Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1682 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1682 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36406/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BOLOGNA n. 874/2019 depositata il 02/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di produzione e vendita di contenitori per alimenti, acquistava nel periodo 20052009 determinati quantitativi di banda stagnata da impiegare nella produzione di barattoli di latta. A seguito di verifiche condotte dalla Guardia di Finanza emergeva che le società di traiding fornitrici della contribuente non avevano versato all’erario l’IVA incassata in relazione alle fatture emesse nei confronti dell’odierna contribuente. L’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate ha contestato a quest’ultima l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, negando il diritto alla detrazione dell’IVA passiva e la legittimità della deduzione, ai fini IRES e IRAP, dei costi di acquisto della banda stagnata. Su queste premesse, l’RAGIONE_SOCIALE ha notificato diversi avvisi di accertamento, tutti impugnati dinanzi al giudice tributario. Nel 2013, la società ha siglato un atto di definizione stragiudiziale in relazione all’intero contenzioso pendente. L’RAGIONE_SOCIALE, alla luce della normativa applicabile, ha quindi riconosciuto la piena deducibilità ai fini IRES e IRAP dei costi sostenuti per l’acquisto della banda stagnata. La società, tuttavia, ritiene deducibile, oltre che l’ IRES e l’ IRAP, anche l’IVA indetraibile, costituendo quest’ultima un onere accessorio dei costi deducibili. In esito al giudizio di prime cure intrapreso dinanzi alla CTP di Parma, la tesi della contribuente è stata accolta, con la declaratoria di deducibilità ai fini IRES e IRAP anche del costo dell’IVA, nel rispetto degli artt. 99 e 110 TUIR. La CTR dell’Emilia Romagna, per contro, ha escluso che l’importo dell’IVA sulle fatture sia riconducibile entro il campo di applicazione dell’art. 99 TUIR, palesandosi, invero, indetraibile.
La contribuente affida il ricorso per cassazione a tre motivi, ulteriormente illustrati con memoria . L’RAGIONE_SOCIALE , che pur non ha
depositato alcun controricorso, ha depositato una ‘memoria’ in vista dell’adunanza camerale .
Motivi della decisione
Va premesso che non è possibile tener conto della irrituale memoria depositata dall’Ufficio.
Nel merito, esaminando il ricorso della società, con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 99 d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR reputato erroneamente indeducibile ai fini IRES e IRAP il costo dell’IVA indetraibile sulle fatture.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la nullità della sentenza d’appello per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, co. 1 e 3, D.L. n. 16 del 2012, conv. con modif., dalla L. n. 44 del 2012, in tema di deducibilità dei c.d. costi da reato, avendo la CTR omesso di considerare il mancato coinvolgimento attivo della contribuente nel meccanismo fraudolento attuato dalle società fornitrici.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza d’appello per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109, co. 5, d.P.R. n. 917 del 1986, avendo la CTR erroneamente escluso il requisito dell’inerenza del costo dell’IVA all’attività d’impresa della società.
I tre motivi di censura, avvinti da logica connessione, si offrono ad una disamina unitaria che ne rivela l’infondatezza.
Necessita considerare che a mente dell’art. 99, comma 1, del TUIR, le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento.
Giova osservare che nella categoria delle imposte per le quali è prevista la rivalsa rientra l’IVA. Ed infatti, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibili deve
addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente.
Va soggiunto che l’IVA si caratterizza per il principio, di rango comunitario, della neutralità, in ragione del quale l’imposta assolta sugli acquisti è di norma interamente detraibile; essa, in particolare, è priva in nuce dell’attitudine ad incidere nelle fasi di commercializzazione, numerose o meno che siano, che precedono la fase del consumo del bene. Sotto tal profilo, l’IVA non è suscettibile per definizione di essere qualificata alla stregua di costo generale di esercizio; essa non è, in altri termini, ontologicamente un costo “incorporato” nel bene acquistato e non rappresenta intrinsecamente per l’impresa un ‘costo’ collegato ad operazioni che producono un ricavo.
Ciò detto, il coordinamento sistematico tra l’art. 18 summenzionato e la regola della neutralità, portato a corollario, implica che di norma l’IVA è un’imposta non deducibile dalle imposte sui redditi. L ‘esborso economico corrispondente all’IVA indetraibile e sostenuto dal contribuente all’Erario, se del caso in esecuzione di un accordo conciliativo, non è suscettibile di dar luogo a un componente reddituale fiscalmente rilevante, non essendo l’onere in parola strettamente rappresentativo di un fattore produttivo dell’attività del contribuente medesimo.
La deduzione del valore dell’IVA sopportato in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti non risulterebbe coerente, d’altronde, col quadro generale in cui detta componente è maturata e con le conseguenze che la condotta del contribuente ha determinato, in termini di debenza dell’imposta, nel sistema. Invero, ipotesi di inesistenza soggettiva – nella quale, pur essendo i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa cessionaria, risulti, come nella specie, che l’emittente della fattura è soggetto diverso dal cedente -l’obbligo di corrispondere l’importo corrispondente all’imposta sull’operazione soggettivamente
inesistente deriva dal precetto normativo di cui all’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972, mentre risulta evasa l’imposta dovuta, in base al fisiologico funzionamento dei meccanismo IVA, per l’operazione effettivamente realizzata. In altri termini, ‘ In tema di IVA, la nozione di fattura inesistente va riferita non soltanto all’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, venga accertato che uno o entrambi i soggetti siano falsi: in tal caso, infatti, l’obbligo di corrispondere l’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dall’art. 21, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, mentre risulta evasa l’imposta relativa alla diversa operazione effettivamente realizzata (v. Cass. n. 6378 del 2006; Cass. n. 23074 del 2012). Sulla base di tali premesse, l ‘IVA versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente si palesa, per definizione, quale costo non necessariamente inerente. In effetti, il rapporto con lo svolgimento della specifica attività dell’impresa (che dà diritto alla detrazione) e, quindi, l’inerenza risulta connaturalmente sussistere in relazione all’IVA, che sarebbe dovuta sull’operazione compiuta con l’effettivo cedente – prestatore, e che, tuttavia, resta evasa. Per converso, l’IVA corrisposta al soggetto interposto è un esborso che non può considerarsi intimamente inerente allo svolgimento dell’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il nesso di inerenza.
In tal senso, non coglie nel segno il terzo motivo, che agganciandosi concettualmente al primo, esclude che la connotazione fittizia delle operazioni, con la conseguente indetrabilità dell’IVA, possano valere a slegare l’importo di
quest’ultima dall’attività d’impresa, ossia a recidere come invece argomentato dal giudice di merito -l’inerenza del primo rispetto all’esercizio dell’attività economico -produttiva.
Da quanto osservato, in punto di indeducibilità dell’IVA indetraibile, discende anche l’ininfluenza dell’argomentazione esposta nella seconda censura in ordine alla deducibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche in ipotesi di consapevolezza della loro connotazione fraudolenta. L’affermata indeducibilità tronca alla radice la rilevanza, tanto della doglianza, quanto dell’indagine, sull’elemento soggettivo.
Il ricorso va, in conclusione, rigettato. Nulla sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione