Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10603 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10603 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1478/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME
-intimata- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 1687/2020 depositata il 17 giugno 2020
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 febbraio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ex dipendente dell’INPS titolare di trattamento pensionistico complementare erogato in forma di rendita periodica dal Fondo integrativo del predetto istituto, presentava alla Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle Entrate un’istanza con la quale, sull’assunto che le prestazioni pensionistiche in discorso, assoggettate a imposizione ordinaria nella misura
dell’87,50% dell’ammontare percepito, dovessero essere tassate separatamente mediante ritenuta a titolo d’imposta da operare con l’aliquota agevolata di cui all’art. 11, comma 6, del D. Lgs. n. 252 del 2005, chiedeva il rimborso della maggiore IRPEF versata per gli anni 2010-2014.
Formatosi il silenzio-rifiuto, la contribuente impugnava il diniego dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la quale accoglieva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che con sentenza n. 1687/2020 del 17 giugno 2020 respingeva l’appello erariale.
Osservavano i giudici regionali che la disciplina agevolativa introdotta dal menzionato art. 11, comma 6, del D. Lgs. n. 252 del 2005 doveva ritenersi applicabile anche ai soggetti, come la COGNOME, iscritti a forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore dello stesso decreto (1° settembre 2007), limitatamente alle prestazioni erogate dopo quella data, e che il beneficio fiscale da essa previsto spettava anche agli ex pubblici dipendenti, risultando «ingiustificata ed ampiamente discriminatoria» la diversa interpretazione sostenuta sul punto dall’Amministrazione Finanziaria.
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La COGNOME è rimasta intimata.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato in relazione agli artt. 360, comma 1, n. 4) e 382, comma 3, c.p.c., è denunciata l’inosservanza dell’art. 19, comma 1, lettera g) e comma 3, del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973.
1.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver omesso di dichiarare l’originaria improponibilità della domanda della contribuente.
1.2 Viene, al riguardo, posto in evidenza che l’istanza di rimborso presentata dalla COGNOME risultava estremamente generica, essendosi la stessa limitata a chiedere l’applicazione dell’aliquota agevolata del 9% sulle rate pensionistiche a lei corrisposte dall’INPS nei 48 mesi antecedenti al novembre 2014 e su quelle successive, senza quantificare l’importo preteso in restituzione.
A fronte di una simile richiesta, doveva escludersi che si fosse formato un silenzio significativo dell’Amministrazione Finanziaria impugnabile ex art. 19, comma 1, lettera g), del D. Lgs. n. 546 del 1992.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 11, comma 6, e 23, commi 5, 6 e 7, del D. Lgs. n. 252 del 2005.
2.1 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nel ritenere applicabile alla presente fattispecie la previsione recata dall’art. 11, comma 6, del D. Lgs. n. 252 del 2005, non avendo essa considerato che: – la COGNOME era iscritta a un vecchio fondo pensionistico integrativo soppresso a partire dal 1° ottobre 1999 e con montanti contributivi maturati tutti entro quella data; – la nuova disciplina fiscale non poteva comunque operare nei confronti dei dipendenti di pubbliche amministrazioni, giusta quanto disposto dall’art. 23, comma 6, dello stesso decreto.
Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento assorbe l’esame del secondo.
3.1 Per costante orientamento di questa Corte, le domande di rimborso prive dell’indicazione degli estremi dei versamenti eseguiti e dell’ammontare delle ritenute IRPEF subite, nonchè degli importi pretesi in restituzione, non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, quindi, idonee alla formazione di un silenzio-
rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; nè tale vizio è sanabile mediante il successivo deposito di documenti volti a colmare le predette lacune, il quale risulterebbe comunque tardivo per essere intervenuto nel corso di un procedimento che nemmeno avrebbe dovuto avere inizio (cfr. Cass. n. 27377/2019, Cass. n. 4565/2020, Cass. n. 19001/2023, Cass. n. 30238/2023).
3.2 È stato, inoltre, ripetutamente affermato che la proposizione di un’azione di accertamento innanzi al giudice tributario, pur risultando estranea al modulo di tale processo, che deve essere necessariamente introdotto mediante l’impugnazione di specifici atti, non dà luogo a un’ipotesi di difetto di giurisdizione -essendo questa attribuita in via esclusiva e «ratione materiae» , e non in considerazione del «petitum» -, bensì all’improponibilità della domanda, rilevabile d’ufficio nel giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 382, comma 3, c.p.c., con conseguente cassazione senza rinvio della decisione di merito che si sia pronunciata su di essa (cfr. Cass. Sez. Un. n. 27209/2009; nello stesso senso, ex ceteris , Cass. n. 10960/2020, Cass. n. 10141/2023).
3.3 Tanto premesso in punto di diritto, va osservato che l’odierno ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza, riporta il contenuto dell’istanza di rimborso presentata dalla COGNOME alla Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle Entrate, la quale era stata prodotta in allegato al libello introduttivo del giudizio svoltosi dinanzi alla CTP ed è stata ridepositata in questa sede dalla stessa Amministrazione impugnante.
3.4 Essa risultava così formulata: .
3.5 Come è reso palese dalla trascrizione che precede, trattavasi di
istanza mancante dell’indicazione dell’ammontare delle imposte asseritamente versate e del «quantum» richiesto a titolo di ripetizione d’indebito.
3.6 Per la sua estrema genericità, una siffatta richiesta non risultava, in tutta evidenza, idonea a determinare la formazione di un silenziorifiuto impugnabile ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera g), del D. Lgs. n. 546 del 1992, come a ragione sostenuto dalla difesa erariale in linea con l’insegnamento nomofilattico dianzi richiamato, al quale va qui data continuità.
Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi degli artt. 382, comma 3, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione senza rinvio della gravata sentenza perchè la domanda non poteva essere proposta.
Le spese del doppio grado di merito possono essere interamente compensate fra le parti, tenuto conto dei difformi orientamenti giurisprudenziali all’epoca esistenti, mentre per il grado di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e cassa senza rinvio la sentenza impugnata, perché la domanda non poteva essere proposta; compensa interamente fra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna la COGNOME a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 800 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione