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Lavoro autonomo abituale: quando scatta l’IVA?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26206/2025, ha stabilito che l’attività di consulenza svolta da un professore universitario, seppur non esclusiva, integra gli estremi del lavoro autonomo abituale se caratterizzata da ripetitività, stabilità e sistematicità. L’analisi non si limita al numero di prestazioni in un anno, ma considera la loro estensione nel tempo e la pluralità dei committenti, rendendo l’attività soggetta a IVA.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Lavoro Autonomo Abituale e Partita IVA: La Cassazione Chiarisce i Criteri

La distinzione tra una prestazione occasionale e un’attività professionale strutturata è una delle questioni più delicate per chi svolge attività secondarie. L’ordinanza n. 26206/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura sui criteri che definiscono il lavoro autonomo abituale, un concetto cruciale per determinare l’obbligo di apertura della Partita IVA e il conseguente versamento dell’imposta. Analizziamo insieme questa decisione per capire quando un’attività cessa di essere ‘occasionale’ e diventa ‘abituale’ agli occhi del fisco.

Il Fatto in Breve

Il caso riguarda un professore universitario a tempo pieno che aveva svolto, nel corso del 2014, diverse prestazioni di consulenza. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un controllo, ha emesso un avviso di accertamento contestando l’omesso versamento di IVA, IRPEF e addizionali. Secondo l’Ufficio, le consulenze del professionista non potevano essere considerate occasionali, ma costituivano un’attività di lavoro autonomo abituale, in quanto svolte con regolarità e sistematicità.

Il contribuente ha impugnato l’atto, sostenendo il carattere puramente occasionale delle sue prestazioni. Mentre in primo grado i giudici gli avevano parzialmente dato ragione, escludendo l’assoggettabilità ad IVA, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo le tesi dell’Agenzia delle Entrate. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale. I giudici di legittimità hanno ritenuto che l’attività svolta dal professore avesse tutte le caratteristiche del lavoro autonomo abituale, rendendola quindi pienamente soggetta ad IVA. La Corte ha chiarito che la valutazione non deve basarsi su un singolo anno, ma su un orizzonte temporale più ampio che dimostri la continuità e la sistematicità dell’impegno.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su principi giurisprudenziali consolidati, fornendo una spiegazione dettagliata degli elementi che distinguono l’attività abituale da quella occasionale.

I Criteri per il lavoro autonomo abituale

Secondo la Cassazione, l’elemento chiave che definisce l’abitualità non è la frequenza giornaliera, ma la combinazione di diversi fattori: professionalità, sistematicità, stabilità e regolarità. L’attività abituale è quella che viene svolta in modo organizzato e non sporadico. Al contrario, l’attività occasionale è caratterizzata da contingenza, eventualità e secondarietà. Nel caso specifico, i giudici hanno dato peso al fatto che le prestazioni non si erano limitate a un singolo episodio, ma si erano ripetute nel tempo (anche negli anni precedenti e successivi al 2014) e nei confronti di diversi committenti. Questi elementi, nel loro insieme, configurano un’attività economica strutturata, anche se non esclusiva.

La Prova dell’Abitualità

Un altro punto fondamentale toccato dalla Corte riguarda l’onere della prova. Spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare il carattere abituale dell’attività. Tuttavia, questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni. La pluralità delle prestazioni, la loro estensione nel tempo e la diversità dei clienti sono tutti indizi gravi, precisi e concordanti che, se non smentiti dal contribuente, sono sufficienti a far presumere l’esistenza di un’attività professionale abituale. Il giudice di merito, secondo la Corte, ha correttamente vagliato questi elementi per giungere alla sua conclusione.

Irrilevanza della Non Esclusività

La sentenza sottolinea un aspetto cruciale: svolgere un’attività lavorativa principale (come quella di professore universitario a tempo pieno) non esclude automaticamente che un’altra attività possa essere considerata abituale. L’articolo 53 del TUIR, infatti, definisce l’esercizio di arti e professioni come ‘l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva’. La legge stessa prevede quindi la possibilità che un contribuente svolga più attività professionali contemporaneamente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito importante per tutti i professionisti, i freelance e chiunque svolga attività lavorative secondarie. La qualificazione di un’attività come ‘occasionale’ deve essere valutata con estrema cautela. Non è sufficiente che l’attività non sia l’unica fonte di reddito o che sia svolta in modo discontinuo. Se l’attività presenta caratteri di regolarità, stabilità e si protrae nel tempo, anche a cavallo di più anni d’imposta, il rischio che venga riqualificata come lavoro autonomo abituale è molto concreto. La conseguenza diretta è l’obbligo di aprire una Partita IVA e di assoggettare i compensi a tale imposta, con tutte le implicazioni fiscali e contributive che ne derivano. È quindi fondamentale analizzare la propria posizione non solo sulla base del volume d’affari, ma anche e soprattutto sulla base delle concrete modalità di svolgimento dell’attività.

Quando un’attività di lavoro autonomo si considera ‘abituale’ ai fini IVA?
Un’attività si considera abituale quando presenta i caratteri di ripetitività, regolarità, stabilità e sistematicità dei comportamenti. Non è necessario che sia l’unica attività svolta, ma deve essere intesa come un’occupazione professionale strutturata e non meramente contingente o sporadica.

Svolgere un’altra professione a tempo pieno esclude automaticamente l’abitualità di un’attività secondaria?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che, ai sensi dell’art. 53 del TUIR, l’esercizio di una professione si considera abituale ‘ancorché non esclusiva’. Pertanto, avere un impiego principale non impedisce che un’altra attività, se svolta con regolarità e sistematicità, venga qualificata come lavoro autonomo abituale.

Quali elementi valuta il giudice per determinare l’abitualità di una prestazione?
Il giudice valuta un complesso di elementi, tra cui la pluralità delle prestazioni effettuate, la loro estensione nel tempo (anche su più anni), il numero e la diversità dei committenti, e l’organizzazione dell’attività. Questi fattori, considerati insieme, possono costituire una presunzione del carattere abituale e professionale dell’attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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