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IVA reverse charge: indetraibile se l’operazione è frode

Una società metallurgica si vedeva contestare la detrazione IVA per fatture emesse da fornitori fittizi. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva la tesi della società, sostenendo che il meccanismo dell’IVA reverse charge rendesse l’operazione neutra. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che il reverse charge non si applica alle operazioni fraudolente o inesistenti. Il diritto alla detrazione viene meno se il contribuente era consapevole o avrebbe dovuto essere consapevole della frode, poiché la frode stessa è un limite invalicabile al principio di neutralità dell’IVA.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

IVA reverse charge: nessuna salvezza in caso di frode

L’applicazione del meccanismo dell’IVA reverse charge non legittima la detrazione dell’imposta qualora l’operazione sottostante sia inesistente o parte di un disegno fraudolento. Questo è il principio cardine ribadito dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza, che cassa la decisione di merito e chiarisce i limiti del principio di neutralità dell’IVA di fronte a condotte illecite. La pronuncia offre spunti fondamentali per le imprese che operano in settori soggetti a inversione contabile, sottolineando l’importanza di verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali.

Il caso: detrazione IVA da fornitori fittizi

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società del settore metallurgico, con cui l’Amministrazione Finanziaria contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2009. Secondo l’Ufficio, la società aveva registrato fatture per operazioni inesistenti emesse da diversi fornitori che, a seguito di indagini, erano risultati essere mere “cartiere”.

Questi soggetti, pur essendo titolari di partita IVA, non avevano mai istituito le scritture contabili, né presentato dichiarazioni fiscali o effettuato versamenti. Erano inoltre privi di qualsiasi organizzazione aziendale, dipendenti, mezzi di trasporto o risorse finanziarie per movimentare le ingenti quantità di materiale che asserivano di fornire. L’Amministrazione Finanziaria, quindi, riteneva che la contribuente avesse detratto illegittimamente l’IVA su fatture false.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), tuttavia, aveva dato ragione alla società, rigettando l’appello dell’Ufficio. I giudici di secondo grado avevano fondato la loro decisione sull’applicazione del meccanismo dell’IVA reverse charge, ritenendo che tale regime comportasse una sostanziale neutralità dell’operazione, rendendo irrilevante la questione della frode.

L’analisi della Cassazione sull’IVA reverse charge e frode

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, smontando completamente la tesi della CTR. Gli Ermellini hanno chiarito che l’affermazione secondo cui il regime del reverse charge escluderebbe la frode è errata in diritto. Il principio consolidato, sia a livello nazionale che europeo, è che l’IVA relativa a operazioni, anche solo soggettivamente, inesistenti è sempre indetraibile, anche se tali operazioni sono formalmente compiute in regime di inversione contabile.

La frode come limite alla neutralità dell’IVA

Il punto centrale della decisione è che il diritto alla detrazione IVA non è assoluto. Esso presuppone che l’operazione commerciale sia reale e lecita. Quando un’operazione è fittizia, viene a mancare il presupposto stesso per l’applicazione dell’imposta e, di conseguenza, per la sua detrazione. Il meccanismo dell’IVA reverse charge è uno strumento tecnico per la riscossione dell’imposta in specifici settori a rischio evasione, ma non può diventare uno scudo per legittimare transazioni fraudolente.

La Corte Suprema, richiamando numerose pronunce precedenti e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha ribadito che la frode rappresenta un limite invalicabile al principio di neutralità dell’IVA. Un soggetto passivo che sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, non può beneficiare di tale diritto.

L’inversione dell’onere probatorio

Un altro aspetto cruciale toccato dalla sentenza riguarda l’onere della prova. In casi di IVA reverse charge, sebbene l’autofatturazione e la doppia registrazione comportino un effetto nullo sul debito IVA del cessionario, ciò non impedisce all’Amministrazione Finanziaria di contestare la realtà dell’operazione. L’Ufficio può dimostrare la frode anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti. A quel punto, l’onere probatorio si inverte: spetta al contribuente dimostrare di aver agito in totale buona fede e di aver adottato ogni ragionevole misura per assicurarsi che l’operazione non facesse parte di una frode.

Le motivazioni

La Corte ha stabilito che l’esistenza effettiva della transazione è un requisito sostanziale e prioritario per l’esercizio del diritto di detrazione. Il regime contabile applicabile, come il reverse charge, è un “posterius” che non può sanare l’inesistenza originaria dell’operazione. Di conseguenza, se l’operazione è fittizia, non sorge alcun diritto alla detrazione. La decisione della CTR, che aveva giustificato la detrazione basandosi unicamente sull’applicazione del reverse charge senza valutare la realtà delle transazioni, è stata ritenuta viziata da una falsa applicazione delle norme sull’IVA. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato la causa a una diversa sezione della CTR per un nuovo esame che tenga conto dei principi enunciati.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: il regime dell’IVA reverse charge non è una “zona franca” in cui le regole sulla detraibilità vengono meno. Le imprese devono prestare la massima attenzione alla selezione e al controllo dei propri fornitori, poiché la partecipazione, anche inconsapevole ma negligente, a schemi fraudolenti comporta la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA e l’applicazione di pesanti sanzioni. La buona fede del contribuente deve essere dimostrata attivamente, non potendo essere presunta di fronte a elementi oggettivi che indicano un’operazione fittizia.

È possibile detrarre l’IVA in regime di reverse charge se le operazioni fatturate sono inesistenti?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che se un’operazione è, oggettivamente o soggettivamente, inesistente, l’IVA è indetraibile, anche se l’operazione è stata contabilizzata secondo il meccanismo del reverse charge. Manca il presupposto sostanziale del diritto alla detrazione, ovvero una transazione reale.

Il meccanismo del reverse charge rende neutra un’operazione fraudolenta ai fini IVA?
No. La frode fiscale è un limite al principio di neutralità dell’IVA. Il reverse charge è una modalità tecnica di applicazione dell’imposta che non può essere utilizzata per sanare o rendere neutra un’operazione illecita. Se il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, perde il diritto alla detrazione.

Su chi ricade l’onere di provare la buona fede in caso di fatture per operazioni inesistenti in regime di reverse charge?
Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce prove, anche presuntive (gravi, precise e concordanti), che indicano l’esistenza di una frode, l’onere della prova si inverte e ricade sul contribuente. Sarà quest’ultimo a dover dimostrare di aver agito in buona fede e di aver adottato tutte le cautele necessarie per evitare di essere coinvolto in un’operazione fraudolenta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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