Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6989 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6989 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16139/2015 proposti da:
RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), con sede in RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore dott. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, con poteri e facoltà anche disgiunti tra loro, dal Prof. Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; fax: NUMERO_TELEFONO; pec: EMAIL) del foro di RAGIONE_SOCIALE e dall’Avv. NOME pec: EMAIL) del foro di Roma, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, alla INDIRIZZO
COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; fax: NUMERO_TELEFONO; INDIRIZZO, in virtù di procura a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, nato a RAGIONE_SOCIALE il
Applicazione di IVA su TIA 1
DATA_NASCITA ed ivi residente, alla INDIRIZZO, NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nata a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA ed ivi residente, alla INDIRIZZO, NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA ed ivi residente, alla INDIRIZZO, NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nato a Sassari il DATA_NASCITA e residente in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA ed ivi residente, alla INDIRIZZO, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) del foro di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) del foro di Roma, congiuntamente e disgiuntamente fra di loro, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla INDIRIZZO, in forza di procure speciali poste in calce al controricorso (indirizzo di posta elettronica certificata: EMAIL e EMAIL; telefax: NUMERO_TELEFONO);
-controricorrenti –
e
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
– intimati –
-avverso la sentenza n. 3993/2014 emessa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in data 16/12/2014 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME proponevano appello avverso la sentenza n. 4275/2013 con la quale il Giudice di Pace di RAGIONE_SOCIALE aveva respinto la loro domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell’applicazione dell’IVA sulla Tia per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, con conseguente restituzione di quanto corrisposto a tale titolo.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accoglieva l’appello e, per l’effetto, da un lato, accertava che la RAGIONE_SOCIALE aveva illegittimamente applicato l’IVA sulla TIA per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009 e, dall’altro lato, condannava la stessa a restituire agli appellanti gli importi versati a quel titolo, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. A tal fine affermava che erano soggette ad IVA solo le prestazioni di servizi ‘verso corrispettivo’, e non anche quelle finanziate mediante imposte, peraltro nel contesto di attività esercitate in quanto pubbliche autorità, e che la determinazione del quantum dovuto per lo smaltimento dei rifiuti prescindeva dalla individuazione di quanto effettivamente prodotto dal detentore.
Avverso la detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi. COGNOME NOME, COGNOMENOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME hanno resistito con controricorso. COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME non hanno svolto difese.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la <>.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la <>.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l'<>.
I tre motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono infondati.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di chiarire (Cass., Sez. U, Sentenza n. 5078 del 15/03/2016), la normativa a fondamento delle
questioni sollevate è costituita dall’art. 49 del d.lgs. 5/2/1997, n. 22 -con il quale venne soppressa a decorrere dal 1° gennaio 1999, la cd. Tarsu, disponendo che i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, fossero coperti dai Comuni mediante l’istituzione di una tariffa (usualmente denominata Tariffa di Igiene ambientale) – composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che fosse assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
La Corte costituzionale giudicò infondata la questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 203 del 2005, art. 3 bis, conv. con modif. con l. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) per lo smaltimento dei rifiuti urbani, con sentenza 238/2009, ritenendo che il prelievo presentasse tutte le caratteristiche del tributo, che il medesimo non fosse pertanto inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisse una mera variante della TARSU disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima. Analoghi principi vennero affermati dalla Corte Cost., con la sentenza n. 64/2010.
Nell’adeguarsi a tale orientamento, questa Corte, in sede di regolamento di giurisdizione, ha affermato: <> (Cass., Sez. Un. 14903/2010, 25929/2011).
Con espresso riferimento alla applicabilità dell’iva al tributo in questione, la V sezione di questa Corte, con orientamento costante, ha affermato: <> (Cass., Sentenza n. 3293 del 02/03/2012; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 09/03/2012; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5831 del 13/04/2012).
In contrasto con tale indirizzo erano le affermazioni contenute in alcune decisioni della Sezione I di questa Corte, nell’ambito di giudizi aventi ad oggetto la natura privilegiata, ex art. 2752, comma 3, cod. civ., del credito relativo al tributo in questione, laddove leggesi: <> (Cass. 5297/2009; Cass. 5298/2009; Cass. 5299/2009; Cass. 12006/2012; Cass. 12007/2012, Cass. 17768/2012; Cass. 17994/2014). Nel superare il detto il contrasto, le Sezioni Unite hanno dato seguito all’indirizzo espresso dalla Sezione Tributaria, non senza rilevare che la questione dell’assoggettamento ad Iva della Tia 1 non costituiva espressamente oggetto delle pronunce della Sezione I, risultando un mero
obiter a favore della natura non privatistica della Tia nell’ambito della disciplina speciale in tema di crediti privilegiati.
Tale determinazione trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che caratterizza(va)no la cd. Tia 1, elementi costituiti dall’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici -, nonché dall’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento ad IVA (artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633/1972).
Questo indirizzo è altresì conforme all’art. 13 della direttiva 2006/112 CE -secondo cui “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”. Va in proposito rilevato che l’ordinamento eurocomunitario reputa essenziale la gestione dei rifiuti, tanto da addossare sui singoli Stati l’obbligo di adottare le misure necessarie atte a garantire il recupero, riutilizzo, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti medesimi (artt. 4, 10, 12 e 13 dir. “008/98 CE), rimettendo alla discrezionalità degli Stati medesimi la determinazione degli oneri correlati ai costi di gestione (“allo stato attuale del diritto comunitario, non vi è alcuna normativa adottata in base all’art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità”…. “le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa” punti 48 e 50 sent. 15/7/2009, causa C-254/08). E che tale servizio sia connesso all’esercizio di attività di pubblica autorità trova conforto anche nelle decisioni della Corte di Giustizia (Quarta Sezione nella causa C- 174/14 punto 71) secondo cui: l’esenzione prevista all’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/112
concerne principalmente le attività esercitate dagli enti di diritto pubblico in quanto pubbliche autorità che, pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all’esercizio di prerogative di pubblico potere (sentenza lsie of RAGIONE_SOCIALE e a., C-288/07, EU:C:2008:505, punto 31); nonchè nella Sentenza del 14 dicembre 2000, nella causa C-446/98 (punti 15-17), secondo cui: alla luce degli obiettivi della sesta direttiva, mette in evidenza che per l’applicazione dell’esenzione devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire l’esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l’esercizio di attività in veste di pubblica autorità (v., segnatamente, sentenza 25 luglio 1991, causa C-202/90, AVV_NOTAIO de Sevilla, Racc. pag. 1-4247, punto 18). 1- 11469 SENTENZA 14. 12. 2000 -CAUSA C-446/98 16. Per quanto riguarda quest’ultima condizione, sono le modalità di esercizio delle attività in esame che consentono di determinare la portata dell’esenzione degli enti pubblici (sentenze 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, RAGIONE_SOCIALE, Race. pag. 3233, punto 15, e 15 maggio 1990, causa C4/89, RAGIONE_SOCIALE, Race. pag. 1-1869, punto 10).
Risulta così da una consolidata giurisprudenza della Corte che le attività esercitate in quanto pubbliche autorità, ai sensi dell’art. 4, n. 5, primo comma, della sesta direttiva, sono quelle svolte dagli enti pubblici nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati. (v. sentenze 12 settembre 2000, causa C276/97, Commissione/Francia, punto 40, causa C-358/97, Commissione/Irlanda, punto 38, causa C359/97, Commissione/Regno Unito, punto 50, causa C-408/97, Commissione/Paesi Bassi, punto 35, e causa C-260/98, Commissione/Grecia, punto 35).
Anche la necessità di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e controprestazione, ai fini della imponibilità, risulta conforme alla giurisprudenza comunitaria. Nella Sentenza della Terza Sezione del 20 giugno 2013, nella causa C-653/11, p. 40) leggesi: <<Ai sensi dell'articolo
2, punto 1, della sesta direttiva, sono soggette a IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale». Con riferimento, più in particolare, alla nozione di prestazione di servizi, la Corte ha affermato in più occasioni che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso» ai sensi dell'articolo 2, punto 1, di tale direttiva e, pertanto, configura un'operazione imponibile solo quando tra l'autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall'autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, RAGIONE_SOCIALE, C-270/09, Racc. pag. 1-13179, punto 16 e giurisprudenza ivi citata)". Egualmente nella Sentenza della Quarta Sezione del 29 ottobre 2015, causa C- 174/14, ai punti 31 e 32, si è ritenuto: Sono assoggettate all'IVA, in generale e conformemente all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, le prestazioni di servizi fornite a titolo oneroso, comprese quelle fornite dagli enti di diritto pubblico. Gli articoli 9 e 13 della stessa direttiva attribuiscono pertanto un ambito di applicazione molto ampio all'IVA (sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-79/09, EU:C:2010:171, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).
La possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso presuppone unicamente l'esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario (v., in particolare, sentenza Serebtyannay vek, C-283/12, EU:C:2013:599, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
Inoltre, nella determinazione della base imponibile, la Corte di giustizia ha affermato <> (Corte giust. 28 luglio 2011, C-106/10, punto 33; Corte giust. 22 dicembre 2010, C-433/09, Commissione/Austria, punto 34), successivamente precisando che tale legame diretto è ravvisabile allorquando le tasse, i tributi e i prelievi divengono esigibili dal momento che sono forniti e solo quando sono forniti i servizi (Corte giust. in C-618/11, C-637/11 e C-659111, TVI – RAGIONE_SOCIALE, punto 41).
Irrilevante ai fini di causa è quindi il disposto della voce 127 sexiesdecies dalla tabella A parte III del d.p.r. 633/1972, relativa ai beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%, secondo cui: le “prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, previste dall’art. 6, comma 1, lettere d), l) e m), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, di rifiuti urbani di cui all’art. 7, comma 2, e di rifiuti speciali di cui all’art. 7, comma 3, lettera g), del medesimo decreto, nonché prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione”; nonchè il d.m. 24 ottobre 2000, n. 370, che, nel disciplinare le modalità di riscossione dell’IVA, prevede espressamente, all’art. 1, che “Per le operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati, di fognatura e depurazione, possono essere emesse bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui all’art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, sempreché contengano tutti gli elementi di cui all’art. 21 del medesimo decreto”. Tali disposizioni sono infatti applicabili nei casi in cui le prestazioni in esame vengano svolte “con corrispettivo”, elemento assente, per quanto sopra ritenuto, nel caso in esame.
Con il quarto motivo la ricorrente si duole della <>, per aver ritenuto inammissibile, siccome non rientrante nelle ipotesi consentite dall’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., la sua
eccezione di prescrizione, ai sensi dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., del diritto degli utenti ad ottenere la restituzione dell’IVA per l’anno 2006, nonostante la prescrizione fosse inquadrabile tra i ‘principi regolatori’ della materia.
5.1. Il motivo è infondato, per quanto si rende necessario, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ., correggere la motivazione.
Fermo restando l’obbligo di osservanza delle norme processuali, la sentenza pronunciata dal giudice di pace secondo equità può essere impugnata con ricorso per Cassazione solo per violazione di norme di rango costituzionale, ovvero per violazione dei principi regolatori della materia; tali principi vanno individuati nelle “linee guida” degli istituti dedotti in giudizio, pur se divergenti, sotto alcuni aspetti, dalla disciplina dettata dalle singole norme positive. In quest’ottica, Cass., Sez. 1, Sentenza n . 7155 del 01/08/1997 ha ritenuto che, con riguardo all’istituto della prescrizione, non possono ricomprendersi tra le “linee guida” nè la regola di cui all’art. 2959 cod. civ., nè quella di cui all’art. 2955 n. 5 cod. civ., non costituendo tali regole condizioni di coerenza del sistema della prescrizione. Rientrano, invece, senz’altro nei principi regolatori della materia, e, come tali, possono essere censurate in appello anche qualora il giudice di pace abbia deciso secondo equità, gli artt. 2946 e 2948 cod. civ.
Pur tuttavia, il motivo di gravame si rivela, senza la necessità di procedere ad accertamenti in fatto, infondato, atteso che la domanda di ripetizione dell’indebito svolta dal privato non è sottoposta alla prescrizione di cui all’art. art. 2948, comma 1, n. 4 c.c., prevista per le prestazioni periodiche avvenute nel corso di un rapporto continuativo, applicandosi, per converso, la prescrizione decennale prevista in tema di condictio indebiti e condictio ob causam finitam , il cui credito restitutorio risulta dovuto in un’unica soluzione (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 20361 del 14/07/2023; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2554 del 20/02/2003, secondo cui, nei casi in cui il contribuente abbia eseguito un pagamento dell’imposta di successione già inizialmente non dovuto, a titolo cioè di indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. va applicata la disciplina generale che prevede il decorso del termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. quale causa
di estinzione del diritto alla ripetizione di quanto pagato; cfr. altresì Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24040 del 26/09/2019, per la quale l’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., si prescrive nel termine di dieci anni, a cui resta estraneo il disposto dell’art. 28 della l. n. 689 del 1981, che regolamenta esclusivamente la prescrizione delle sanzioni amministrative eventualmente connesse all’indebita percezione degli aiuti comunitari nel settore dell’agricoltura).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.
L a circostanza che l’orientamento sulla questione principale si sia consolidato solo a seguito della pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte n. 5078 del 2016 e, quindi, in epoca successiva all’instaurazione del presente grado di giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 12.3.2024.