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Lavoratori impatriati: rimborso possibile senza richiesta

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore rientrato in Italia, pur non avendo presentato la richiesta formale al datore di lavoro per l’agevolazione fiscale dei ‘lavoratori impatriati’, non perde il diritto al beneficio per le annualità antecedenti alle modifiche legislative che hanno introdotto un divieto esplicito. La Corte ha chiarito che i termini procedurali fissati dall’Agenzia delle Entrate non sono di decadenza, ma servono a regolare la fruizione del beneficio tramite il sostituto d’imposta. Pertanto, il contribuente può legittimamente agire con un’istanza di rimborso per recuperare le maggiori imposte versate, a patto di dimostrare la sussistenza dei requisiti sostanziali.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Lavoratori Impatriati: Rimborso Fiscale Accessibile Anche Senza Richiesta al Datore di Lavoro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul regime fiscale dei lavoratori impatriati, stabilendo un principio fondamentale: l’omissione della richiesta formale al datore di lavoro non preclude, per le annualità passate, la possibilità di ottenere il beneficio fiscale tramite un’istanza di rimborso. Questa decisione distingue nettamente tra i requisiti sostanziali per accedere all’agevolazione e le modalità procedurali per la sua fruizione, offrendo una tutela concreta ai contribuenti che, pur avendone diritto, non hanno attivato la procedura standard.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un manager che, dopo aver lavorato per oltre due anni all’estero (in Cina e Giappone) per una grande azienda del settore ottico, è rientrato in Italia per assumere un nuovo e superiore incarico di ‘director manager’ presso la stessa impresa. Ritenendo di possedere i requisiti per il regime speciale dei lavoratori impatriati, ha richiesto il rimborso dell’IRPEF versata in eccesso per le annualità 2017 e 2018.

L’Agenzia delle Entrate si è opposta alla richiesta, sostenendo che il contribuente non avesse seguito la procedura corretta, ovvero la presentazione di una richiesta scritta al datore di lavoro o l’esercizio dell’opzione in dichiarazione dei redditi entro i termini previsti. Secondo il Fisco, il mancato rispetto di questi adempimenti formali avrebbe causato la perdita definitiva del diritto all’agevolazione. Dopo un esito favorevole al contribuente in secondo grado, l’Agenzia ha presentato ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica

Il nodo centrale della controversia era stabilire la natura dei termini procedurali previsti per accedere al beneficio. Si trattava di termini di decadenza, il cui mancato rispetto comportava la perdita insanabile del diritto, oppure di semplici modalità operative che, se non seguite, aprivano la strada a procedure alternative come l’istanza di rimborso?

La Corte era chiamata a decidere se la sussistenza dei requisiti sostanziali (rientro in Italia dopo un periodo all’estero, assunzione di un nuovo ruolo, ecc.) fosse sufficiente per radicare il diritto all’agevolazione, anche in assenza degli adempimenti formali previsti dalla normativa e dai provvedimenti attuativi.

Le Motivazioni della Cassazione sul regime dei lavoratori impatriati

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, fornendo un’interpretazione chiara della normativa applicabile ai periodi d’imposta in questione (2017-2018). Il ragionamento dei giudici si è basato sui seguenti punti chiave:

1. Assenza di un divieto di rimborso: La Corte ha evidenziato che il divieto esplicito di rimborso per le somme versate spontaneamente (Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo) è stato introdotto solo con l’art. 5 del D.L. 34/2019, che ha aggiunto il comma 5-ter all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015. Tale norma non ha efficacia retroattiva e, pertanto, non era applicabile ai fatti di causa.

2. Natura dei termini procedurali: I termini fissati dai provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (come il 29 giugno 2016) non sono stati qualificati come termini di decadenza dal diritto. Essi, secondo la Corte, avevano lo scopo di disciplinare la procedura standard per ottenere il beneficio tramite il datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta. Il loro superamento, quindi, non estingueva il diritto sostanziale del contribuente, ma semplicemente gli precludeva quella specifica via, ponendo a suo carico l’onere di attivarsi diversamente.

3. La via residuale del rimborso: In assenza di un divieto legale, la via dell’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 602/1973 rimaneva una procedura valida e percorribile. Il contribuente, dimostrando all’Ufficio la sussistenza di tutti i requisiti sostanziali previsti dalla legge, poteva legittimamente richiedere la restituzione delle maggiori imposte versate.

La Corte ha quindi concluso che l’errore della sentenza di secondo grado non sussisteva, poiché la decisione si era correttamente concentrata sulla verifica dei presupposti sostanziali del diritto all’agevolazione, ritenendo non preclusiva la mancata attivazione della procedura formale presso il datore di lavoro.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rappresenta un punto fermo per la gestione delle controversie relative al regime dei lavoratori impatriati per le annualità antecedenti alle modifiche del 2019. Il principio affermato è che il diritto all’agevolazione fiscale, una volta maturato sulla base dei requisiti sostanziali, non può essere annullato da una mera omissione procedurale, a meno che la legge non lo preveda espressamente con un termine di decadenza.

Per i contribuenti, ciò significa che, per i periodi d’imposta fino al 2018, la possibilità di recuperare il beneficio non goduto tramite istanza di rimborso è concreta. Questa decisione rafforza il principio di preminenza della sostanza sulla forma e tutela l’affidamento del cittadino, che non viene penalizzato in modo sproporzionato per non aver seguito una delle possibili vie procedurali a sua disposizione.

Un lavoratore impatriato che non ha presentato la richiesta al datore di lavoro perde il diritto all’agevolazione fiscale?
Secondo questa ordinanza, per i periodi d’imposta antecedenti all’introduzione del divieto esplicito di rimborso (comma 5-ter dell’art. 16 d.lgs. 147/2015), la mancata richiesta al datore di lavoro non comporta la decadenza dal diritto. Impedisce solo di fruire del beneficio tramite il sostituto d’imposta, ma lascia aperta la via della richiesta di rimborso.

Le scadenze fissate dai provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate per esercitare l’opzione sono termini di decadenza?
No, la Corte ha chiarito che tali scadenze non comportano la decadenza dal beneficio fiscale. Esse disciplinano solo la procedura per ottenere l’agevolazione tramite il datore di lavoro. Il superamento di tali termini pone a carico del contribuente l’onere di richiedere direttamente il rimborso all’Agenzia delle Entrate.

È possibile chiedere il rimborso per l’agevolazione dei lavoratori impatriati per le somme versate spontaneamente?
Per i periodi d’imposta oggetto della controversia (2017 e 2018), la risposta è affermativa. Il divieto di rimborso per le somme versate in adempimento spontaneo è stato introdotto solo successivamente con il D.L. 34/2019 e, secondo la Corte, non ha efficacia retroattiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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