Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17680 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17680 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Accertamento Ires, Iva ed Irap legittimazione ed interesse ad agire
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27291/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nella dichiarata qualità di destinatario dell’avviso di accertamento. n. CODICE_FISCALE, intestato alla società RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. EMILIA ROMAGNA, n. 474 del 2020 depositata il 17 febbraio 2020;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentiti l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente e l’ Avv. dello Stato, NOME COGNOME per l’Agenzia delle entrate .
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate , in data 23 settembre 2016, emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con sede in Vaduz (Lichtenstein), avviso di accertamento con il quale contestava, con riferimento all’anno di imposta 2014 , ricavi in nero derivanti dall’esecuzione di un contratto preliminare stipulato in data 17 maggio 2013 per la futura cessione di un terreno non edificabile. In particolare, l’Ufficio recuperava a tassazione , ai fini Ires ed Irap, l’importo di euro 100.000,00 incassato nel 2013 a titolo di caparra confirmatoria e che riteneva divenuto fiscalmente rilevante nel 2014, una volta scaduto il termine per la stipula del defini tivo. L’Ufficio precisava nell’at to impositivo che la società aveva sede fittizia all’estero ma che, in realtà , la sede effettiva era in Italia, ove veniva gestita personalmente dal COGNOME; che, pertanto, dovendo considerarsi con sede in Italia, ai sensi dell’art. 73 t.u.i.r. , il ricavo derivante dall’introito della caparra avrebbe dovuto essere dichiarato e tassato in Italia.
L’atto impositivo, relativo alla pretesa erariale nei confronti della predetta società, individuava NOME COGNOME quale «rappresentante fiscale per soggetto non residente di RAGIONE_SOCIALE Renaredda» e veniva notificato a quest’ultimo presso la sua resi denza in Italia.
Avverso detto atto impositivo spiegava ricorso NOME COGNOMEnella espressa qualità di destinatario dell’avviso di accertamento il
quale evidenziava, tra l’altro, che non era il rappresentate legale della società, né di diritto né di fatto, essendo solo il mero procuratore speciale.
La CTP accoglieva il ricorso, accertando l’inesistenza della qualità di amministratore di fatto del ricorrente, escludendo l’esterovestizione della società e rilevando che la notifica avrebbe dovuto eseguirsi all’estero, presso la sede effettiva della società e nei confronti dei suoi amministratori.
La CTR, con la sentenza di cui all’epigrafe, accoglieva l’appello dell’Ufficio e, per l’effetto, rigettava il ricorso originario avverso l’a vviso di accertamento, condannando il contribuente alle spese del doppio grado di giudizio.
Avverso detta sentenza ricorre NOME COGNOME nella medesima qualità già spesa nei giudizi di merito, il quale ha anche depositato successiva memoria. L ‘Agenzia delle entrate resiste a mezzo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente propone sei motivi.
1.1. Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la cessazione della carica di rappresentante fiscale in capo fondante l’esistenza della notifica dell’atto impositivo in capo allo stesso e la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto esistente e valida la notifica dell’atto impositivo , sebbene la stessa non fosse stata eseguita presso la sede estera ed in persona del legale rappresentate.
Assume che la propria qualifica di rappresentante fiscale della società era cessata il 3 gennaio 2000 e che tale circostanza era stata
ignorata dalla CTR mentre, ove considerata, avrebbe dovuto portare a ritenere inesistente la notifica.
Censura, altresì, la sentenza nella parte in cui con «ragionamento -invero meramente ipotetico» ha affermato che in mancanza della rappresentanza della società, il sarebbe stato inammissibile per difetto di legittimazione e carenza di interesse in quanto la destinataria dell’atto impositivo era la società.
Osserva che l’interesse ad agire è conseguenza della notifica dell’atto quale rappresentante fiscale ed amministratore di fatto della società, pur in mancanza di entrambe le qualifiche, ed è volta a salvaguardare la propria posizione personale mediante accertamento negativo della qualifica attribuitagli unilateralmente dall’Amministrazione.
1.2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 58, comma 3, 60 e 62 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 145 cod. proc. civ.
Assume che, anche in caso di positivo accertamento della propria qualità di amministratore di fatto non poteva per questo ritenersi validamente notificato presso di lui l’accertamento societario che, invece, ai sensi dell’art. 145 cod. proc. civ. e dell’art. 58 d.P. R. n. 600 del 1973 sarebbe dovuta avvenire presso la sede estera in persona del rappresentante legale.
1.3. Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 cod. civ. in relazione all’art. 73 comma 3, t.u.i.r.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui la CTR lo ha ritenuto amministratore di fatto, nonostante non fosse stato negato il carattere continuativo e subordinato della propria attività, come già
accertato in primo grado, incompatibile, agli effetti dell’art. 2639 cod. civ., con detta qualità.
1.4. Con il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, t.u.i.r. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la collocazione all’est ero della sede dell’amministrazione della società.
Censura l’assunto per il quale la società RAGIONE_SOCIALE era soltanto fittiziamente residente all’estero ed evidenzia che le scarne circostanze di fatto valutate dal Collegio a sostegno di tale tesi nulla hanno a che vedere con la fattispecie di estero-vestizione societaria.
1.5. Con il quinto motivo, proposto in via subordinata, denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 109 t.u.i.r. e l’omesso esame di un fatto decisivo quale la mancata stipulazione del contratto definitivo tra le parti contrattuali.
Censura la sentenza impugnata per aver qualificato come ricavi da sottoporre a tassazione le somme corrisposte in costanza di contratto preliminare quale caparra confirmatoria, sebbene l’effetto traslativo della proprietà non si fosse mai realizzato, come emergeva dalle stesse banche dati dell’Amministrazione
1.6. Con il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 2697 cod. civ.
Censura la sentenza nella parte in cui ha accertato l’incameramento definitivo della caparra in esecuzione del contratto preliminare, quale conseguenza di un indimostrato inadempimento di parte acquirente.
2.Preliminarmente, deve individuarsi di ufficio quale sia la parte privata del giudizio e se essa, sulla base della qualità spesa sin dal ricorso introduttivo (e del sotteso interesse ad agire), fosse legittimata
o meno ad impugnare l’atto impositivo de quo. Si tratta, in sintesi, di verificare quale soggetto abbia impugnato l’atto impositivo, a quale titolo e se, nella veste vantata, fosse legittimato a farlo. La questione si traduce quindi nella verifica della c.d. legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole (Cass. 10/05/2010, n. 11284), la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa (Cass. 27/06/2011, n. 14177, Cass. n. 17092 12/08/2016, n. 17092; Cass. 27/03/2017, n. 7776).
Sebbene si tratti di questione di natura evidentemente preliminare ad ogni ulteriore statuizione che attinga il merito della lite (compresa, pertanto, quella relativa alla validità della notifica dell’atto impositivo), essa non è stata specificamente trattata e risolta nei giudizi e nelle decisioni dei gradi precedenti, le quali ultime, piuttosto, si sono concentrate sul merito dell’esistenza, o meno, di un potere rappresentativo sostanziale in capo al ricorrente. Non fa eccezione, al riguardo, la decisione d’appello qui impugnata, che con una mera argomentazione (definita infatti dallo stesso ricorrente un ragionamento solamente ipotetico), utilizza la circostanza della proposizione del ricorso introduttivo solo come un argomento di conferma, ulteriore ed ex post , dell’accertamento nel merito della sussistenza di poteri rappresentativi della società in capo al COGNOME, senza indagare puntualmente in quale veste quest’ultimo abbia impugnato l’atto impositivo e se fosse legittimato a farlo. Nella sua specifica consistenza (che va distinta dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, che si riferisce al merito della causa, ovvero
alla fondatezza della domanda) la legittimazione ad causam del ricorrente non è stata quindi trattata e decisa nel merito (Cass. Sez. U. 20/03/2019, n. 7925).
Occorre partire dal dato (incontestato e risultante dalla stessa sentenza impugnata e dalle difese delle parti in questa sede, oltre che dall’avviso d’accertamento presente in atti e richiamato dai litiganti) che l’atto impositivo era diretto esclusivam ente alla società e contemplava il ricorrente soltanto nella qualità di rappresentante fiscale per soggetto non residente della prima, come risulta dalla stessa intestazione. La pretesa f iscale dell’Agenzia era rivolta , dunque, esclusivamente nei confronti della società.
Dal corpo dell’avviso poteva ricavarsi, al più, l’allegazione dell’attribuzione ad NOME COGNOME della qualità di amministratore di fatto della società, ma pur sempre finalizzata al merito della pretesa impositiva (sotto i profili dell’estero -vestizione e dell’assunta sede effettiva in Italia, presso il primo), rivolta comunque nei confronti della sola società.
La conseguenza di tale premessa è che la legittimazione ad impugnare l’atto impositivo intestato alla società spettava solo a quest’ultima.
Altrettanto pacifico (e risultante comunque dalle difese delle parti in questa sede, oltre che dagli atti processuali richiamati dai litiganti), è che il ricorso introduttivo -come le controdeduzioni in appello e lo stesso ricorso per cassazione -è stato proposto dal ricorrente dichiaratamente in qualità di destinatario dell’avviso di accertamento intestato alla società, ovvero quale mero destinatario e recettore della notifica di un atto impositivo che, per le stesse deduzioni del ricorrente, non lo attingeva. Soprattutto, per quanto qui più interessa, i già menzionati atti processuali (in conformità, del resto, alla procura al difensore) non contengono alcuna spendita del nome della società o
allegazione del l’esercizio di alcun potere di rappresentanza di quest’ultima.
Del resto, l’allegazione dell’esercizio, nei richiamati atti processuali, di un potere rappresentativo della società neppure potrebbe trarsi, nel caso concreto, dal contenuto delle difese del ricorrente. Per quanto, infatti, non sia necessario che l’esternazione del potere rappresentativo avvenga in modo esplicito, poiché la spendita del nome non richiede l’uso di formule sacramentali e può evincersi anche dal contenuto dell’atto compiuto dal rappresentante, nel caso di specie il ricorrente, non solo ha formalmente escluso di agire in nome e per conto della società nel proporre il ricorso introduttivo, ma ha impostato preliminarmente le sue difese proprio sull’assenza del relativo potere e sull’estraneità dell’atto nei suoi confronti.
Tanto premesso, deve concludersi che il ricorrente ha proposto, in nome proprio, il ricorso introduttivo impugnando un atto impositivo che era diretto nei confronti di un diverso soggetto giudico (la società) e che non lo attingeva direttamente, con conseguente difetto di legittimazione ed inammissibilità dello stesso ricorso.
4. E’ noto a questo Collegio che un isolato precedente di legittimità ha riconosciuto la legittimazione ad impugnare, in proprio, l’atto impositivo, diretto alla società, da parte del soggetto che ne abbia ricevuto la notifica, e solo per il fatto di averla ricevuta, anche se contesti di esservi legittimato (Cass. 26/02/2009 n. 4622). Tuttavia, si tratta di un precedente isolato e comunque superato da altre pronunce che, ad esempio, hanno negato la legittimazione e l’interesse ad impugnare della persona fisica che, in un atto di accertamento, è indicata erroneamente come legale rappresentante della società di capitali cui lo stesso è rivolto (Cass. 07/06/2012, n. 9282, Cass. 20/03/2019, n. 7763); oppure hanno escluso che la notificazione del decreto ingiuntivo a persona diversa da quella contro la quale sia stato
emesso sia idonea, in linea generale, a far assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di intimato e quindi di soggetto legittimato a proporre l’opposizione, quando, in base ai dati forniti dal decreto stesso, eventualmente integrati da quelli emergenti dal ricorso, non sussista alcun dubbio sulla diversa identità del debitore ingiunto (Cass. 18/06/1992, n. 7523; Cass. 05/05/2011, n. 9911); o hanno negato la legittimazione dell’amministratore di fatto (che pure, in quel caso, agiva in nome della società) ad impugnare l’avviso di accertamento rivolto alla società per obbligazioni tributarie ad essa relative, trattandosi di situazioni giuridiche soggettive alle quali egli è estraneo (Cass. 12/09/2022, n. 26702; Cass. 21/10/2021, n. 29474).
Per quanto si tratti di fattispecie eterogenee sotto il profilo sostanziale e processuale, se ne ricava un principio comune, secondo cui la mera ricezione della notificazione di un atto impositivo, inequivocabilmente diretto ed intestato ad un soggetto diverso, non legittima, di per sé sola, il ricevente all’impugnazione dell’atto notificatogli.
5. Deve, altresì, escludersi che la legittimazione del ricorrente, in proprio, possa discendere dal supposto interesse derivante dalla circostanza che nell’atto in questione gli erano state attribuite le qualità di rappresentante fiscale e (nei termini in cui si è già detto) di amministratore di fatto della società, sulle quali potrebbero innestarsi conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’ ipotetico inadempimento di doveri connessi a tali rapporti con il Fisco. Al riguardo, deve tuttavia ribadirsi che ne ll’atto in questione non vengono imputate alla persona fisica del ricorrente né obbligazioni a titolo d’imposta, neppure in via solidale, né sanzioni. Pertanto, è solo nei confronti di eventuali atti impositivi, sanzionatori o di riscossione, diretti nei suoi confronti, che il ricorrente potrà indirizzare, eventualmente, la propria impugnazione,
al fine di contestare il rapporto di rappresentanza e la propria responsabilità.
Pertanto, come questa Corte ha già rilevato, l’interesse del (supposto) amministratore ad impugnare in proprio l’avviso d’accertamento emesso nei confronti della società non può individuarsi dall’esposizione dell’amministratore a responsabilità o sanzioni per violazioni imputabili alla società amministrata, trattandosi di ipotesi di responsabilità che trovano la loro fonte immediata nella violazione di obblighi inerenti alla carica rivestita e che vanno accertati dall’Ufficio, in presenza dei relativi presupposti, con specifico atto, avverso il quale l’amministratore potrà svolgere le sue difese, ivi inclusa quella relativa all’insussistenza della supposta qualità (cfr., Cass. n. 29474 del 2021 cit.).
Concludendo, deve ribadirsi il principio di diritto per il quale la persona fisica alla quale sia stato notificato un atto impositivo, il quale non rechi nessuna pretesa tributaria (neppure in via solidale o sanzionatoria) nei suoi confronti, essendo intestato e diretto esclusivamente nei riguardi di una società, non è legittimata ad impugnarlo in proprio, neanche al fine di negare di possedere la qualità ed il potere rappresentativo in ragione dei quali gli è stata indirizzata la notifica dello stesso atto (Cass. 14/05/2025, nn. 12864-1286512867)
Pertanto, deve rilevarsi l’inammissibilità del ricorso originario per difetto di legittimazione. Restano assorbiti i motivi di ricorso. La sentenza impugnata va quindi cassata, senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, ultimo periodo, cod. proc. civ.
In considerazione del rilievo d’ufficio dell’inammissibilità, le spese, tanto del merito quanto di legittimità, si compensano integralmente.
P.Q.M.
Pronunziando sul ricorso, dichiara l’inammissibilità del ricorso introduttivo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.