Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34655 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34655 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6393/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 3640/2022 depositata il 26/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Lombardia, che, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto i ricorsi proposti da NOME COGNOME -riuniti dalla C.T.P.- per il rimborso dell’IRPEF relativa agli anni di imposta 2017 e 2018, richiesto ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 147/2016, in quanto lavoratore ‘impatriato’.
La sentenza della C.T.R. ha ritenuto sussistenti i requisiti di cui all’art. 16 d.lgs. 147/2016, essendo NOME COGNOME rientrato in Italia, dopo avere lavorato per oltre due anni in Cina e Giappone per conto della RAGIONE_SOCIALE, assumendo al suo rientro incarico, presso la stessa impresa, da ritenersi ‘non in continuità con la precedente posizione lavorativa, in quanto oggetto di nuovo contratto con il quale venivano assegnate le superiori mansioni di ‘director manager’.
Resiste il contribuente con controricorso, depositando successiva memoria con cui ribadisce le conclusioni formulate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula un unico motivo, con il quale fa valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 d.lgs. 147/2016, per avere la C.T.R., riconosciuto la sussistenza dei presupposti
applicativi della disposizione, benché il contribuente avesse omesso gli adempimenti formali previsti dalla legge per la fruizione dell’agevolazione. Osserva che l’art. 16, comma 4, d.lgs. 147/2015 introduce due alternative per accedere al regime agevolato: la prima è quella richiamata dall’art. 3, comma 5 della l. 238/2010, cui la disposizione rinvia; l’altra è quella prevista dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, cui il medesimo art. 16 rimette l’individuazione delle modalità. Sostiene che, dunque, il lavoratore interessato può, nel regime risultante dalla norma, o presentare richiesta scritta al datore di lavoro, ai fini del calcolo delle ritenute fiscali, oppure esercitare l’opzione che consente di fruire dell’agevolazione nella dichiarazione dei redditi, indicando il reddito tassabile in misura agevolata. Trattandosi, nondimeno, di una norma eccezionale, è preclusa la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi integrativa a favore. Rileva che l’Agenzia delle Entrate, con provvedimento del 29 marzo 2016 prot. n. 46244 ha definito le modalità di esercizio dell’opzione per il regime agevolativo, da effettuarsi entro il termine del 29 giugno 2016. Successivamente, in forza delle modifiche legislative dell’art. 16 cit., siffatto termine è stato prorogato dall’art. 3, comma 3 del d.l. 244/2016, conv. Con l. 19/2017, al 30 aprile 2017, demandandosi, peraltro, nuovamente al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di stabilire le modalità attuative dell’opzione. Assume che, dunque, la sentenza impugnata erra sotto due distinti profili: da un lato, perché attribuisce rilievo, sotto il profilo sostanziale solo alla maggior retribuzione riconosciuta al lavoratore, in forza delle mansioni superiore assegnategli, dall’altro, perché ritiene irrilevanti la mancata presentazione della richiesta al proprio datore di lavoro e la mancata opzione nella dichiarazione dei redditi, al fine di ottenere il regime agevolato.
Con il controricorso il contribuente eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione per violazione dell’art. 329 c.p.c. nonché del principio del tantum devolutum quantum appellatum, non avendo l’Ufficio impugnato con appello incidentale -cosi prestando acquiescenza- la sentenza di primo grado, nella parte in cui riteneva infondata l’eccezione preliminare sollevata dall’Agenzia delle Entrate in ordine all’impossibilità di recuperare l’agevolazione tramite istanza di rimborso ex art. 38 d.P.R. 602/1972, per carenza di specificità dei motivi di gravame. Eccepisce altresì l’inammissibilità del ricorso per carenza di specificità dei motivi, rilevando che l’Ufficio non muove alcuna specifica censura alla sentenza impugnata. Rileva, inoltre, l’assenza di previsioni normative che stabiliscano la decadenza del contribuente dalla possibilità di richiedere l’agevolazione, non essendo la medesima prevista neppure dai provvedimenti dell’Amministrazione. Contesta il valore normativo delle circolari e sottolinea che il diniego del rimborso integra una violazione del principio di affidamento di cui all’art. 10 l. 212/2000.
Vanno preliminarmente affrontate le eccezioni di inammissibilità introdotte con il controricorso, in quanto astrattamente idonee a definire la controversia.
La prima eccezione non è fondata. Con il ricorso in esame, infatti, l’Agenzia delle Entrate contesta la sussistenza dei presupposti dell’agevolazione di cui all’art. 16, comma 4 l. 147/2015 in capo al contribuente, per non avere il medesimo esercitato l’opzione entro il termine di decadenza indicato dal provvedimento del Direttore delle Entrate, delegato dal medesimo art. 16 alla individuazione delle modalità di richiesta del beneficio fiscale.
4.1 Va sottolineato che la sentenza della C.T.P. di Milano si limita ad escludere la
sussistenza del diritto all’agevolazione, in quanto l’attività lavorativa svolta dal contribuente al suo rientro in Italia si poneva in sostanziale continuità con quella precedente, risultando così non soddisfatta la finalità attrattiva della norma di cui all’art. 16 cit.
Ne consegue che nessun motivo di appello incidentale, neppure nella forma condizionata (essendo l’Ufficio integralmente vittorioso in primo grado), doveva essere formulato dall’Amministrazione, mentre spetta al contribuente, attore sostanziale, dimostrare la sussistenza dei requisiti fondanti la domanda.
Anche l’ulteriore eccezione di inammissibilità è infondata. Risulta, invero, rispettato il requisito della specificità dei motivi, apparendo chiaro -dalla lettura della doglianza formulata dall’Agenzia delle Entrate – che la censura si appunta sulla mancata valutazione dell’integrazione dei presupposti sostanziali di applicazione dell’art. 16 l. 147/2015, da parte della Corte tributaria.
Il motivo di ricorso formulato dall’Agenzia delle Entrate non è fondato.
Deve, innanzitutto, osservarsi che con l’art. 5, comma 1 lett. d) del d.l. 34/2019, conv. con mod. dalla l. 58/2019, è stato aggiunto all’art. 16 del d.lgs 147/2015 -rubricato ‘Regime speciale per i lavoratori impatriati’ – il comma 5 ter , che nell’ultima parte dispone che: ‘Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo’.
Precedentemente alla data di entrata in vigore di siffatta disposizione, dunque, la richiesta di rimborso era da ritenersi ammissibile.
6.1 Il disposto del quarto comma dell’art. 16 d.lgs. 147/2015 stabilisce che al lavoratore che si sia trasferito in Italia entro il 31 dicembre 2015 si applichi la disciplina prevista dalla
legge 238/2010, assicurando nondimeno la possibilità alternativa di formulare l’opzione per l’applicazione del regime previsto dal medesimo articolo 16.
L’art. 3 della l. 238/2010 stabilisce al primo comma che ‘ I redditi di lavoro dipendente, i redditi d’impresa e i redditi di lavoro autonomo percepiti dalle persone fisiche di cui all’articolo 2 concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in misura ridotta, secondo le seguenti percentuali: a) 20 per cento, per le lavoratrici; b) 30 per cento, per i lavoratori’, con una durata inizialmente stabilita dalla data di entrata in vigore della legge sino a 31 dicembre 2013 (art. 1), successivamente prorogata al 31 dicembre 2017 dall’art. 10 comma 12 octies del d.l. 192/2014 con con. mod. in l. 11/2015.
Il regime previsto dall’art. 16 del d.lgs 147/2015, che espressamente abroga l’art. 10, comma 12 octies cit., invece, stabilisce la concorrenza dei medesimi redditi alla formazione del reddito nella misura del 30 per cento (comma 1), prevedendo, nondimeno, che l’agevolazione si applichi a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza del lavoratore nel territorio dello Stato, per i quattro anni successivi (comma 3), essendo, inoltre, stabilita con la disposizione di cui all’art. 3 bis, introdotto dall’art. 5, comma 1 lett. d) del d.l. 34/2019 conv. con. mod. nella l. 58/2019, l’applicabilità dell’agevolazione per ulteriori cinque periodi di imposta per i lavoratori che acquistino un immobile residenziale in Italia, per i lavoratori con figli minori, con ulteriore riduzione della concorrenza del reddito da lavoro alla formazione del reddito complessivo al 10 per cento, per il caso di lavoratori con almeno tre figli.
In entrambi i casi, ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, è necessario che il lavoratore formuli una richiesta al datore di
lavoro. E’ infatti previsto dal comma 5 dell’art. 3 della l. 238/2010 che: ‘Il beneficio attribuito ai lavoratori dipendenti, su specifica richiesta di questi ultimi, è computato dal datore di lavoro ai fini del calcolo delle ritenute fiscali. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni necessarie per l’applicazione del presente comma’. Così come è previsto dal comma 4 dell’art. 16 d.lgs 147/2015, che, in alternativa all’applicazione del regime agevolativo di cui alla l. 238/2010, il lavoratore possa ‘optare con modalità definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate da emanare entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione, per il regime agevolativo di cui al presente articolo’.
Si tratta, come ben si evince dalla mera lettura delle norme, di due disposizioni parallele, posto che in entrambi i casi si rimette ad un provvedimento del direttore della Agenzia delle Entrate di stabilire le modalità della richiesta.
Ed invero, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, il provvedimento n. 46244/2016 del direttore dell’Agenzia delle Entrate, prevede una sola modalità per l’esercizio dell’opzione , che è quella della richiesta al datore di lavoro -contenente una serie di indicazioni specifiche- cioè proprio quella modalità prevista dall’art. 3 della l. 238/2010 per fruire dell’agevolazione, i cui termini attuativi sono stati determinati con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 97156/2011.
6.2 Queste precisazioni si rendono necessarie per comprendere che il meccanismo per la fruizione del beneficio non è mutato con l’introduzione della disposizione di cui all’art. 16 d.lgs 147/2015, essendo semplicemente previsto che con domanda diretta al datore di lavoro -necessaria in ogni caso- il
lavoratore possa comunicare al medesimo l’opzione per il regime di cui allo stesso articolo 16, rimanendo, invece, applicabile la disciplina di cui all’art. 3 l. 238/2010, qualora il lavoratore inoltri la domanda, senza specificare di optare per l’alternativo regime.
6.3 Come si è detto, il divieto di rimborso è stato introdotto solo con il comma 5 ter dell’art. 16 cit., tanto è vero, che, come mette bene in evidenza il contribuente, con la circolare n. 14/E del 4 maggio 2012, dopo avere chiarito alcuni aspetti applicativi dell’art. 3 della l. 238/2010 e ricordato che ‘la richiesta deve essere presentata entro i tre mesi dall’assunzione’ -introducendo, dunque, un termine per il suo inoltrol’Agenzia delle entrate ha nondimeno precisato che: ‘In via residuale, il soggetto interessato può presentare richiesta di rimborso ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 602/1973 a un Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate, allegando la documentazione rilevante a dimostrare la sussistenza dei presupposti per la fruizione del beneficio’.
6.4 L’assenza di un divieto di rimborso -antecedentemente all’introduzione del citato comma 5 ter – consente, dunque, di affermare che la scadenza del termine stabilito dai provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle Entrate (29 giugno 2016, nel caso del provvedimento n. 46244 relativo all’opzione di cui all’art. 16 cit.), così come di quello introdotto dall’art. 3 comma 3 nonies del d.l. 244/2016 con. con mod. in l. 19/2017 (che proroga il termine stabilito dal provvedimento amministrativo n. 46244) non comporta la decadenza dal beneficio fiscale, ma più semplicemente non consente più di attivare la procedura di richiesta del beneficio tramite il sostituto di imposta, ponendo a carico del contribuente l’onere di richiedere il rimborso, ove intenda recuperare la maggiore imposta corrisposta.
6.5 Né muta siffatto quadro la possibilità introdotta dall’art. 16 d.lgs 147/2015 di scelta fra due regimi fiscali diversi, posto che con la richiesta di rimborso il contribuente sarà tenuto ad indicare opzione prescelta.
6.6 D’altro canto, la precisazione -richiamata dalla ricorrente- introdotta dalla circolare 17/E del 23 maggio 2017 secondo cui ‘Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi. In tale caso il reddito da lavoro dipendente va indicato già nella misura ridotta’, da un lato, non esonera dalla formulazione della richiesta al datore di lavoro, fornendo una soluzione alternativa per il caso dell’impossibilità di provvedere del medesimo, dall’altro non introduce -né potrebbe non avendo valore di legge- il divieto di rimborso, consentito, come si è detto sino all’aggiunta del comma 5 ter dell’art. 16 d.lgs 147/2015.
6.7 Fatta questa premessa, appare chiaro perché la sentenza non si sia pronunciata sulla necessità degli adempimenti formali per accedere all’agevolazione in parola, posto che i medesimi sono previsti non per legittimare il rimborso -che soggiace alla sussistenza dei requisiti sostanzialima per ottenere il beneficio fiscale attraverso la richiesta al proprio datore di lavoro, al quale sono rimessi gli adempimenti in qualità di sostituto di imposta.
Alla reiezione del ricorso consegue la condanna dell’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite da liquidarsi in euro 3.300,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 3.300,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2024