Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23301 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23301 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 11831-2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE cf. 01345250623, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME ProzzoRicorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 6369/19/2023 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 17.11.2023;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 30 aprile 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Alla ricorrente fu notificato l’avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle entrate intese recuperare maggiori imposte dirette ed Iva, relativamente all’anno d’imposta 201 2 , imputando l’utilizzo di fatture per
Operazioni soggettivamente
inesistenti – Configurabilità
operazioni soggettivamente inesistenti. Nello specifico l’Ufficio disconobbe la detraibilità dell’iva applicata sulle prestazioni di servizi (autotrasporto di bombole di ossigeno), formalmente eseguiti in favore della società RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà indirizzati alla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE il cui titolare, Sig. COGNOME VincenzoCOGNOME era anche socio al 50% e amministratore della medesima RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso avverso l’atto impositivo, proposto dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento, fu accolto in parte con sentenza n. 376/02/2022. Il giudice di primo grado riconobbe, per quanto qui rileva, che, ai soli fini Irap, l’amministrazione finanziaria era decaduta dal potere d’accertamento, per inapplicabilità a quell’ imposta della disciplina relativa al raddoppio dei termini, ex art. 1, comma 132, l. 208/2016. Per il resto rigettò tutte le altre ragioni della società, confermando i recuperi d’imposta. L’appello, con cui la contribuente instò nelle sue ragioni dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, fu respinto con sentenza n. 6369/19/2023, ora al vaglio di questa Corte. Fu respinto anche l’appello erariale, con cui si insisteva anche per la tempestività dell’accertament o in ordine all’Irap.
Il giudice regionale, per quanto qui di interesse ed oggetto di impugnazione, ha respinto le ragioni di merito, con cui la società aveva negato il coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE in operazioni soggettivamente inesistenti, ribadendo che il servizio di traporto di bombole d’ossigeno, subappaltato dalla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, a sua volta appaltatrice della società RAGIONE_SOCIALE ed eseguito tramite due autotrasportatori (i fatturanti), era stato assicurato sino al 2006 dai medesimi padroncini in favore della A.R.C. AM. L’affidamento in subappalto d i tale attività alla RAGIONE_SOCIALE aveva pertanto avuto quale unica finalità l’abbattimento dei ricavi della ditta individuale del COGNOME ai fini fiscali. In concreto la RAGIONE_SOCIALE (carente di ogni struttura organizzativa con riguardo al subappalto conseguito) si era interposta tra la reale committente (la ditta RAGIONE_SOCIALE e i prestatori del servizio trasporto (i due padroncini degli automezzi) per esclusive ragioni elusive o evasive dell’imposta , senza l’esercizio di alcuna concreta attività, se non quella di ricezione (dagli autotrasportatori) ed emissione (nei confronti della ARCAM) di fatture, laddove l’attività di trasporto aveva concretamente
continuato a svilupparsi tra le due effettive parti del rapporto di trasporto (ditta individuale e padroncini degli automezzi).
Avverso la sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Nell’adunanza camerale del 30 aprile 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle entrate ha denunciato:
con il primo motivo la ‘motivazione apparente. Difetto del minimo costituzionale di motivazione. Manifesta contraddittorietà ed irrazionalità della motivazione ‘. Il giudice d’appello, a fronte delle specifiche circostanze di fatto e di diritto dedotte dalla società per escludere la sua funzione di ‘schermo fittizio’, non avrebbe dedicato alcuna argomentazione alle ragioni difensive.
Il motivo, sebbene non richiami nessuno dei parametri di critica alla pronuncia impugnata tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., dal suo tenore e dallo sviluppo delle argomentazioni utilizzate si colloca nell’alveo dell’error iuris in procedendo, denunciandosi la motivazione apparente.
La società sostiene di aver allegato una molteplicità di ragioni tese a contestare l’infondatezza dell’addebito erariale, per non essere stata posta in essere alcuna operazione soggettivamente inesistente solo perché il trasporto di bombole d’ossigeno era stato affidato a terzi soggetti, e d’altronde gli autotrasportatori avevano operato effettivamente con la RAGIONE_SOCIALE. Ha inoltre evidenziato nel motivo le ulteriori ragioni che a suo dire il giudice d’appello avrebbe trascurato.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). In sede di gravame non è viziata la decisione, quando motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le
RGN 11831/2024
argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie la Commissione regionale ha esaminato le ragioni d’appello; ha descritto le attività affidate alla A.R .C.AM. del De Lucia dalla società RAGIONE_SOCIALE (attività di riempimento di bombole d’ossigeno e trasporto); ha descritto le modalità con cui tale attività era eseguita dalla ditta individuale, con trasporto affidato a due autotrasportatori (COGNOME e COGNOME); ha quindi descritto le modalità con cui la A.RC.AM. aveva ‘esternalizzato’ i servizi affidatele d alla RAGIONE_SOCIALE ha constatato che l’esternalizzazione alla RAGIONE_SOCIALE non aveva modificato alcunché rispetto a prima; ha ritenuto che dunque la RAGIONE_SOCIALE era solo un paravento finalizzato a far figurare costi di un servizio che l’A.R .C.AM. poteva detrarre, così
ricavi;
a
tal fine
ha respinto
le argomentazioni
svolte
dall’appellante società, chiarendo in cosa si concretizzava l’attività della società, confermando la correttezza della ricostruzione delle modalità con cui le operazioni erano eseguite; ha constatato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva un proprio stabilimento e propri depositi di ossigeno; tutte le operazioni avevano continuato a svolgersi presso la ditta individuale; la soggettiva inesistenza delle operazioni escludeva in definitiva la deducibilità dell’Iva.
Emerge con evidenza che la sentenza contiene una motivazione sufficiente e completa per comprendere i fatti e le ragioni delle conclusioni cui il giudice d’appello era pervenuto . Essa è pertanto indenne dalla critica sollevata con il motivo. D’altronde, le questioni che la ricorrente denuncia non essere state vagliate dal giudice regionale sono per la maggior parte mere valutazioni giuridiche, che di fatto non sono state ritenute meritevoli di approfondimento dal giudice d’appello proprio sulla base degli e lementi, che questi ha ritenuto invece di valorizzare.
La RAGIONE_SOCIALE non è mai stata ritenuta una società fittizia, profilo mai contestato dall’Amministrazione finanziaria . Si è invece accertato che nel meccanismo di espletamento delle prestazioni di servizio in favore della RAGIONE_SOCIALE la società si era insinuata senza espletare alcuna funzione economica, ma, attraverso la ricezione di fatture dagli autotrasportatori e la emissione di fatture nei confronti della ditta individuale del De Lucia, solo per abbattere i ricavi di quest’ultima, mediante l’aumento formale dei costi.
In questa motivazione non emerge peraltro alcuna irrazionalità, come pretende comunque la ricorrente, anzi una logicità consequenziale tra fatti apprezzati e conclusioni.
Se poi con le critiche elevate la contribuente intende invocare un riesame del merito della vicenda, il motivo si rivelerebbe inammissibile in sede di legittimità.
In conclusione, il motivo va respinto.
Con il secondo motivo ci si duole di un ‘ ‘ Error in procedendo – omessa pronuncia sulla prima parte del 3° motivo d’appello’ e la ‘violazione dell’art. 112 c.p.c, – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. ‘ La Commissione regionale non si sarebbe pronunciata sulla prima parte del 3° motivo d’appello, con il quale la ricorrente aveva sostenuto che l’ufficio avrebbe dovuto imputare al COGNOME i redditi della
RAGIONE_SOCIALE, ma non avrebbe potuto procedere nei suoi confronti a disconoscere tutti i costi, duplicando quanto già contestato alla A.R.C.AM del De Lucia.
Con il terzo motivo si denuncia la ‘violazione dei principi di buona fede, ragionevolezza e proporzionalità. Violazione e /o Falsa applicazione dell’art. 37 del DPR 600/73’. La sentenza, criticata per le ragioni illustrate con il secondo motivo, è censurata anche sotto il profilo della violazione di legge.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché tra loro connessi sono infondati.
A parte una confusione dei profili oggetto di critica, il file rouge delle critiche articolate con le argomentazioni riportate nel secondo e terzo motivo è quello, secondo cui, se le operazioni fossero state veramente inesistenti sotto il profilo soggettivo, l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto attribuire i maggiori ricavi una sola volta, laddove invece vi sarebbe stato un doppio accertamento , uno a carico della ditta individuale, l’altro a carico della società.
La critica è del tutto inconferente e i motivi vanno rigettati.
Dagli atti emerge che alla RAGIONE_SOCIALE è stata negata la detraibilità dell’iva per la soggettiva inesistenza delle operazioni fatturate dagli autotrasportatori nei suoi confronti. Non vi è stata contestazione sulla deducibilità di costi. Esattamente era stata ritenuta indeducibile l’Iva. Ai costi, in sentenza, si fa riferimento, a pag. 3 solo per quelli della ditta individuale, laddove la commissione regionale spiega quale fosse la finalità del meccanismo attivato con l’interposizione ‘fittizia’ della RAGIONE_SOCIALE tra autotrasportatori e RAGIONE_SOCIALE, ossia l’addossare alla ditta individuale costi ingiustificati al fine di ridurne il reddito.
La ricostruzione della difesa della ricorrente dunque esula dal contenuto della sentenza, perché non si confronta affatto con le ragioni del provvedimento, il quale, lo si ribadisce, senza reputare la società una mera cartiera, afferma che, rispetto al meccanismo messo in atto, quelle fatture emesse nei confronti della ditta individuale erano fittizie, poiché, dietro la descrizione delle operazioni fatturate dagli autotrasportatori, vi erano nel concreto solo prestazioni di servizi l’autotrasporto – eseguito direttamente in favore della RAGIONE_SOCIALE e non della RAGIONE_SOCIALE
Si trattava in altri termini sempre e solo di interposizione fittizia e non reale, su cui invece erroneamente continua ad insistere la difesa della società.
Ne discende anche che tutte le altre critiche, formulate alla luce degli invocati artt. 37 e 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, sono del tutto irrilevanti quando non ultronee.
Con il quarto motivo è denunciata la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e dei principi in materia di deduzione dei costi risultanti da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti’ .
Il motivo merita il rigetto.
La società torna e mettere in discussione la sentenza nella parte in cui nega la detraibilità dell’Iva per le ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti. Ciò viene riproposto sul crinale di una sovrapposizione tra deducibilità dei costi e detraibilità dell’iva. Si tratta di due prospettive non sovrapponibili nelle operazioni soggettivamente inesistenti.
La giurisprudenza di legittimità, a seguito della modifica introdotta nel 2012 all’art. 14, comma 4 bis, cit., ha chiarito il significato, la portata ed i limiti interpretativi della disciplina regolatrice le operazioni inesistenti, soggettivamente ed oggettivamente tali, anche quando relazionate a condotte penalmente rilevanti.
Nello specifico l’art. 8 prevede che «1. Il comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è sostituito dal seguente: “4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza
definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”. 2. Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi. Resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive».
È stato chiarito che ai sensi della norma novellata l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. È invece esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25249; 6 luglio 2018, n. 17788; 15 marzo 2022, n. 8480). Peraltro per tali ultime operazioni, nonostante siano indeducibili i
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costi e le spese, al fine di non computare i ricavi, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. cit., siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915; cfr. anche 20 aprile 2016, n. 7896; 8 ottobre 2014, n. 21189). Si è infatti affermato che per le operazioni oggettivamente inesistenti non vi è simmetria, né automatismo biunivoco, tra costi per acquisti inesis tenti e ricavi dichiarati, e ciò giustifica l’onere della prova gravante sul contribuente in merito alla corrispondenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati (Cass., 17 luglio 2018, n. 19000).
In tema di Iva poi, quanto alla prova di operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, questa Corte ha affermato che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369).
Quanto alla disciplina prevista dall’art. 21, comma 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stato evidenziato che in caso di operazione inesistente, in difetto di rettifica o annullamento della fattura, sussiste l’obbligo di versamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato in fattura, in quanto l’emissione del documento contabile determina
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l’insorgenza del rapporto impositivo, senza che ciò contrasti con il principio di neutralità dell’IVA, prevalendo la funzione ripristinatoria conseguente alla eliminazione del difetto di rettifica o annullamento della fattura, a meno che non sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale derivante dall’esercizio del diritto alla detrazione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28263; 12 marzo 2021, n. 6983; 19 agosto 2020, n. 17335).
La giurisprudenza della CGUE ha chiaramente affermato che «dal solo fatto che l’amministrazione tributaria non abbia rettificato, in un avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente di tale fattura, l’imposta sul valore aggiunto da esso dichiarata, non si può dedurre che tale amministrazione abbia riconosciuto che detta fattura corrispondeva a un’operazione imponibile effettiva». E che «i principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e del legittimo affidamento devono essere interpretati nel senso che non ostano a che il destinatario di una fattura si veda negare il diritto a detrarre l’imposta sul valore aggiunto a monte a causa dell’assenza di un’operazione imponibile effettiva, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indiri zzato all’emittente di tale fattura, l’imposta sul valore aggiunto dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata. Se, tuttavia, tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse da tale emittente o a monte dell’operazione dedotta a fondamento del dirit to alla detrazione, tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (CGUE, in C-642/11, del 31 gennaio 2013).
Dai principi richiamati in materia si evince che la detraibilità dell’Iva nelle operazioni soggettivamente inesistenti è segnata dalla emersione o meno, sul piano anche presuntivo, di elementi da cui dedurre se vi sia stata una incolpevole ignoranza della fittizietà soggettiva dell’operazione, e dunque una incolpevole inconsapevolezza che l’operazione fosse finalizzata a frodare il fisco, architettando un meccanismo economico di cessioni al solo fine di assicurare un minore debito Iva verso l’erario.
RGN 11831/2024 Consigliere rel. COGNOME A tali principi si è attenuta la Commissione tributaria regionale nel dichiarare l’indetraibilità dell’Iva. La ricostruzione dei fatti oggetto della
presente controversia, infatti, porta a conclusioni esattamente opposte a quelle su cui insiste la ricorrente, atteso che proprio la centralità della figura del COGNOME nell’organizzazione delle operazioni soggettivamente inesistenti a mezzo della RAGIONE_SOCIALE per essere socio e amministratore di questa, nonché titolare della beneficiata ditta RAGIONE_SOCIALE esclude quanto meno l ‘ incolpevole inconsapevolezza delle conseguenze fiscali del meccanismo posto in atto.
D’altronde tutta la difesa della società ricorrente tenta di offrire una ricostruzione alternativa dei fatti, peraltro senza alcuna efficace emersione di controprove, non avvedendosi, in tal modo, che per un verso continua a mescolare il piano della indeducibilità dei costi con quello della indetraibilità dell’iva, laddove solo questa imposta afferisce al l’oggetto delle contestazioni e del recupero a carico della RAGIONE_SOCIALE; per altro verso sconfina, in concreto, nell’inammissibile sollecitazione, in sede di legittimità, di un nuovo accertamento di fatto.
In definitiva il ricorso va rigettato. All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate, che si liquidano in € 4.300,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 30 aprile 2025