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IVA e operazioni inesistenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato l’indetraibilità dell’IVA per una società coinvolta in operazioni soggettivamente inesistenti. La società agiva come un intermediario fittizio per una ditta individuale correlata, al solo scopo di generare costi artificiali e abbattere il carico fiscale. La Suprema Corte ha stabilito che la consapevolezza della frode, dimostrata dal legame tra le due entità, esclude il diritto alla detrazione IVA, anche se i costi sottostanti fossero stati effettivamente sostenuti.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: La Cassazione Nega la Detrazione IVA

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chiarendo i limiti del diritto alla detrazione dell’IVA quando un’azienda partecipa, consapevolmente o meno, a uno schema fraudolento. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la consapevolezza di partecipare a un’evasione fiscale preclude la possibilità di detrarre l’imposta, anche se il servizio è stato effettivamente reso.

I fatti del caso: l’interposizione fittizia

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata. L’amministrazione finanziaria contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2012 per fatture concernenti un servizio di autotrasporto di bombole di ossigeno.

La particolarità della vicenda risiedeva nella struttura operativa: il servizio di trasporto non era eseguito direttamente per la società, ma per una ditta individuale il cui titolare era anche socio al 50% e amministratore della stessa S.r.l. In pratica, la società si interponeva fittiziamente tra la ditta individuale (reale fruitrice del servizio) e gli autotrasportatori che materialmente eseguivano il trasporto. Secondo l’accusa, questa interposizione aveva l’unica finalità di creare costi fittizi per la ditta individuale, abbattendone i ricavi e, di conseguenza, il carico fiscale. La società, priva di una struttura organizzativa adeguata per quel tipo di attività, agiva come un mero “paravento” cartolare.

I giudici di primo e secondo grado avevano già confermato la tesi dell’Agenzia delle Entrate, respingendo le difese della società. Quest’ultima ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

L’analisi della Corte sulle operazioni soggettivamente inesistenti

La società ricorrente ha basato la sua difesa su diversi motivi, tra cui la presunta “motivazione apparente” della sentenza d’appello e la violazione dei principi di buona fede e proporzionalità. Sosteneva, in sostanza, che l’amministrazione finanziaria non potesse contestare i costi due volte, sia alla ditta individuale che alla società.

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, ritenendoli infondati. I giudici hanno chiarito che non vi è stata alcuna duplicazione dell’accertamento. L’azione del Fisco si è concentrata sulla negazione della detraibilità dell’IVA per la società, a causa proprio della natura soggettivamente inesistente delle operazioni. Le fatture erano state emesse da soggetti che avevano eseguito la prestazione, ma il destinatario reale era un altro soggetto (la ditta individuale).

La distinzione tra deducibilità dei costi e detraibilità dell’IVA

Il punto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e la detraibilità dell’IVA. La normativa, a seguito di modifiche legislative, consente la deduzione dei costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, a condizione che tali costi siano stati effettivamente sostenuti e rispettino i principi di effettività, inerenza e competenza. L’obiettivo è tassare la ricchezza effettiva, anche se derivante da operazioni illecite.

Tuttavia, per la detraibilità dell’IVA, il discorso è diverso. Il diritto alla detrazione è escluso se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Le motivazioni

La Cassazione ha evidenziato che la motivazione della Commissione tributaria regionale era tutt’altro che apparente. I giudici di merito avevano analizzato in dettaglio la struttura dell’operazione, sottolineando come la società fosse un mero schermo, priva di stabilimenti o depositi, e come tutte le attività continuassero a svolgersi di fatto presso la ditta individuale. La centralità della figura dell’imprenditore, che controllava entrambe le entità, è stata l’elemento chiave per dimostrare la piena consapevolezza del meccanismo fraudolento. Questa “incolpevole inconsapevolezza”, invocata dalla difesa, è stata ritenuta insussistente proprio a causa della stretta correlazione tra i soggetti coinvolti.

La Corte ha ribadito che, in presenza di elementi oggettivi che provano l’inserimento dell’operazione in uno schema evasivo, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto. In questo caso, data la sovrapposizione tra le figure gestionali della società e della ditta individuale, tale prova era impossibile da fornire.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia fiscale. Nelle operazioni soggettivamente inesistenti, la detraibilità dell’IVA è subordinata alla buona fede del contribuente, intesa come assenza di consapevolezza di partecipare a una frode. La presenza di legami societari o amministrativi stretti tra i soggetti coinvolti in un’interposizione fittizia costituisce un forte indizio, se non una prova, di tale consapevolezza, rendendo legittimo il diniego del diritto alla detrazione da parte dell’amministrazione finanziaria. La decisione serve da monito per le imprese a prestare la massima attenzione alla natura e alla trasparenza delle transazioni commerciali, specialmente quando coinvolgono parti correlate.

Quando un’operazione è considerata “soggettivamente inesistente”?
Un’operazione è soggettivamente inesistente quando la prestazione di un servizio o la cessione di un bene avviene realmente, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nelle fatture. Tipicamente, viene inserito un soggetto intermediario (come la società nel caso di specie) che non ha un ruolo economico reale, ma serve solo a scopi fraudolenti o elusivi.

È possibile detrarre l’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti?
No, la detraibilità dell’IVA è esclusa se il destinatario della fattura sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione faceva parte di una frode fiscale. La centralità della figura dell’imprenditore, coinvolto sia nella società che nella ditta individuale, ha reso impossibile dimostrare la buona fede e ha quindi precluso il diritto alla detrazione.

Qual è la differenza tra deducibilità dei costi e detraibilità dell’IVA in questi casi?
La normativa consente di dedurre i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti ai fini delle imposte dirette (IRPEF/IRES), purché siano stati realmente sostenuti. Al contrario, la detraibilità dell’IVA è negata se viene provata la consapevolezza della frode da parte del contribuente, poiché il sistema IVA si basa sulla neutralità e trasparenza delle transazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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