Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18972 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18972 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 30968/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1192/2018 depositata il 20/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con avviso di liquidazione notificato nel dicembre 1999, l’ufficio del registro di Catania recuperava a tassazione, ai fini dell’imposta di registro, irrogando altresì le previste sanzioni, un atto riqualificato come di cessione di azienda tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (poi incorporata nella società RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE, società appartenenti al gruppo RAGIONE_SOCIALE L’atto veniva riqualificato in base agli artt. 15 e 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, sebbene stipulato sotto le forme (a) di un previo contratto di affitto di un complesso immobiliare a uso di ipermercato, con trasferimento di personale, e (b) di un successivo (appena due giorni dopo) contratto di vendita (sottoposto a Iva) di tutte le attrezzature, gli impianti, le merci e le scorte giacenti presso il suddetto complesso immobiliare. Avverso l’avviso di liquidazione insorgevano le società RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima in qualità di incorporante di RAGIONE_SOCIALE proponendo due ricorsi. Uno di questi veniva accolto con sentenza n. 118-17-07 in data 21 giugno 2007 della Commissione tributaria regionale della Sicilia,
confermativa di quella di primo grado. L’altro veniva invece respinto, previa riforma della decisione di primo grado, con sentenza n. 4101 del 17 dicembre 2007. La prima decisione rimarcava, in sintesi, l’inidoneità della esclusione delle merci ad attribuire all’affitto di azienda la causa della vendita, nonché la circostanza che all’affittuaria non era stata comunque trasferita, con atto scritto, la proprietà dell’immobile. La seconda decisione giungeva ad opposta conclusione sottolineando l’incongruenza della esclusione delle merci dall’affitto di azienda, attesa la sproporzione tra il preteso canone di affitto (lire 6 mld. circa) e il prezzo di successiva vendita delle sole merci (lire 16 mld. circa); talché reputava sussistente il collegamento tra i summenzionati negozi e in effetti realizzata, con essi, la causa della cessione d’azienda.
L’agenzia delle entrate, a seguito della sentenza della commissione tributaria regionale della Sicilia (n. 410-34-07), iscriveva a ruolo, ex art. 68 del d.lgs. n. 546-92, nei confronti delle società contraenti, l’imposta di registro e gli accessori dovuti in base al titolo provvisorio. Notificava quindi la cartella di pagamento alle incorporanti Sma s.p.RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE Le società proponevano opposizione e, rimaste soccombenti, si appellavano alla commissione tributaria regionale, la quale, con sentenza n. 49434-11 del 22 dicembre 2011, accoglieva l’appello, assumendo l’illegittimità della cartella in ragione dell’art. 1306, primo comma, c.c..
La sentenza n. 118-17-07 veniva impugnata dall’Agenzia delle entrate, con ricorso per cassazione affidato a un motivo. La sentenza n. 410-34-07 veniva impugnata dalle società RAGIONE_SOCIALE (incorporante RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (incorporante RAGIONE_SOCIALE), nonché dai dottori NOME COGNOMElegale rappresentante plso tempore di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME (legale rappresentante pro tempore di RAGIONE_SOCIALE) e NOME COGNOME
(legale rappresentante pro tempore di RAGIONE_SOCIALE, con ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La sentenza n. 494-34-11 veniva impugnata dall’Agenzia delle entrate, con ricorso per cassazione.
I ricorsi riuniti venivano decisi da questa Corte, la quale respingeva il ricorso 3474/2009 proposto dai contribuenti ritenendo non necessario esaminare il merito dell’unico motivo del ricorso n. 28242-07, sul rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno, formatosi successivamente alla pronuncia della sentenza n. 11817-07 impugnata e tale da imporre la cassazione della sentenza medesima senza rinvio. Difatti, con la sentenza n. 410-34-07 veniva confermato l’avviso di liquidazione quanto alla qualificazione della fattispecie come di cessione d’azienda, con la conseguenza che la pretesa fiscale restava incontestabilmente ancorata al giudicato afferente che ha riguardato le società che avevano egualmente impugnato il medesimo avviso di liquidazione e che erano rimaste soccombenti in primo grado.
Successivamente, la Società Sma impugnava la cartella esattoriale che recava la dicitura , esponendo sanzioni ulteriori rispetto a quelle riportate dall’avviso per totali euro 490.912,00, deducendo il difetto di motivazione della cartella di pagamento e la presenza di un giudicato formale parziale interno sulla inesistenza di componenti immobiliari nell’azienda ceduta, in quanto l’amministrazione finanziaria nel ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 118/2007 non aveva contestato la statuizione concernente l’esclusione di dette componenti.
I giudici di prossimità respingevano il ricorso con sentenza che veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia che interpretava la sentenza della Corte come interamente demolitiva della decisone n. 118/2007, affermando
che la cartella che segue un avviso di accertamento divenuto definitivo non ha bisogno di specifica motivazione.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza proponendo dodici motivi. Replica con controricorso l’ente finanziario.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo si denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.c. e art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.; Si deduce che la cartella riporta somme diverse da quelle indicate nell’avviso di liquidazione in quanto l’agenzia ha aggiunto le voci n. 3 e 7, vale a dire ulteriori sanzioni che sono illegittime per mancanza del titolo tributario. In altri termini, si afferma che dette sanzioni necessitavano di un apposito provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997. Si soggiunge che, nell’ipotesi si trattasse di sanzioni per omesso versamento nei sessanta giorni successivi all’emissione dell’avviso di liquidazione, l’amministrazione sarebbe decaduta dalla potestà sanzionatoria relativamente a fatti posti in essere nell’anno 2000.
Si deduce che trattasi di imposta di registro suppletiva che non va pagata in presenza di ricorso in quanto il versamento resta sospeso fino al termine del secondo grado di giudizio quando l’imposta va versata solo se confermata in lite e solo se richiesta con apposito avviso di liquidazione da parte dell’agenzia. Inoltre, i recuperi di imposta ex art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986 hanno indole antielusiva e poiché attualmente l’omesso versamento nei sessanta giorni successivi alla notifica di un avviso di liquidazione antielusivo non è più illecito, non può considerarsi tale il fatto commesso in epoca antecedente all’introduzione dell’art. 10 bis legge n. 212 del 2000.
Si censura la sentenza della Corte distrettuale che ha omesso di esaminare le allegazioni difensive della contribuente, violando in tal modo il disposto dell’art. 112 c.p.c., in quanto mancherebbe una reale decisione sul dedotto vizio di motivazione in relazione alle voci n. 3 e 7 del ruolo.
La seconda censura denuncia il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, per insanabile contrasto logico tra le affermazioni contenute nella pronuncia d’appello in tema di motivazione e le contrapposte statuizioni relative alla mancata allegazione da parte della contribuente di vizi propri dell’atto opposto, avendo, al contrario, la società dedotto la mancanza di titolo prodromico e denunciato il deficit contenutistico della cartella.
La terza doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., denuncia la violazione degli artt. 14 e 15 d.P.R. n. 602 del 1973; si afferma che se questa Corte dovesse ravvisare un concreto decisum della sentenza sulle voci indicate, la decisione d’appello violerebbe le norme rubricate che consentono il ricorso ai ruoli ordinari solo in presenza di ben individuate fattispecie, nessuna delle quali risulta accertata in sentenza.
Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.; si contesta la statuizione della sentenza che afferma l’inammissibilità dell’impugnazione avverso la cartella esattoriale per vizi diversi da quelli propri, atteso che denunciando il vizio di motivazione della cartella esattoriale la contribuente ha dedotto a sua illegittimità per difetto di titolo dell’iscrizione al ruolo delle voci n. 3 e 7, nonché per difetto di motivazione.
Il quinto strumento di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., prospetta la violazione degli artt. 2,3, 4, 11,16 e 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, nonché dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997; si censura la sentenza impugnata per aver
riconosciuto l’efficacia interruttiva della prescrizione e della decadenza all’atto di contestazione dell’originaria pretesa impositiva a cui la cartella esattoriale opposta afferisce. Ad avviso della società ricorrente le sanzioni iscritte a ruolo potevano essere erogate post factum e secondo apposito procedimento amministrativo valevole per tutte le sanzioni amministrative tributarie così come delineato dall’art. 16 citato in rubrica in quanto gli unici casi in cui le sanzioni per omesso versamento dei tributi sono erogabili direttamente mediante il ruolo riguardano le imposte dirette e l’iva dichiarate dallo stesso contribuente ai sensi dell’art. 17 citato. Si soggiunge che le sanzioni possono erogarsi nello stesso atto che accerta il maggior tributo laddove si tratti di violazioni anteriore all’atto di iroogazione. Nel caso in rassegna invece l’avviso di liquidazione è anteriore alla pretesa violazione di omesso versamento non solo sul piano cronologico ma anche soprattutto sul piano logico -giuridico .
Il sesto mezzo deduce la violazione dell’art. 20 d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; per avere i giudici regionali respinto l’eccezione di decadenza dal potere impositivo, ancorché il termine per erogare le ulteriori sanzioni fosse spirato il 31 dicembre 2005, mentre la cartella di pagamento in esame veniva notificata il 27 luglio 2015. Né può affermarsi che potesse avere effetto interruttivo di detta decadenza l’avviso di liquidazione emesso nell’anno 1999 in quanto atto cronologicamente anteriore all’asserita violazione sanzionata con la cartella esattoriale.
La settima censura prospetta la violazione dell’art. 7 legge n. 212 del 2000, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la motivazione della cartella esattoriale richiama solo la sentenza della Corte n. 16.855 del 2014 e manca di totale spiegazioni concernenti le voci n. 3 e 7 contestate dalla
contribuente; pertanto la Corte distrettuale ha violato la norma in rubrica ritenendo la cartella adeguatamente motivata.
L’ottavo mezzo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., denuncia la violazione degli artt. 20,42, primo comma, 56, secondo comma, dpr n. 131 del 1986 nonché dell’art. 68, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992; si afferma che la maggiore imposta di registro ha natura suppletiva e non complementare, il che rileva perché la presentazione del ricorso da parte del contribuente elimina ogni obbligo di pagamento nei 60 giorni successivi alla notifica dell’avviso di liquidazione, reiterando, in tal modo, le censure già in precedenza formulate.
Il nono strumento di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., lamenta la violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997; si afferma che la norma rubricata richiama i mancati versamenti di imposte dirette e Iva basati su dichiarazione, mentre il comma 2 di detta norma, nell’estendere l’ambito della punibilità ad ogni ipotesi di mancato versamento fuori dai casi di tributi iscritti a ruolo, intende riferirsi alle sole imposte auto liquidate che vengono appunto designate in negativo come imposte non riscosse mediante ruolo, ma versate direttamente dai contribuenti su base dichiarativa. Pertanto, il mancato versamento ascritto alla contribuente non sarebbe soggetta alla sanzione del 30%.
10.Il decimo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986,10 -bis della legge n. 212 del 2000, 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; si osserva che agli accertamenti di natura antielusiva si accompagna una dilazionata progressione di pagamenti in corso di lite che non prevede riscossione provvisoria in primo grado per evitare al contribuente ogni esborso prima che l’autorità giurisdizionale si sia pronunciata, riproponendo le difese già svolte in relazione alla dedotta abrogazione retroattiva per favor rei . Si afferma che .
11.L’undicesimo mezzo denuncia la violazione degli artt. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997 e 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per manifesta illegittimità costituzionale della normativa ove diversamente interpretata. L’incertezza interpretativa relativa all’obbligo di versamento risulterebbe dalla natura suppletiva del recupero ex art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 attribuita dalla sentenza n. 1519 del 2013 della Cassazione; si obietta che la fattispecie sostanziale è già sanzionata al 120% come contestate dall’avviso sanzioni a cui non possono essere aggiunte ulteriori somme allo stesso titolo.
12.Il dodicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c., 68 d.lgs. n. 546 del 1992 e 14, lettera B, d.PR n. 602 del 1973; Si ribadisce il deficit motivazionale della cartella esattoriale con riferimento alle voci n. 3 e 7 recante le sanzioni indicate. Si afferma che la sentenza della Corte che ha confermato la decisione della Commissione tributaria regionale n. 410 del 2007 non include assolutamente le voci n. 3 e 7 del ruolo, in guisa che il giudicato si è formato solo sulle voci indicate nell’avviso di liquidazione.
13. Il tredicesimo strumento di impugnazione denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto la stessa Agenzia delle entrate ha confermato la totale estraneità delle voci n. 3 e 7 della cartella rispetto a quanto indicato nell’avviso di liquidazione la cui legittimità è stata confermata dalla Corte di Cassazione.
14.L’ultimo strumento di ricorso espone l’omessa valutazione di fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.; per avere i giudici regionali trascurato di esaminare che la cartella esattoriale reca due voci aggiuntive rispetto a quelle portate dall’avviso di liquidazione; si afferma che non si incorre nella violazione della doppia conforme avendo i giudici di prossimità accertato che si trattava di sanzioni diverse da quelle indicate dal prodromico atto impositivo.
Il ricorso proposto – di ben quarantadue pagine – si connota, per lo più, per una sovrapposizione di circostanze fattuali e questioni di diritto ad oggetto misto (afferenti cioè, in maniera indistinta, ai profili sostanziali e a quelli processuali della vicenda), inframezzate dalla trascrizione di stralci di atti processuali, di arresti di legittimità, e di altri precedenti della giurisprudenza di merito, finendo, con il devolvere a questa Corte il compito, della ricerca e della selezione nel vasto e indifferenziato perimetro delle censure ipotizzate dei rilievi di effettiva contestazione della sentenza impugnata.
La questione centrale oggetto della presente controversia, sottoposta al vaglio di questa Corte, sotto profili di legittimità, concerne l’addebito alla contribuente, attraverso la cartella esattoriale, di sanzioni ulteriori rispetto a quelle recate dal definitivo avviso di liquidazione confermato da questa Corte con la decisione sopra citata.
Appare opportuno ai fini di una corretta disamina della questione di diritto sottoposta a questa Corte evidenziare come la cartella esattoriale nella parte in cui reca le voci aggiuntive nn. 3 e 7 con la dicitura quantifica quanto già nell’avviso di liquidazione era stato comunicato, laddove si avverte che . Tanto è vero che per contestare l’illegittimità dell’addebito della sanzione con l’avviso prodromico, la società prospetta la tesi che, trattandosi di imposta suppletiva e non complementare, non era dovuto il pagamento nel termine indicato, una volta impugnato l’atto impositivo.
18. Va altresì premesso che allorquando la cartella di pagamento segue l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il ‘quantum’ del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, essa si ritiene congruamente motivata, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori (cfr. Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281). Invece, laddove la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo (Cass. n. 9089 del 07 aprile 2025).
18.1. Solo quando la cartella esattoriale segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e le relative sanzioni, la cartella che intimi al contribuente il pagamento delle ulteriori somme diverse da quelle esposte nell’atto prodromico non soddisfa l’obbligo di motivazione, prescritto dalla legge n. 212 del 2000, art. 7, e dalla legge n. 241 del 1990, art. 3, attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente. Nel caso in cui, invece, la cartella costituisca il primo atto con cui si reclama per la prima volta il pagamento di determinate somme a titolo di sanzioni, la stessa, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto a tale titolo, la base
normativa relativa alle sanzioni reclamate che può anche essere desunta dal tipo di tributo cui accedono.
18.2. Nella fattispecie in rassegna, le maggiori sanzioni sono state applicate in ragione della informativa contenuta nell’avviso di liquidazione, ove era indicato che il pagamento successivo al sessantesimo giorno dell’imposta e delle sanzioni applicate avrebbe determinato la maggiore sanzione nella misura del trenta per cento.
18.3. Pertanto , sebbene l’avviso di liquidazione non abbia indicato numericamente la somma dovuta, ha comunque stabilito la misura e la fonte dell’obbligazione sanzionatoria, in guisa che il riferimento alla sentenza di questa Corte, contenuta nella cartella esattoriale opposta, che ha confermato l’atto impositivo impugnato, risulta soddisfare i requisiti motivazionali richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte.
Tuttavia, occorre rammentare, sebbene passata in giudicato la questione relativa alla riqualificazione degli atti sottoposti a registrazione ai sensi dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, che il Legislatore è intervenuto con l’art. 1, comma 87, della l. n. 205 del 2017 (la c.d. legge di bilancio 2018), disposizione che ha apportato significative modifiche agli articoli 20 e 53 bis del d.P.R. n. 131 del 1986 (T.U.R.) rubricati rispettivamente ‘ interpretazione degli atti ‘ e ‘ attribuzioni e poteri degli Uffici ‘, espressamente vietando di utilizzare elementi estranei all’atto ai fini dell’interpretazione di quest’ultimo. La conseguenza dell’intervento legislativo ha determinato l’impossibilità di utilizzare, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’art. 20 T.U.R. quale parametro per risolvere le eventuali discrepanze tra effetti negoziali e gli effetti sostanziali dell’atto da registrare. L’art. 20 T.U.R., infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge Bilancio 2018 attualmente
dispone : ‘ L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi ‘.
19.1. La portata innovativa della disposizione in commento è agevolmente desumibile dalla lettura della Relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge, in cui viene precisato che:’ non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)’ . La Corte di cassazione, con indirizzo ampiamente condiviso, ha negato la natura innovativa delle modifiche introdotte (ex plurimis v. Cass. n. 4407 del 2018; Cass. n. 4589 del 2019) dalla legge di Bilancio 2018, sia perché non vi sarebbe stata una esplicita previsione dell’efficacia retroattiva all’interno della norma stessa, sia in ragione della mancanza di ‘adeguati motivi di interesse generale’ per giustificare la retroattività della disposizione.
19.2 . Il Legislatore, quindi, è intervenuto per superare le difficoltà interpretative della giurisprudenza in ordine alla retroattività della novità legislativa, affermando la natura di interpretazione autentica delle modifiche normative introdotte nel 2017 ed, in particolare, con l’art. 1, comma 1084, l. 145 del 2018 (Legge di bilancio previsionale per l’anno 2019) precisando: ‘ l’art. 1, comma 87, lettera a) della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.
131 ‘, così definitivamente concludendo per portata pienamente retroattiva della norma in commento. A seguito dell’intervento legislativo, questa Corte, con ordinanza n. 23549 del 2019, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 20 del T.U.R., ritenendo che tale norma, come modificata dalle leggi di Bilancio 2018 e 2019, contrastasse con agli art. 53 e 3 Cost.
20. La Corte costituzionale, con sentenza n. 158 del 2020, con riferimento alle argomentazioni espresse con la suddetta ordinanza, è intervenuta ad escludere i denunciati rilievi di incostituzionalità della l. n. 145 del 2018, precisando che con riferimento all’art. 10 bis legge n. 212 del 2000 il ricorso alla ‘causa reale’, tassando un negozio diverso da quello posto in essere, si sostanzierebbe in una applicazione antielusiva dell’art. 20 T.U.R., senza tuttavia che possano trovare applicazione le garanzie proprie dell’art. 10 bis cit. La Consulta ha rilevato che l’art. 20 T.U.R., nell’attuale formulazione censurata, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e secondo gli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli ‘extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi’.
20.1. La Corte, infatti, afferma che va preliminarmente ribadito che il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa all’art. 1, comma 87, della legge n. 25 del 2017) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare quello sistematico) convergono unicamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni
come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi ‘extratestuali e dagli atti ad esso collegati’, salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986(Corte cost. n. 158 del 2020). Afferma ancora il giudice delle leggi che la Corte di Cassazione nell’ordinanza di rimessione esclude essa stessa ‘decisamente (indicando a sostegno ‘l’indirizzo più recente’ della giurisprudenza di legittimità) che l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 abbia una specifica funzione antielusiva, e afferma conclusivamente che ‘la disciplina censurata non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria’.
Ancor prima di analizzare le censure formulate da parte ricorrente, deve rilevarsi che la questione sottoposta al vaglio di questa Corte deve essere esaminata alla luce della norma di diritto sopravvenuta relativa alla interpretazione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, per quanto non invocata espressamente.
21.1.Sul punto, trattandosi di questione rilevata ex officio da questa Corte non si ritiene necessario provocare il contraddittorio tra le parti, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., in quanto si tratta di una questione di mero diritto (ex multis: Cass. Sez. 6 – 2, ord. 30/05/2022, n. 17456).
21.2. Rileva quindi la Corte che la questione che, nel caso in rassegna, viene in rilievo è l’incidenza del diritto sopravvenuto sul regime sanzionatorio e l’inesigibilità delle sanzioni in base all’art. 3, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 a norma del quale «Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile; Se la sanzione è già
stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato».
21.3. La norma di interpretazione autentica ha determinato il venir meno dell’infrazione in applicazione dei principi già fissati da questa Corte (Cass. Sez. U, 27/04/2022, n. 13145, al punto 8.1), in base ai quali ciò che occorre esaminare è se l’intervento legislativo posteriore abbia alterato, anche mediatamente, il precetto e, quindi, abbia escluso la figura di infrazione scaturente dalla violazione di esso, circostanza ravvisabile nella fattispecie ove la norma di interpretazione autentica ha escluso ex tunc la possibilità per l’amministrazione di interpretare l’atto sottoposto a registrazione alla stregua di elementi extratestuali. La citata norma, con interpretazione autentica retroattiva, non considera più praticabile quell’operazione di riqualificazione degli atti posta a base della rideterminazione dell’imposta, con la conseguenza che, non sussiste più la violazione punibile in base alla previgente versione dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che aveva condotto l’Ufficio a rideterminare l’imposta secondo i criteri dettati dalla costante interpretazione offerta da questa Corte.
21.4. Ora, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, il contribuente non può essere più assoggettato alla sanzione irrogatagli con il provvedimento oggetto di controversia in caso di ” abolitio criminis” ( ovvero di situazione assimilabile), dovendo lo ” ius superveniens” essere applicato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo (Cass. n. 26479/2016; Cass. n. 17972/2013; Cass. n.599/2007; Cass. n. 4408/2001). In senso contrario, Cass. n. 3609/2025 statuisce che l’unico evento impeditivo per l’applicazione del principio del ‘favor
rei’ è l’intervenuto pagamento della sanzione ( v. anche Cass. n. 3069/2025; Cass. n. 2518/2024; Cass. n. 3609/2025, secondo cui l’unico evento impeditivo per l’applicazione del principio del ‘favor rei’ è l’intervenuto pagamento della sanzione; Cass. n. 27242/2023)
21.5. Ritiene il Collegio che, in considerazione della peculiarità della fattispecie, appaia opportuno rinviare la causa alla pubblica udienza, con l’apporto del contributo delle parti, in merito alla questione della definitività o meno dell’atto (cartella esattoriale) impugnato dalla società e del carattere ostativo alla applicabilità della sanzione della definitività dell’originario provvedimento impugnato.
P.Q.M.
Rinvia la causa a nuovo ruolo per la fissazione della pubblica udienza. Manda alla cancelleria per gli adempimenti
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della