Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 938 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 938 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
AVVISO ACCERTAMENTO IRES -ALTRO 2007-2008
Consigliere
N. 10731/2026 UP – 03/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 10730/2016 e 10731/2016 R.G. proposta da:
A) Ricorso n. 10730/2016 R.G.:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 5695/14/2015, depositata il 29 ottobre 2015; B) Ricorso n. 10731/2016 R.G.:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso, -controricorrente -avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 5694/14/2015, depositata il 29 ottobre 2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 ottobre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME dato atto che il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di entrambi i ricorsi, con assorbimento del resto;
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale e di processo verbale di constatazione da parte della G.d.F., l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale I di Roma emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento n. TK3036201054/2013, con il quale accertav a, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per l’anno 2008, un maggior reddito di € 35.050,00, con conseguente rideterminazione delle imposte IRES, IRAP ed IVA, ed applicazioni di sanzioni ed interessi.
L’avviso di accertamento in questione veniva notificato a NOME COGNOME ritenuto amministratore di fatto della società medesima.
1.1. Avverso tale avviso di accertamento NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, eccependo la carenza della qualità di amministratore di fatto (come già riconosciuta da altra sentenza della C.T.P. per altra annualità -la n. 191/01/2013, depositata il 26 marzo 2013 – passata in giudicato) e l’inesistenza della notificazione dell’atto impositivo per cessazione della RAGIONE_SOCIALE a causa del decesso dell’unico socio e amministratore NOME
Con sentenza n. 5040/52/2014 , depositata l’11 marzo 2014, la C.T.P. di Roma rigettava il ricorso, ritenendo che, in base alla sentenza n. 191/01/2013 della stessa Commissione, passata in giudicato e relativa all’anno d’imposta 2006, questi fosse un mero ‘conoscente’ dell’atto, e quindi non legittimato ad impugnare l’atto impositivo nei confronti della società.
1.2. Interposto gravame sia da ll’Agenzia delle Entrate che da NOME COGNOME, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 5695/14/2015, pronunciata il 13 ottobre 2015 e depositata in segreteria il 29 ottobre 2015, accoglieva l’appello proposto dal contribuente, annullando l’atto impositivo impugnato , e rigettava l’appello dell’Ufficio, compensando le spese.
1.3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate , sulla base di tre motivi (ricorso notificato il 3 maggio 2016, e rubricato con n. 10730/2016 R.G.).
NOME resiste con controricorso.
Sulla base della medesima verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate -Direzione provinciale I di Roma emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ulteriore avviso di
accertamento n. TK3036201052/2013, con il quale accertava, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, per l’anno 2007, un maggior reddito di € 1.247.003,00, con conseguente rideterminazione delle imposte IRES, IRAP ed IVA, ed applicazioni di sanzioni ed interessi.
Anche tale avviso di accertamento in questione veniva notificato a NOME COGNOME ritenuto amministratore di fatto della società medesima.
2.2. Avverso tale avviso di accertamento NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, eccependo anche in questo caso la carenza della qualità di amministratore di fatto (come già riconosciuta da altra sentenza della C.T.P. per altra annualità -la n. 191/01/2013 passata in giudicato) e l’inesistenza della notificazione dell’atto impositivo per cessazione della RAGIONE_SOCIALE a causa del decesso dell’unico socio e amministratore NOME
Con sentenza n. 5039/52/2014, depositata l’11 marzo 2014, la C.T.P. di Roma rigettava il ricorso, ritenendo che, in base alla sentenza n. 191/01/2013 della stessa Commissione, passata in giudicato e relativa all’anno d’imposta 2006, questi fosse un mero ‘conoscente’ dell’atto, e quindi non legittimato ad impugnare l’atto impositivo nei confronti della società.
2.3. Interposto gravame sia da ll’Agenzia delle Entrate che da NOME COGNOME, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 5694/14/2015, pronunciata il 13 ottobre 2015 e depositata in segreteria il 29 ottobre 2015, accoglieva l’appello proposto dal contribuente , annullando l’atto impositivo impugnato, e rigettava l’appello dell’Ufficio, compensando le spese.
2.4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tre motivi (ricorso notificato il 3 maggio 2016, e rubricato con il n. 10731/2016 R.G.).
NOME resiste con controricorso.
Con decreto presidenziale del 6 giugno 2024 veniva fissata per la trattazione e discussione dei ricorsi l’udienza pubblica del 3 ottobre 2024 , ai sensi dell’art. 375, comma 1, c.p.c .
All’udienza suddetta sono comparsi i procuratori delle parti che hanno concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbito il resto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi n. 10730/2016 e n. 10731/2016 R.G., per ragioni di connessione soggettiva e parzialmente oggettiva.
Ricorso n. 10730/2016 R.G. : Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, l’ Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che, non avendo il Leone dichiarato di agire in rappresentanza della società, né in qualità di socio, ma avendo affermato di agire in proprio, all’esclusivo fine di vedere dichiarata la propria carenza di legittimazione passiva, egli non sarebbe stato legittimato a richiedere l’annullamento dell’atto impositivo, emesso nei confronti del diverso soggetto costituito dalla RAGIONE_SOCIALE, per difetto di legitimatio ad causam .
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, l’Agenzia delle Entrate che, pur essendo passata in giudicato la sentenza della C.T.P. di Roma n. 191/01/2013, con la quale era stata esclusa la qualifica di amministratore di fatto della società in capo a Leone Massimo per l’anno 2006, tale circostanza riguardava, per l’appunto, tale annualità, e non poteva estendersi ad altre annualità successive, trattandosi di circostanza non ‘permanente’, ma che poteva variare di anno in anno
2 .3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. avrebbe omesso l’esame di una serie di elementi, idonei a dimostrare la qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in capo alla persona di NOME COGNOME, quali: a ) il fatto che presso la sede legale dichiarata in Roma, INDIRIZZO la società era risultata sconosciuta; b ) il fatto che il legale rappresentante risultante in atti, tale NOMECOGNOME era un detenuto nel carcere di Regina Coeli, ed aveva dichiarato di non possedere documenti afferenti alla società; c ) COGNOME ed COGNOME, formalmente amministratore e rappresentante della RAGIONE_SOCIALE non avevano mai avuto accesso al conto corrente utilizzato dalla società per lo svolgimento della relativa attività; d ) il predetto conto corrente era stato acceso, estinto e movimentato dal solo NOME.
Ricorso n. 10731/2016 R.G .: Anche il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a tre motivi.
3 .1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che, non avendo il Leone dichiarato di agire in rappresentanza della società, né in qualità di socio, ma avendo affermato di agire in proprio, all’esclusivo fine di vedere dichiarata la propria carenza di legittimazione passiva, egli non sarebbe stato legittimato a richiedere l’annullamento dell’atto impositivo, emesso nei confronti del diverso soggetto costituito dalla RAGIONE_SOCIALE, per difetto di legitimatio ad causam .
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, l’Agenzia delle Entrate che, pur essendo passata in giudicato la sentenza della C.T.P. di Roma n. 191/01/2013, con la quale era stata esclusa la qualifica di amministratore di fatto della società in capo a Leone Massimo per l’anno 2006, tale circostanza riguardava, per l’appunto, tale annualità, e non poteva estendersi ad altre annualità successive, trattandosi di circostanza non ‘permanente’, ma che poteva variare di anno in anno
3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. avrebbe omesso l’esame di una serie di elementi, idonei a dimostrare la qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in capo alla persona di NOME COGNOME, quali: a ) il fatto che presso la sede legale dichiarata in Roma, INDIRIZZO la società era risultata sconosciuta; b ) il fatto che il legale rappresentante risultante in atti, tale NOMECOGNOME era un detenuto nel carcere di Regina Coeli, ed aveva dichiarato di non possedere documenti afferenti alla società; c ) COGNOME ed COGNOME, formalmente amministratore e rappresentante della RAGIONE_SOCIALE non avevano mai avuto accesso al conto corrente utilizzato dalla società per lo svolgimento della relativa attività; d ) il predetto conto corrente era stato acceso, estinto e movimentato dal solo NOME.
Così delineati i motivi di ricorso, deve, in via pregiudiziale in rito, essere esaminata l’eccezione di giudicato sollevata dalla difesa di NOME in controricorso in entrambi i giudizi.
4.1. In particolare la parte privata deduce che le sentenze qui impugnate (n. 5695/14/2015 e n. 5694/14/2015, depositate il 29 ottobre 2015) hanno messo capo ai giudizi di appello avverso le sentenze n. 5040/52/2014 e n. 5039/52/2014, pronunciate dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 31 gennaio 2014, e depositate in segreteria l’11 marzo 2014 .
Rileva il controricorrente, tuttavia, che le due sentenze di primo grado sono state contestualmente impugnate dall’Agenzia delle Entrate e dal Leone , e ciò ha dato luogo a distinti procedimenti non riuniti a quelli conclusi con le sentenze qui impugnate; questi altri procedimenti sono stati definiti con sentenze depositate in modo coevo, ma con una numerazione successiva (n. 5697/14/2015 e n. 5696/14/2015,
depositate il 29 ottobre 2015) a quelle qui gravate (n. 5695/14/2015 e n. 5694/14/2015).
Orbene, poiché le sentenze n. 5697/14/2015 e n. 5696/14/2015 non sono state impugnate, da tanto la parte privata ricava la formazione di un giudicato ostativo alla delibazione delle presenti impugnazioni.
In linea generale, va rilevato che la violazione del disposto di cui all’art. 335 c.p.c., applicabile anche al rito tributario in virtù del rinvio contenuto nell’articolo 49 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – che prevede l’obbligo della riunione di tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza – comporta che la decisione sulla prima impugnazione renda improcedibile la seconda. Infatti, tale principio risulta in tesi applicabile alla soggetta materia, essendosi in presenza di impugnazioni pienamente rituali, per tali intendendosi -indipendentemente dalla formale statuizione che le riguarda -quelle idonee a fondare il potere-dovere del giudice di rendere una pronunzia sul merito delle medesime, in relazione alle quali è ravvisabile l’esigenza di evitare una frammentazione del giudizio, che il combinato disposto degli artt. 333 e 335 c.p.c. mira a prevenire (Cass. 29 maggio 2014 n. 12038; Cass. 11 aprile 2016, n. 7096).
Pertanto, secondo parte controricorrente, la C.T.R. avrebbe violato tale regola procedurale, statuendo nel merito anche per la seconda impugnazione.
Sempre in linea con detta impostazione difensiva deve concludersi che tale vizio si tradurrebbe, more solito ex art. 161 cod. proc. civ., in motivo di impugnazione, pena la formazione del giudicato sulle seconde sentenze: la n. 5697/14/2015 e la n. 5696/14/2015. Altrimenti detto, tale
effetto non risulterebbe precluso dalla in tesi dovuta improcedibilità, che non è in questa sede rilevabile, potendo, anzi dovendo, essa, appunto, essere fatta valere come motivo di impugnazione avverso la cennata seconda sentenza.
Di qui il rilievo, formulato dal controricorrente, dell’intervenuto giudicato sull e impugnative delle sentenze n. 5040/52/2014 e n. 5039/52/2014, emesse dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che sarebbe ostativo a ogni ulteriore delibazione delle presenti controversie concernenti l’impugnativa avverso gli avvisi di accertamento n. TK3 036201054/2013 e n. TK3036201052/2013.
In particolare, nel giudizio n. 10730/2016 R.G., riguardante la sentenza n. 5695/14/2015, il controricorrente ha eccepito il giudicato formatosi con la sentenza n. 5697/14/2015; nel giudizio n. 10731/2016, riguardante la sentenza n. 5694/14/2015, il controricorrente ha eccepito il giudicato formatori con la sentenza n. 5696/14/2015.
Il Pubblico Ministero ha ritenuto infondata l’eccezione di giudicato, in quanto le due coppie di sentenze riguarderebbero un oggetto differente l’una dall’altra
Deporrebbe in tal senso la lettura dell’ incipit delle suddette coppie sentenze, che per il resto sono del tutto identiche. Infatti, l’ iter motivatorio delle due coppie di sentenze testualmente riguarderebbe, per ciascuna coppia – sebbene l’intestazione riporti diversamente – due avvisi di accertamento diversi.
In particolare, con riferimento alla sentenza n. 5695/14/2015, essa riguarda l’avviso di accertamento n. TK3036201054/2013, mentre la sentenza eccepita ai fini del giudicato, n. 5697/14/2015, riguarderebbe l ‘avviso di
accertamento n. TK3036201052/2013; allo stesso modo, la sentenza n. 5694/14/2015 riguarda l’avviso di accertamento n. TK3036201052/2013, mentre la sentenza n. 5696/14/2015, eccepita ai fini del giudicato, riguarderebbe l’avviso di accertamento n. TK3036201054/2013.
Deve tuttavia rilevarsi che è pur vero che il controricorrente ha eccepito il giudicato richiamando sentenze della C.T.R. (la n. 5697/14/2015 e n. 5696/14/2015) che riguardano avvisi di accertamento diversi rispetto alle sentenze per le quali l’eccezione è stata formulata.
Tuttavia, al di là delle incongruenze esistenti negli ‘abbinamenti’ t ra intestazione e motivazione, deve rilevarsi che, con riferimento alla sentenza n. 5695/14/2015, vi è altra sentenza (la n. 5696/14/2015, utilizzata per la medesima eccezione rispetto alla sentenza n. 5694/14/2015 impugnata nell’altro giudizio n. 10731/2016 R.G.) che come si evince dalla relativa motivazione – riguarda invece proprio lo stesso accertamento impugnato in questo giudizio, e cioè il n. TK3036201054/2013.
Lo stesso avviene per la sentenza n. 5694/14/2015, impugnata nel giudizio n. 10731/2016 R.G., con la sentenza della C.T.R. n. 5697/14/2015: entrambi i giudizi riguardano l’avviso di accertamento n. TK3 036036201052/2013.
In pratica, quindi, è sicuro che per ogni avviso di accertamento, e per ogni appello avverso le sentenze della C.T.P. n. 5039/52/2014 e 5040/52/2014, siano state emesse due sentenze, sulla base di due separate impugnazioni , l’una dell’Agenzia delle Entrate e l’altra di NOMECOGNOME con due giudizi rimasti separati.
Ora, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato soltanto le sentenze n. 5695/14/2015 (giudizio n. 10730/2016 R.G.) e 5694/14/2015 (giudizio n. 10731/2016), in cui vi è stato l’accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME ed il conseguente annullamento dell’atto impugnato , nonché il rigetto dell’appello principale proposto dall’Ufficio .
Nelle sentenze n. 5696/14/2015 e n. 5697/14/2015 (riguardanti gli stessi avvisi di accertamento, rispettivamente, delle sentenze n. 5695/14/2015 e n. 5694/14/2015), invece, la C.T.R. si limita a r igettare l’appello dell’Ufficio .
Orbene, gli appelli proposti dall’Agenzia delle Entrate avverso le decisioni di primo grado che rigettavano il ricorso del Leone erano stati proposti in via cautelativa, ritenendosi ambigua la formula utilizzata dalla C.T.P. per motivare il rigetto del ricorso originari o; in particolare, nei suoi atti di appello l’Ufficio sostiene che il giudicato formatosi per l’anno 2006, con la sentenza della C.T.P. di Roma n. 191/01/2013, riguardava l’anno 2006, e non poteva riguardare le altre annualità; inoltre, la sentenza suddetta si basava sull’assunto che il procedimento penale instaurato nei confronti di NOME si fosse concluso con decreto di archiviazione reso in data 7 giugno 2012, mentre risultava che lo stesso era stato rinviato a giudizio con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Civitavecchia del 5 giugno 2013. Nei suoi atti di appello, pertanto, l’Agenzia delle Entrate chiedeva che fosse riconosciuta la legittimazione passiva di NOME dinanzi alle pretese erariali, e che comunque fosse confermato il rigetto dei ricorsi proposti in primo grado da NOME COGNOME sia pure con motivazioni differenti; NOME COGNOME invece, con i suoi atti di appello chiedeva che, in riforma delle sentenze di primo
grado, fossero accolti i ricorsi proposti dinanzi alla C.T.P. avverso gli avvisi di accertamento in oggetto, e che quindi i suddetti avvisi fossero annullati.
Orbene, occorre partire dal fatto che le due impugnazioni proposte dinanzi a questa Corte (ricorsi nn. 10730/2016 R.G. e 10731/2016 R.G.) riguardano soltanto la statuizione sull’accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME ; tale circostanza esclude comunque la rilevanza del giudicato, dovendosi applicare il principio, già espresso da questa Corte, secondo il quale « l’inosservanza, da parte del giudice di app ello, dell’obbligo di riunire, i n un unico procedimento, i gravami proposti separatamente contro la medesima sentenza non spiega effetti quando, malgrado la formale mancanza di un provvedimento di riunione, dette impugnazioni abbiano sostanzialmente avuto uno svolgimento unitario in quanto -come nella specie – chiamate alla stessa udienza, nonché contestualmente discusse e decise dallo stesso collegio con il medesimo relatore, così restandosi nell’ambito della mera redazione separata di due pronunce per una decisione di tipo unitario (salva, poi, la facoltà di riunione dei ricorsi che siano stati proposti contro di esse). La decisione di una delle impugnazioni non precedentemente riunite, inoltre, non determina l’improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza -in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell’art. 335 c.p.c. alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l’impugnazione, rispetto a quelle dell’economica processuale e della teorica armonia dei giudicati» (Cass. 12 ottobre 2016, n. 20514; negli stessi termini Cass. 17 novembre 2022, n. 33851).
Nel caso di specie, con le decisioni non impugnate e passate in giudicato (n. 5696/14/2015 e n. 5697/14/2015) la C.T.R. si limita a rigettare gli appelli dell’Ufficio avverso le decisioni di primo grado che avevano rigettato i ricorsi originari del Leone (appelli proposti in via cautelativa e finalizzati ad ottenere un rigetto dei ricorsi originari proposti dal contribuente per motivi diversi, rispetto al rigetto dei degli stessi ricorsi già operato dalla C.T.P.), mentre le decisioni impugnate dall’Ufficio con i ricorsi in esame riguardano una questione diversa ed ulteriore, e cioè l’accogl imento degli appelli proposti da NOME COGNOME ed il conseguente annullamento degli atti impositivi; da ciò deriva che non vi è coincidenza nelle decisioni, in quanto, in particolare, sulla questione specifica della validità e legittimità degli atti impositivi, oggetto dei ricorsi originari e dei successivi atti di appello proposti da NOME Massimo, non si è formato il giudicato.
Consegue dunque il rigetto della eccezione di giudicato in questione.
Passando quindi ora ad esaminare i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
5.1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi (da esaminare congiuntamente, in quanto perfettamente sovrapponibili) è fondato, con carattere assorbente per gli altri motivi.
E’ pacifico che NOME abbia agito in proprio, e non quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE
Gli avvisi di accertamento impugnati gli erano stati notificati ‘per conoscenza’, ma egli , nel proporre le relative impugnazioni, non ha mai speso il nome della società, per cui erroneamente la C.T.R. ha riformato la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso, proprio sul presupposto del
difetto di legittimazione ad impugnare l’avviso), accogliendo l’appello ed annullando l’atto, proprio sulla base dell’assenza della qualità di amministratore di fatto (il che avrebbe dovuto allora condurre all’inammissibilità dell’appello).
Appare, al contrario, inequivocabile che il Leone ha inteso agire in nome proprio, e non della società, né nella qualità di socio; conseguentemente, egli non era legittimato a richiedere l’annullamento degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di un soggetto diverso, e cioè la RAGIONE_SOCIALE, rispetto alla quale egli si è protestato costantemente estraneo.
Conseguentemente, sussiste la lamentata violazione dell’art. 81 c.p.c., denunciata dalla ricorrente Agenzia, posto che il Leone non era legittimato a far valere in nome proprio un diritto altrui, ed era quindi privo di legitimatio ad causam rispetto all’impugnativa degli avvisi di accertamento in esame.
Consegue l’accoglimento del primo motivo di entrambi i ricorsi.
Dato il carattere assorbente di tale accoglimento, entrambe le sentenze vanno quindi cassate, e le cause possono essere quindi decise nel merito, con la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi originari proposti in primo grado.
I restanti motivi restano assorbiti.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del controricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Spese compensate per i gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione del ricorso n. 10731/2016 R.G. al ricorso n. 10730/2016 R.G.
Accoglie il primo motivo di entrambi i ricorsi, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa le sentenze impugnate e, decidendo nel
merito, dichiara inammissibili i ricorsi originari proposti in primo grado da NOME COGNOME
Condanna NOME alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 18.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Spese compensate per i gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2024.