Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4112 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4112 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME FILIPPO
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24194/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE), in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC EMAIL
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Oggetto: tributi – IVA -cash accounting -art. 7 d.l. n. 185/2008 – presupposti
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 253/01/20, depositata in data 21 gennaio 2020 Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024.
RILEVATO CHE
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE ha separatamente impugnato due avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2011 e 2012 per maggiore IVA, con i quali si accertava che l’IVA era stata versata con imposta differita (per cassa: cash accounting ) in violazione dell’art. 7 d. l. 29 novembre 2008, n. 185. La società contribuente ha dedotto di avere versato e contabilizzato l’IVA al momento del pagamento delle prestazioni (con particolare riferimento al l’esercizio 2011 ) e di avere emesso note di variazione in diminuzione dell’imposta per effetto del mancato incasso dei corrispettivi.
La CTP di Crotone ha accolto i ricorsi.
La CTR della Calabria, con sentenza qui impugnata, ha parzialmente accolto gli appelli riuniti dell’Ufficio in relazione all’avviso di accertamento 2011, confermando la sentenza di primo grado in relazione all’avviso di accertamento 2012 . Ha ritenuto il giudice di appello che la società contribuente non avrebbe potuto usufruire della esigibilità differita dell’imposta , per avere omesso di indicare nelle relative fatture l’annotazione relativa alla esigibilità differita di cui alla norma dell’ art. 7 d.l. n. 185/2008. Ha, poi, ritenuto il giudice di appello che la società contribuente non avrebbe potuto procedere alle variazioni in diminuzione dell’imponibile in assenza di prova dei presupposti per l’applicazione dell’art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato da memoria; resiste con controricorso l’Ufficio.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. (come risulta per esteso dal motivo) violazione dell’art. 7 d.l. n. 185/200 8 e dell’art. 6, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che non possa invocarsi la disciplina della esigibilità differita in mancanza di annotazione nelle fatture della disciplina dettata dalla suddetta normativa. Parte ricorrente osserva come l’art. 7 d.l. n. 185/2008 è stato sostituito d all’art. 32 -bis , comma 5, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, secondo il quale il regime dell’IVA differita (per cassa) rinvia per l’applicazione a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che fa salva, ai fini del l’applicazione del suddetto regime , la valutazione del comportamento concludente del contribuente, ove ciò risulti dalla dichiarazione IVA annuale. Osserva, in particolare, parte ricorrente che tale comportamento era desumibile dall’esame dei registri IVA e, in particolare, dalle dichiarazioni periodiche, dalle quali emergeva l’opzione per tale regime, dichiarazioni che vengono trascritte per specificità (pagg. 6, 7 ricorso).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di legge in relazione all’art. 26 d.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto insussistenti i presupposti per procedere all’emissione delle note di variazione. Osserva parte ricorrente che le note di variazione non sarebbero state oggetto di contestazione e sarebbero state emesse in costanza dei presupposti e, in particolare, in forza della risoluzione contrattuale dei rapporti con i cessionari nel mese di luglio 2012, ragione per cui i servizi anticipatamente fatturati non sarebbero stati effettivamente espletati. Osserva, inoltre, come l’Ufficio avrebbe ignorato quanto indicato nel rigo VE 24 e deduce di avere rispettato le circolari in materia.
Va rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del primo motivo, in quanto il parametro normativo è evincibile dalle argomentazioni del motivo stesso, così come sono chiaramente intellegibili le argomentazioni del motivo, incentrate sulla ammissibilità del regime di iva differita (per cassa) per effetto del comportamento concludente assunto dalla società contribuente.
Il primo motivo è infondato. L’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633/1972 prevede, a regime, nell’ambito delle deroghe concesse ai singoli Stati membri d all’art. 66, par. 1, lett. b) Dir. 2006/112/CE, il differimento dell’esigibilità dell’IVA (in deroga al momento della effettuazione della prestazione) al momento del pagamento della prestazione (cash accounting) , ove la prestazione rientri in uno dei casi espressamente previsti da tale disposizione (es. cessioni di farmaci da parte di farmacisti, servizi erogati ad alcuni enti pubblici). Si tratta di casi ordinariamente (ma non necessariamente) soggetti ad esigibilità differita. In questo caso, anche il diritto a detrazione sorge al momento del versamento del prezzo (CGUE, 10 febbraio 2022, INDIRIZZO, C-9/20, punto 45).
Il d.l. n. 185/2008, convertito con l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha esteso con l ‘art. 7 – inizialmente transitoriamente per i periodi di imposta 2009 -2011 e poi a regime con la l. n. 2/2009 -la possibilità per i contribuenti di avvalersi -per le cessioni intermedie della catena produttiva/distributiva (con esclusione del cessionario consumatore finale) -del menzionato regime dell’IVA differita, già previsto dall’art. 6, quinto comma, secondo periodo d.P.R. n. 633/1972. Questa disposizione -come emerge dai lavori parlamentari -era una delle misure di politica economica anticrisi prese a tutela delle imprese, conseguenti alla crisi sistemica innescata dal l’insolvenza Lehman Brothers, analogamente a quanto stava avvenendo (in ordine sparso) negli altri Stati membri della Comunità Europea.
6. Si tratta di una misura eccezionale, da interpretare restrittivamente al pari delle altre deroghe consentite dalla Dir. 112/2006/CE (CGUE, 16 maggio 2013, TNT Express Worldwide, C -169/12, punto 24) che non istituisce propriamente un regime di esigibilità differita (di cassa) per il contribuente per tutte le operazioni attive, consentendogli di optare per questa soluzione discrezionalmente in relazione a quelle specifiche cessioni (di beni o servizi) intermedie per le quali il contribuente intenda fare applicazione di tale disciplina. Come contrappeso a questa facoltà attribuita al contribuente (a sua discrezione) – in relazione a singole operazioni sottostanti (« per le operazioni di cui al presente comma ») – il legislatore ha richiesto che per le operazioni per cui vi sia stata l’opzione per l’IVA differita per cassa « la fattura reca l’annotazione che si tratta di operazione con imposta ad esigibilità differita, con l’indicazione della relativa norma », pena l’applicazione del regime ordinario.
7. La suddetta disposizione è stata abrogata (con decorrenza dal 1° dicembre 2012) dall’entrata in vigore dell’art. 32 -bis l. 7 agosto 2012, n. 132 di conversione del d.l. n. 83/2012. Questa norma costituisce, invero, precisa attuazione del Diritto dell’Unione (art. 167 -bis Dir. 112/2006/CE, introdotto dalla Direttiva 2010/45/UE), che ha previsto per gli Stati membri, a sostegno delle piccole e medie imprese, l’introduzione per le cessioni intermedie di un « regime opzionale » (art. 167bis , par. 1 e 2) di differimento dell’esigibilità dell’IVA e della corrispondente detrazione, ove il soggetto passivo abbia un fatturato annuo non superiore ad € 2.000.000 . Si tratta di un regime facoltativo di contabilità di cassa ai fini IVA, diretto a semplificare il pagamento dell’imposta per le piccole imprese (CGUE, C -169/12, cit., punto 34), nonché ad aiutare dichiaratamente le piccole e medie imprese che
hanno difficoltà a pagare anticipatamente l’imposta rispetto al momento dell’incasso della prestazione (CGUE, C-9/20, cit., punto 56).
8. L’art. 32 -bis d.l. n. 83/2012, coerentemente, prevede che per le cessioni intermedie operate da soggetti passivi con fatturato non superiore ad € 2.000.000 l’imposta divenga esigibile (così differendo anche l’esercizio della detrazione) al momento del pagamento del corrispettivo, ove il contribuente faccia opzione per questo « regime » (art. 32bis , comma 2, d.l. cit.) secondo le modalità indicate da un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Il provvedimento del Direttore ADE n. 165764/2012 dispone che l ‘opzione per la liquidazione dell’IVA per cassa si desume anche dal comportamento concludente del contribuente ed è comunicata, ai sensi dell’articolo 2 d.P.R. 10 novembre 1997, n. 442, nella prima dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto da presentare successivamente alla scelta effettuata, richiedendosi anche il riporto sulle fatture emesse del l’annotazione che si tratta di operazione con ‘IVA per cassa’ e l’indicazione dell’articolo 32 -bis ult. cit. (punto 1.3 Provv. cit.). Peraltro, sotto quest’ultimo profilo, la Circolare n. 44/E del 2012 afferma che l’ annotazione sulle fatture non costituisce adempimento funzionale al differimento del diritto alla detrazione in capo al soggetto che riceve la fattura, a differenza di quanto avveniva per il d.l. n. 185/2008, ma risponde all’esigenza della regolare tenuta della contabilità per il cedente o prestatore che assoggetti all’IVA per cassa solo alcune operazioni e non inficia l’applicazione del regime IVA per cassa, ove il comportamento concludente del contribuente sia altrimenti riscontrabile.
Fatte tali premesse, deve ritenersi che tra l’art. 7 d.l. n. 185/2008 e l’art. 32 -bis d.l. n. 83/2012 non vi sia continuità normativa, a differenza di quanto deduce il ricorrente. In primo luogo, le norme hanno diversa copertura di Diritto dell’Unione . L ‘art. 7 d.l. n. 185 cit. è
riconducibile alle deroghe accordate ai singoli Stati membri dall’art. 66 Dir. n. 112/2006/CE ed è norma adottata sulla base di eventi eccezionali, la quale (trattandosi di una deroga al regime IVA ordinario) va in ogni caso interpretata in senso restrittivo, al pari delle altre deroghe all’art. 66, Dir. n. 112 cit. Diversamente, l’art. 32 -bis d.l. n. 83/2012 è diretta attuazione di una espressa norma di Diritto dell’Unione (art. 167bis Dir. ult. cit.).
10. In secondo luogo, l’art. 7 consente al contribuente (in relazione al periodo di imposta per cui è causa) di avvalersi del regime di IVA per cassa solo per determinate operazioni, laddove l’art. 32 -bis istituisce un vero e proprio « regime opzionale », operante per tutte le operazioni sottostanti. Se, pertanto, il riscontro dell’adozione di un regime opzionale (per tutte le operazioni) può essere effettuata anche per facta concludentia , in ossequio al principio secondo cui l’ opzione per l’applicazione dell’imposta può essere surrogata dal comportamento concludente del contribuente a termini dell’art. 1, comma 1, d.P.R. 10 novembre 1997, n. 442, come interpretato dall’art. 4 l. 21 novembre 2000, n. 342 (Cass., Sez. V, 16 luglio 2020, n. 15178), altrettanto non può avvenire solo ove singole operazioni imponibili (e non tutte) abbiano usufruito di questa opzione a discrezione del contribuente. In questo caso, l ‘annotamento del regime di IVA per cassa sulle singole operazioni opzionate dal contribuente diviene requisito normativo per poter usufruire della specifica disciplina agevolativa, eccezionalmente accordata dal legislatore interno al contribuente (e non interpretabile estensivamente) per le singole operazioni opzionate, risultando diversamente impossibile stabilire (e controllare) a posteriori quali operazioni hanno fruito del regime ordinario e quali no.
11. Peraltro, ove si intendesse dare una lettura eurounitaria dell’art. 7 d.l. n. 185/2008 ante litteram nei termini successivamente stabiliti dall’art. 167 -bis Dir. 112/2006/CE, estendendo il regime più favorevole
del comportamento concludente del contribuente (che prescinde dall’annotamento sulla fattura del la indicazione della disposizione di cui a ll’art. 7 cit.) , dovrebbe potersi stabilire (in fatto) che il contribuente abbia, in ogni caso, inteso fare applicazione dell’art. 7 cit. quale « regime opzionale » (art. 167bis Dir. cit.) e, nel far ciò, dovrebbe aversi contezza che il ricorrente abbia opzionato il regime di IVA per cassa per tutte le operazioni attive consentite dalla Direttiva IVA. Circostanza, peraltro, non risultante dagli atti di causa, come risulta dalle liquidazioni periodiche riprodotte e trascritte nel ricorso, non avendo il ricorrente fornito elementi sufficienti nel ricorso (in violazione del principio di specificità) a sostegno della sussistenza del proprio comportamento concludente (nel senso da questi prospettato) in relazione a tutte le prestazioni eseguite. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:
« L’art. 7 d.l. n. 185/2008 consente ai contribuenti che effettuino cessioni di beni o prestazioni di servizi nei confronti di cessionari o committenti che agiscano nell’esercizio di impresa, arte o professione, di avvalersi del regime di IVA differita di cui all’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633/1972 , a condizione che le relative fatture rechino espressamente l’annotazione che si tratta di operazioni con imposta a esigibilità differita e che rechino l’indicazione della relativa norma ».
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio.
12. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto mira a una rivalutazione delle prove che hanno portato il giudice del merito a ritenere insussistenti i presupposti per l’emissione delle note di rettifica. Il ricorrente, pur censurando la norma che prevede l’emissione della nota di rettifica per effetto del venir meno
dell’operazione sottostante, mira a rimettere in discussione l’accertamento in fatto circa la mancata prova del venir meno dell’operazione sottostante, attività preclusa in sede di legittimità con la deduzione di un vizio di violazione di legge.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 24 gennaio 2024