Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31918 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 31918 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso n. 28013-2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
NOME NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 1356/02/2022 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 26.04.2022;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza celebrata il 28 maggio 2024, sentito il Procuratore Generale, nella persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentita la discussione e le conclusioni della parte presente in udienza;
IVA – Cash accounting – art. 32 bis d.l. 83/2012
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, che, confermando la decisione di primo grado, per quanto qui d’interesse ha rigettato l’appello dell’ufficio avverso l ‘annullamento dell’avviso d’accertamento, con cui nei confronti di NOME NOME , in relazione all’anno d’imposta 2013, era stato recuperato l’importo di € 30.571,80, pari all’IVA che secondo l’ufficio non poteva essere assoggettata a pagamento differito (cd. cach accounting).
La controversia era giunta dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cosenza a seguito di un controllo fiscale, dal quale l’Amministrazione finanziaria aveva evinto che nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2013 il COGNOME aveva appostato al rigo VE36 col. 1 operazioni riportate nella fattura n. 1 del 2013, dell’importo di € 145.580,00, ma con Iva esigibile negli anni successivi, omettendo però di indicare quell’importo nel rigo VE 36 col. 2, destinato all’opzione del regime Iva per cassa , così come di riportare in fattura l’annotazione del regime per cassa applicato all’operazione .
La Commissione provinciale, con sentenza n. 2137/08/2021, accolse le ragioni del contribuente. L’appello dell’ufficio, che evidenziava come la fattura non fosse stata emessa nel rispetto delle previsioni contenute nell’art. 6, comma 5, del d.P.R. 26 ottobre 1972, né, ai fini della dichiarazione, era stato compilato il rigo VE36, destinato alle operazioni soggette ad Iva per cassa, come richiesto dall’art. 32 -bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, fu respinto dalla Commissione regionale con sentenza n. 1356/02/2022.
Il giudice d’appello, dopo aver ricordato le regole di riparto dell’onere della prova in tema di accertamenti e, tra esse, l’onere gravante sul contribuente per la prova de i requisiti di legge per l’applicazione del regime iva per cassa, ha affermato che nel caso di specie il COGNOME avesse a ciò adempiuto, in presenza dei presupposti oggettivi per fruire della disciplina (limite del volume d’affari, cessioni di beni e pre stazioni di servizi eseguiti nel territorio dello Stato nei confronti di soggetti passivi Iva). Ha concluso affermando che la condotta del contribuente era stata coerente, per aver specificato sulla fattura sia la dizione ‘iva per cassa’, sia il richiamo all’art.
32-bis del d.l. n. 83 del 2012.
Per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso il contribuente, che ha ulteriormente illustrato con memoria le proprie difese.
All’esito della discussione nell’udienza pubblica del 28 maggio 2024, le parti presenti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente rigettarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, rilevata dalla controricorrente (ex art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ.) con le memorie illustrative, nelle quali si è voluto evidenziare che nei gradi di merito le statuizioni erano state doppiamente confermative delle ragioni del contribuente. Il rilievo non ha pregio, perché la sentenza impugnata è stata censurata sulla base della errata applicazione della disciplina e della violazione dei principi sull’onere della prova , e non per questioni di fatto.
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 36, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe viziata radicalmente perché apparente.
S ussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). In sede di gravame, non è viziata la decisione quando motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece
cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie la motivazione, a prescindere se corretta o meno, è immune dal vizio denunciato. Il collegio ha ritenuto di riconoscere l’esistenza degli elementi comprovanti i requisiti per la corretta opzione del regime dell’iva per cassa e su tali presunti riscontri ha riconosciuto la fondatezza delle ragioni del contribuente. La motivazione è dunque immune dal radicale vizio della nullità.
Con il secondo motivo l’ufficio ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché dell’art. 32 bis del d.l. n. 83 del 2012, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La decisione del giudice d’appello sarebbe nulla anche sotto il diverso profilo del travisamento della prova.
Con il terzo motivo l’ufficio lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La decisione sarebbe comunque fondata su una erronea interpretazione della disciplina regolante il cd. cash accounting.
Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 32 bis del d.l. n. 83 del 2012 e dell’art. 2697 cod. civ.,
RGN 28013/2022 Consigliere est. NOME
in relazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza sarebbe errata anche per aver affermato che il contribuente aveva dato prova del rispetto dei requisiti per l’applicazione del cash accounting.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente perché connessi.
Essi trovano accoglimento nei termini appresso chiariti.
La controversia ha ad oggetto l ‘esistenza dei requisiti per l’applicazione del regime iva di cassa, utilizzato dal contribuente nell’anno 2013 , ma i cui presupposti applicativi erano stati contestati dall’amministrazione finanziaria.
Deve premettersi che il cash accounting , già disciplinato dal d.l. n. 185/2008, convertito con l. 28 gennaio 2009, n. 2, è regolato, per l’anno d’imposta qui in rilievo -il 2013- dal l’art. 32 bis del d.l. n. 83/2012, entrato in vigore con la conversione in l. 7 agosto 2012, n. 132 (dall’1 dicembre 2012).
L’art. 32 bis cit. ha attuato in Italia uno strumento -previsto dall’art. 167 bis del Diritto dell’Unione della Dir. 112/2006/CE, come introdotto dalla Direttiva 2010/45/UE, e concepito per il sostegno delle piccole e medie imprese. Con esso viene regolato un regime opzionale per le cessioni intermedie, di differimento dell’esigibilità dell’IVA e della corrispondente detrazione, ove il soggetto passivo abbia un fatturato annuo non superiore ad € 2.000.000. Costituisce dunque un regime facoltativo di contabilità di cassa ai fini IVA, diretto a semplificare il pagamento dell’imposta ( cfr. CGUE, C-169/12, cit., punto 34), a supporto delle piccole e medie imprese che si trovino in difficoltà nel pagamento anticipato del l’imposta rispetto al momento dell’incasso della prestazione (CGUE, C -9/20, cit., punto 56).
L’art. 32 -bis d.l. n. 83/2012, coerentemente al sistema concepito dalla disciplina unionale, ha previsto che i soggetti passivi con fatturato non superiore ad € 2.000.000 possano optare per tale regime, così che per le cessioni intermedie il pagamento del l’imposta sulle cessioni di beni o sulle prestazioni di servizi possa essere posticipato al momento del pagamento del corrispettivo del servizio o della cessione di beni eseguita. Allo stesso modo, il diritto a detrarre l’Iva sui beni e sui servizi acquistati nasce al momento del pagamento dei corrispettivi ai fornitori . L’opzione per questo regime viene attuata secondo le modalità indicate dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Nel dettaglio, tale provvedimento (n.
165764/2012) dispone che essa sia comunicata, ai sensi dell’articolo 2 d.P.R. 10 novembre 1997, n. 442, nella prima dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto da presentare successivamente alla scelta effettuata, richiedendosi anche il riporto sulle fatture emesse dell’annotazione che si tratta di operazione con ‘IVA per cassa’ e l’indicazione dell’articolo 32 -bis ult. cit. (punto 1.3 Provv. cit.). Peraltro, sotto quest’ultimo profilo, la Circolare n. 44/E del 2012 afferma che l’annotazi one sulle fatture non costituisce adempimento funzionale al differimento del diritto alla detrazione in capo al soggetto che riceve la fattura, a differenza di quanto avveniva per il d.l. n. 185/2008, ma risponde all’esigenza della regolare tenuta della contabilità per il cedente o prestatore che assoggetti all’IVA per cassa solo alcune operazioni e non inficia l’applicazione del regime IVA per cassa, ove il comportamento concludente del contribuente sia altrimenti riscontrabile.
Perimetrata la cornice normativa e regolamentare che disciplina l’istituto, e chiarito che nel caso di specie il contribuente aveva i requisiti astratti per accedere a tale regime opzionale, la difesa erariale ha censurato la decisione del giudice regionale, per aver ritenuto rispettati i requisiti formali/sostanziali per il riconoscimento del diritto al versamento differito dell’iva, secondo il principio di cassa.
In particolare, la difesa erariale ha evidenziato che nella fattura -fattura n. 1, oggetto della lite e delle contestazioni fiscali dell’ufficio, dell’importo di € 145.580,00 quale corrispettivo per le prestazioni eseguite, oltre iva per € 30.571,00- era stata omessa sia l’annotazione che l’operazione fosse assoggettata al regime dell’iva per cassa , sia la menzione della disciplina applicata -art. 32 bis cit.- adempimenti invece dovuti; nella dichiarazione relativa al 2013 non risultava compilato il rigo VE36 col. 2, finalizzato al riporto del regime opzionale dell’Iva per cassa applicato ; l’ufficio aveva inoltre riscontrato che nel quadro VE del mod. Iva/2015, relativo al successivo anno d’imposta 2014, il contribuente non aveva riportato l’importo di € 30.571,00 relativo alla suddetta fattura del 2013, dato il cui riporto era pur dovuto; ciò si era ripetuto anche nell’Unico/2017 per l’anno 2016.
RGN 28013/2022 Consigliere est. COGNOME Rispetto a queste omissioni, ai cui adempimenti invece, nella prospettazione difensiva erariale, il contribuente era obbligato per fruire
concretamente del regime per cassa, la Commissione regionale, al contrario, dopo essersi diffusa su alcuni principi generali in tema di prova e sulla constatazione dei requisiti astratti per la fruibilità del regime di cash accounting da parte del COGNOME, ha ritenuto che il contribuente avesse osservato le prescrizioni. A tal fine ha affermato che, così come rilevato dal giudice di primo grado, nella fattura fosse stata apposta l’annotazione che l’operazione era assoggettata ad iva per cassa e che essa conteneva inoltre lo specifico richiamo all’art. 32 bis cit.
Questa la sintetica risposta resa dal giudice d’appello alle specifiche contestazioni dell’amministrazione finanziaria, la decisione del collegio d’appello è errata, in punto di diritto, sia con riguardo alla pretesa sufficienza dei dati che assume riversati nella fattura dal contribuente, sia in punto di apprezzamento del comportamento concludente riconosciuto in capo al controricorrente.
Sotto il primo profilo, anche volendo prescindere dalla manifesta non rispondenza al vero dell ‘ annotazione in fattura dei dati relativi all’applicazione del regime iva per cassa , accreditato invece dal giudice d’appello, per il quale d’altronde , ove se ne volesse tener conto, potrebbe perfezionarsi, nell’alveo del vizio di motivazione, una delle ipotesi per le quali la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto ammissibile l’accertamento del travisamento della prova (e dunque nei termini chiariti da Sez. U, 5 marzo 2024, n. 5792), l’errore in cui è caduta la Commissione tributaria regionale è proprio quello di non aver considerato le prescrizioni complessive che la disciplina dell’art. 32 bis impone di osservare.
Queste, per via del provved imento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, cui la disciplina primaria ha demandato la indicazione delle concrete modalità formali di accesso al regime del cash accounting , non fanno solo richiamo alle annotazioni da apporre in fattura, ma, soprattutto per ordine di importanza, al contenuto della dichiarazione, da comunicare ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442, nella prima dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto da presentare successivamente alla scelta effettuata (punto 1,2 del provvedimento). Risulta non contestato che il COGNOME non ha neppure compilato il quadro VE, rigo 36, col. 2, della dichiarazione annuale per l’anno d’imposta 2013.
RGN 28013/2022
L’omissione in cui è incorso il contribuente è stata nel concreto reiterata con ulteriori carenza, evidenziate dalla difesa erariale e non contestate dal controricorrente. Infatti, si è riscontrato che nel quadro VE del mod. Iva/2015, relativo al successivo anno d’imposta 2014, il contribuente non aveva riportato l’importo di € 30.571,00 ossia l’iva indicata nella fattura del 2013 ed il cui versamento si intendeva differire, dato il cui riporto era invece pur dovuto; ed ancora, la medesima omissione si era ripetuta nell’Unico/2017 per l’anno 2016 .
Si tratta di elementi che ai fini dell’accesso al regime speciale dell’iva per cassa vanno esaminati nel loro complesso, anche per comprendere, ove non osservati nella loro totalità, se tale carenza possa essere sopperita dalla valorizzazione del comportamento concludente del contribuente, che a sua volta, tuttavia, va pur ancorato al concreto atteggiarsi dell’optante, e pertanto all’osservanza almeno di alcune delle formalità richieste. Diversamente queste ultime sarebbero svuotate di ogni funzione.
Ebbene, nel caso di specie compito del giudice di merito sarebbe stato proprio procedere ad un vaglio complessivo della condotta formale, da intendersi come rispetto degli obblighi dichiarativi del contribuente, spiegando come e perché l’om issione, anche solo parziale, degli adempimenti, cui il COGNOME era pur tenuto, potesse essere superato, così conseguentemente investendo l’apprezzamento del comportamento concludente.
Le succinte argomentazioni della sentenza impugnata, in merito agli aspetti appena illustrati, restano sul punto del tutto generiche, così mostrando come il giudice regionale non ha fatto buon governo delle regole probatorie, né ha dimostrato di aver correttamente interpretato l’art. 32 bis cit. e i requisiti per l’accesso al regime di contabilità per cassa. Ciò, per l’effetto , ha anche compromesso un adeguato vaglio dei presupposti per riconoscere comunque il comportamento concludente del COGNOME.
Per mera completezza, nessuna rilevanza assume ai fini della presente decisione la circostanza, evidenziata nel controricorso e ribadita nelle memorie difensive del COGNOME secondo cui nell’avviso d’accertamento l’ufficio aveva richiamato l’art. 6, comma 5, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (norma generale che al comma 5 prevede il regime dell’iva differita, rispetto al quale tuttavia l’art. 32 bis cit. regola
la disciplina per una categoria
specifica di contribuenti). Così, allo stesso modo, nessun rilievo può assumere in questo giudizio di legittimità la circostanza che il COGNOME affermi di essere titolare di ditta artigiana con contabilità semplificata. Si tratta di questioni in alcun modo emerse nella pronuncia della Commissione regionale, così che di esse non può tenersene conto, perché avrebbe dovuto occuparsene il giudice d’appello, nei limiti della loro pertinenza ed ammissibilità, ignorandosi allo stato se siano state oggetto di difesa del contribuente in appello e, prima ancora, nel ricorso introduttivo.
La sentenza va in definitiva cassata e il giudizio va rinviato alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Calabria, che in diversa composizione, oltre alla liquidazione delle spese processuali di legittimità, procederà ad un nuovo riesame del ricorso d’appello, tenendo conto dei principi enunciati dal giudice di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, nei termini chiariti in motivazione, rigetta il primo; cassa la sentenza e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Calabria, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del processo di legittimità
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 maggio 2024