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IVA reverse charge: no detrazione per operazioni fittizie

Una società operante nel settore dei metalli si è vista negare la detrazione dell’IVA a seguito di un accertamento fiscale che ha rivelato l’uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Nonostante le operazioni fossero soggette al meccanismo dell’IVA reverse charge, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18730/2024, ha stabilito che il diritto alla detrazione non sussiste. La Corte ha chiarito che la neutralità del meccanismo contabile non può sanare l’assenza del presupposto sostanziale, ovvero una reale transazione economica inerente all’attività d’impresa, confermando un orientamento rigoroso contro le frodi fiscali.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

IVA Reverse Charge: La Cassazione Nega la Detrazione per Operazioni Inesistenti

Il meccanismo dell’IVA reverse charge è uno strumento fondamentale per contrastare l’evasione fiscale in settori a rischio, ma la sua applicazione non costituisce un lasciapassare per operazioni fraudolente. Con la recente sentenza n. 18730 del 9 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: il diritto alla detrazione dell’IVA viene meno se l’operazione sottostante è inesistente, anche quando si applica l’inversione contabile. Questa decisione rafforza la linea dura contro le frodi fiscali, sottolineando che la sostanza economica prevale sempre sulla forma contabile.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata operante nel commercio di metalli. L’Agenzia delle Entrate contestava, per l’anno d’imposta 2009, la deducibilità di costi e la detrazione dell’IVA per un importo complessivo di oltre 4,8 milioni di euro, riconducibili a numerose operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Si trattava, secondo l’Ufficio, di fatture emesse da società “cartiere” per coprire acquisti effettuati in nero.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso della società, riducendo l’ammontare dei costi indeducibili e annullando completamente la ripresa a titolo di IVA. I giudici di primo grado ritenevano che, essendo le operazioni soggette al regime dell’IVA reverse charge, l’imposta, pur se relativa a fatture fittizie, dovesse considerarsi neutra per l’Erario. La decisione veniva confermata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale, che respingeva sia il gravame principale dell’Agenzia delle Entrate sia quello incidentale del contribuente.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, l’errata applicazione delle norme sull’IVA. In particolare, sosteneva che la C.T.R. avesse sbagliato a ritenere neutra l’IVA in un contesto di operazioni fittizie, anche se soggette a inversione contabile.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’IVA reverse charge

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate relativo all’IVA, cassando con rinvio la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno chiarito che il regime dell’IVA reverse charge non legittima la detrazione dell’imposta quando l’operazione fatturata è inesistente.

Il fulcro del ragionamento della Corte risiede nella distinzione tra i presupposti formali e quelli sostanziali del diritto alla detrazione. Sebbene il meccanismo dell’inversione contabile sposti l’onere del versamento dell’imposta sul cessionario (l’acquirente), non elimina la necessità che esista una reale operazione economica sottostante, inerente all’attività d’impresa.

La Corte ha specificato che il diritto alla detrazione è condizionato alla sussistenza di requisiti oggettivi e soggettivi. La mancanza di un’operazione reale fa venire meno il presupposto stesso del tributo e, di conseguenza, del diritto a detrarlo. In altre parole, l’annotazione contabile, pur formalmente corretta, non può sanare l’illiceità o l’inesistenza della transazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha fondato la sua decisione su principi consolidati sia a livello nazionale che europeo. Il diritto alla detrazione dell’IVA non è un diritto incondizionato, ma serve a garantire il principio di neutralità dell’imposta per gli operatori economici. Tale principio, tuttavia, non può essere invocato in situazioni abusive o fraudolente.

La sentenza chiarisce che il meccanismo dell’IVA reverse charge sposta sul cessionario due obblighi: quello di versare l’imposta (tramite l’integrazione della fattura e la registrazione nel registro vendite) e quello di esercitare il correlato diritto di detrazione (tramite la registrazione nel registro acquisti). Mentre il primo obbligo sorge per il solo fatto di aver ricevuto una fattura, anche se relativa a un’operazione fittizia, il secondo diritto è subordinato alla realtà e all’inerenza dell’operazione stessa.

Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, manca la corrispondenza tra il soggetto fatturante e il reale fornitore, configurando una frode che compromette il funzionamento del sistema IVA. Consentire la detrazione in tali circostanze significherebbe avallare un comportamento fraudolento, in contrasto con gli scopi del sistema comune dell’IVA. Di conseguenza, l’affermazione della C.T.R. secondo cui “l’IVA deve ritenersi neutra” è stata giudicata errata in diritto, poiché la neutralità non si applica in presenza di frodi.

Conclusioni

La sentenza n. 18730/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un importante monito per tutti gli operatori economici. Essa conferma che nessuna architettura contabile, incluso il meccanismo dell’IVA reverse charge, può legittimare la detrazione di un’imposta relativa a operazioni fittizie. La lotta all’evasione fiscale richiede che la sostanza economica prevalga sempre sulla forma. Le imprese devono quindi esercitare la massima diligenza nel verificare la reale esistenza e la correttezza soggettiva delle operazioni, poiché il rischio di vedersi negare la detrazione IVA e contestare l’indeducibilità dei costi è concreto, con pesanti conseguenze economiche e sanzionatorie.

In una transazione soggetta a IVA reverse charge, si può detrarre l’IVA se l’operazione è inesistente?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto alla detrazione dell’IVA presuppone l’esistenza di un’operazione economica reale e inerente all’attività d’impresa. In caso di operazioni fittizie (oggettivamente o soggettivamente inesistenti), questo presupposto sostanziale manca e, di conseguenza, il diritto alla detrazione non può essere esercitato, anche se gli adempimenti contabili del reverse charge sono stati eseguiti correttamente.

Perché l’applicazione del reverse charge non rende l’operazione fiscalmente neutra in caso di frode?
Secondo la Corte, il principio di neutralità dell’IVA non può essere invocato per proteggere attività fraudolente. Sebbene il meccanismo del reverse charge comporti un’annotazione contabile che a saldo è pari a zero (debito IVA su vendite e credito IVA su acquisti), questa è solo una modalità di assolvimento dell’imposta. Se l’operazione sottostante è fittizia, il diritto a detrarre l’IVA (il credito) viene meno, mentre rimane l’obbligo di versare l’imposta (il debito), rendendo l’operazione non più neutra per il contribuente.

Cosa deve dimostrare il contribuente per poter detrarre l’IVA in regime di reverse charge?
Il contribuente deve essere in grado di dimostrare la sussistenza dei requisiti sostanziali dell’operazione. Ciò include non solo l’effettiva esecuzione della transazione (consegna dei beni o prestazione dei servizi), ma anche la sua inerenza all’attività d’impresa. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è necessario dimostrare di aver agito con la diligenza esigibile da un operatore del settore e di non essere stato in grado di sapere che l’operazione si inseriva in una frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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