenza impugnata con la quale il giudice di seconde cure ha ritenuto non condivisibile la doglianza del COGNOME in ordine alla errata ricostruzione dei ricavi compiuta dall’Agenzia delle entrate; infatti la base imponibile ricostruita dall’Ufficio non veniva determinata in relazione al corrispettivo dichiarato in contratto dalle parti (Euro 50.000,00) bensì sulla scorta del valore di mercato dei terreni ceduti così come rideterminati dall’Ufficio Provinciale del Territorio di Sassari in una perizia estimativa utilizzata in precedenza per l’emissione dell’ avviso di rettifica e liquidazione n. NUMERO_DOCUMENTO avente ad oggetto la rideterminazione dell’imposta di registro di una successiva transazione di alcuni dei terreni.
Sotto un primo profilo, l’Ufficio aveva dunque applicato la disciplina introdotta dall’art. 35 del d.l . n. 223/2006, che ha integrato l’art. 39, comma 1, lett. d), del d .P.R. n. 600/1973 e l’art. 54 , comma 3, del d.P.R. n. 633/1972, determinando il ricavo sulla base del valore normale determinato ai sensi dell’art. 14 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 9, comma 3, t.u.i.r., non considerando però che tali norme erano state abrogate dalla l. n. 88 del 7/07/2009.
Sotto un secondo profilo, nel determinare il valore della cessione mediante una perizia estimativa utilizzata per un accertamento in materia di registro e che aveva considerato quale criterio proprio quello del valore normale, l’Ufficio non si era avveduto dell’introduzione, ad ope ra dell’art. 5, c omma 3, d.lgs. n. 147/2015, di una norma di interpretazione autentica avente efficacia retroattiva che sul punto
afferma testualmente «gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, … si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
Pertanto la CTR, nel condividere l’operato dell’Ufficio che ha utilizzato quale criterio di stima del valore degli immobili ceduti la perizia dell’Agenzia territoriale di Sassari (utilizzata in sede di accertamento dell’imposta di registro mediante il ricorso al criterio d el valore normale) e nel considerare generiche le contestazioni svolte dal ricorrente attribuendo allo stesso oneri probatori inesistenti, avrebbe violato sia gli artt. 85 e 86 t.u.i.r. come interpretati dal citato art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147/2015, sia gli artt. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e 54 del d.P.R. n. 633/1972 alla luce delle modifiche apportate dalla legge comunitaria, n. 88/2009, nonché l’art. 2697 c.c. , con conseguente necessità di suo annullamento.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma, n. 4, c.p.c., si deduce, in relazione all’art . 112 c.p.c., omessa pronuncia sull’eccezione di inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento per violazione e falsa applicazione degli artt. 58, terzo comma, 60, 62 del d.P.R. n. 600/1973 e 145 c.p.c.; il contribuente aveva infatti contestato l ‘inesistenza della notifica all’amministratore di fatto, in presenza di amministratori legali perfettamente individuabili, e la cessazione della propria qualità di rappresentante fiscale a far data dal 3/01/2000.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 58, terzo comma, 60, 62 del d.P.R. n. 600/1973 e 145 c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma n. 5, c.p.c., si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la cessazione della carica di rappresentante fiscale in capo a COGNOME al momento della notifica
Il ricorrente, in subordine, ove sussistesse un rigetto implicito della questione relativa alla esistenza della notifica nei termini descritti al motivo che precede, deduce: (i) violazione e falsa applicazione degli artt. 58, comma 3, 60, 62 del d.P.R. n. 600/1973 e 145 c.p.c., in relazione alla notifica dell’accertamento ad NOME COGNOME quale amministratore di fatto, in presenza di un amministratore di diritto, per le ragioni già evidenziate nel motivo che precede; (ii) omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla perdita della qualità di rappresentante fiscale in data antecedente al la notifica dell’avviso di accertamento.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 d .lgs. 31/12/1992, n. 546, in quanto la condanna al pagamento delle spese è stata inspiegabilmente pronunciata nei confronti di COGNOME NOME e non nei confronti della parte processuale soccombente che -nel caso di specie -è esclusivamente la società RAGIONE_SOCIALE in persona dell’ipotizzato amministratore di fatto COGNOME NOME.
Preliminarmente, ritiene il Collegio che, in ragione della peculiarità della fattispecie trattata, sia indispensabile e doveroso d’ufficio individuare quale sia la parte privata del giudizio e se essa, sulla base della qualità vantata (e del sotteso interesse) sin dal ricorso introduttivo, fosse legittimata o meno ad impugnare l’atto impositivo de quo . Si tratta, in sintesi, di verificare quale soggetto abbia
impugnato l’atto impositivo, a quale titolo e se, nella veste vantata, fosse legittimato a farlo. La questione si traduce quindi nella verifica della legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole (Cass. n. 11284/2010), la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa (Cass. n. 14177/2011; Cass. n. 17092/2016; Cass. n. 7776/2017).
Sebbene si tratti di questione di natura evidentemente preliminare ad ogni ulteriore statuizione che attinga il merito della lite (compresa pertanto quella relativa alla validità della notifica dell’avviso), essa non è stata specificamente trattata e risolta nei giudizi e nelle decisioni dei gradi precedenti, le quali ultime, piuttosto, si sono concentrate sul merito dell’esistenza, o meno, di un potere rappresentativo sostanziale in capo ad A.B.
Nella sua specifica consistenza (che va nettamente distinta dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, che si riferisce al merito della causa, ovvero alla fondatezza della domanda) la legittimazione ad causam di NOME COGNOME non è stata quindi trattata e decisa nel merito (Cass., Sez. U., n. 7925/2019).
Nel caso di specie, occorre partire dal dato (incontestato e risultante dalla stessa sentenza impugnata e dalle difese delle parti in questa sede, oltre che dall’avviso d’accertamento presente in atti e richiamato dai litiganti) che l’atto impositivo (pure allegato in atti) era diretto esclusivamente alla società e contemplava il COGNOME esclusivamente «nella qualità di rappresentante fiscale per soggetto
non residente» di quest’ultima, come risulta dalla stessa intestazione dell’avviso.
La pretesa fiscale dell’Agenzia era diretta, dunque, esclusivamente nei confronti della società.
Dal corpo dell’avviso poteva ricavarsi, al più, l’allegazione dell’attribuzione all’odierno ricorrente della qualità di amministratore di fatto della stessa società, ma pur sempre finalizzata al merito della pretesa impositiva (sotto i profili dell’esterovestizione e dell’assunta sede effettiva in Italia, presso A.B.), rivolta comunque, in conclusione, dall’avviso nei confronti della sola società (alla quale la stessa Agenzia, nell’accertamento, riconosce soggettività giuridica in quanto anstalt ).
La necessaria conseguenza di tale premessa è che la legittimazione ad impugnare l’atto impositivo intestato alla società spettava a quest’ultima.
Altrettanto pacifico (e risultante comunque dalle difese delle parti in questa sede, oltre che dagli atti processuali richiamati dai litiganti), è che il ricorso introduttivo, come le controdeduzioni in appello e lo stesso ricorso per cassazione, è stato proposto da NOME COGNOME dichiaratamente in qualità di destinatario dell’avviso di accertamento intestato alla società, ovvero quale mero destinatario e recettore della notifica di un atto impositivo che, per le stesse deduzioni del ricorrente, non lo attinge.
Soprattutto, per quanto qui più interessa, i già menzionati atti processuali di RAGIONE_SOCIALE (in conformità, del resto, alla procura al difensore) non contengono alcuna spendita del nome della predetta società e non allegano l’esercizio di alcun potere di rappresentanza di quest’ultima.
Del resto, l’allegazione dell’esercizio, nei richiamati atti processuali, di un potere rappresentativo della società neppure potrebbe trarsi, nel caso concreto, dal contenuto delle difese di NOME COGNOME. Per quanto infatti non sia necessario che l’esternazione del potere
rappresentativo avvenga in modo esplicito, poiché la spendita del nome non richiede l’uso di formule sacramentali e può evincersi anche dal contenuto dell’atto compiuto dal rappresentante, nel caso di specie il ricorrente stesso non solo ha formalmente escluso di agire in nome e per conto della società nel proporre il ricorso introduttivo, ma ha impostato preliminarmente le sue difese proprio sull’assenza del relativo potere e sull’estraneità dell’atto nei suoi confronti.
Tanto premesso, deve quindi concludersi che NOME COGNOME ha proposto, in nome proprio, il ricorso introduttivo nei confronti di un atto impositivo che era diretto nei confronti di un diverso soggetto giudico (la società) e che non lo attingeva direttamente, con conseguente difetto di legittimazione ed inammissibilità dello stesso ricorso.
Peraltro, è ben noto a questo Collegio che un isolato precedente di legittimità ha riconosciuto la legittimazione ad impugnare, in proprio, l’atto impositivo, diretto alla società, da parte del soggetto che ne abbia ricevuto la notifica, e solo per il fatto di averla ricevuta, anche se contesti di esservi legittimato (Cass. n. 4622/2009, non massimata).
Tuttavia, si tratta di un precedente isolato e comunque superato da altre pronunce che, ad esempio, hanno negato la legittimazione e l’interesse ad impugnare della persona fisica che, in un atto di accertamento, è indicata erroneamente come legale rappresentante della società di capitali cui lo stesso è rivolto (Cass. n. 9282/2012; Cass. n. 7763/2019); oppure hanno escluso che la notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale sia stato emesso sia idonea, in linea generale, a far assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e quindi di soggetto legittimato a proporre l’opposizione, quando, in base agli stessi dati forniti dal decreto stesso, eventualmente integrati da quelli emergenti dal ricorso, non sussista alcun dubbio sulla diversa identità del debitore ingiunto (Cass. n. 7523/1992; Cass. n. 9911/2011); o hanno negato
la legittimazione dell’amministratore di fatto (che pure, in quel caso, agiva in nome della società) ad impugnare l’avviso di accertamento rivolto alla società per obbligazioni tributarie ad essa relative, trattandosi di situazioni giuridiche soggettive alle quali egli è estraneo. (Cass. n. 26702/2022; Cass. n. 29474/2021).
Per quanto si tratti di fattispecie eterogenee sotto il profilo sostanziale e processuale, se ne ricava, per quanto qui può interessare, un principio comune, secondo cui la mera ricezione della notificazione di un atto impositivo, inequivocabilmente diretto ed intestato ad un soggetto diverso, non legittima, di per sé sola, il ricevente all’impugnazione dell’atto notificatogli.
Vi è ancora da chiedersi se la legittimazione di RAGIONE_SOCIALE in proprio possa discendere dal supposto interesse derivante dalla circostanza che nell’atto in questione gli vengono attribuite le qualità di rappresentante fiscale e (nei termini in cui si è già detto) di amministratore di fatto della società, sulle quali potrebbero innestarsi le eventuali conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’ipotetico inadempimento di doveri connessi a tali rapporti con il fisco. Al riguardo, deve tuttavia ribadirsi che nell’att o in questione non vengono imputate alla persona fisica ricorrente né obbligazioni a titolo d’imposta, neppure in via solidale, né sanzioni. È pertanto nei confronti di eventuali atti impositivi, sanzionatori o di riscossione, diretti nei suoi confronti, che lo stesso RAGIONE_SOCIALE potrà indirizzare la propria impugnazione, al fine di contestare il rapporto di rappresentanza e la propria responsabilità.
Pertanto, come questa Corte ha già rilevato, l’interesse del (supposto) amministratore ad impugnare in proprio l’avviso d’accertamento emesso nei confronti della società non può individuarsi dall’esposizione dell’amministratore a responsabilità o sanzioni per violazioni imputabili alla società amministrata, trattandosi di ipotesi di responsabilità che trovano la
loro fonte immediata nella violazione di obblighi inerenti alla carica rivestita e che vanno accertati dall’Ufficio, in presenza dei relativi presupposti, con specifico atto, avverso il quale l’amministratore potrà svolgere le sue difese, ivi inclusa quella relativa all’insussistenza della supposta qualità (cfr., in motivazione, Cass. n. 29474/2021).
Pertanto, pronunziando sul ricorso, deve rilevarsi l’inammissibilità del ricorso introduttivo di NOME NOME COGNOME per difetto di legittimazione di quest’ultimo. In tale statuizione restano assorbiti i motivi di ricorso.
La sentenza impugnata va quindi cassata, senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, ultimo periodo, c.p.c.
In considerazione del rilievo d’ufficio dell’inammissibilità, le spese, tanto del merito quanto di legittimità, si compensano integralmente.
P.Q.M.
La Corte p ronunziando sul ricorso, dichiara l’inammissibilità del ricorso introduttivo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.
Così deciso in Roma in data 2 aprile 2025.