Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4619 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5   Num. 4619  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
IRPEF ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27922/2019 R.G. proposto da:
COGNOME  NOME ,  rappresentata  e  difesa,  per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata  e  difesa ex  lege
dall’Avv ocatura AVV_NOTAIO dello Stato presso la quale è domiciliata in INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1229/21/2019, depositata il 15 marzo 2019; udita  la  relazione  svolta  dal  AVV_NOTAIO  COGNOME nella pubblica udienza del 5 febbraio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; e  l’AVV_NOTAIO
sentiti l’ AVV_NOTAIO  per  i  ricorrenti dello Stato NOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso  la  pronunzia  in  epigrafe,  con  la  quale,  per  quanto  in questa sede ancora di interesse, è stata confermata la decisione resa dalla Commissione  tributaria provinciale di Milano in contenzioso radicato dalla stessa ricorrente avverso la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria notificatale il 14 marzo 2018.
Detta comunicazione traeva origine dall’avviso di accertamento  notificato  in  precedenza  alla  contribuente  quale socia d ell’est inta società RAGIONE_SOCIALE, in conseguenza della ripresa a tassazione di maggiori redditi d’impresa di quest’ultima per l’anno d’imposta 2009.
La sentenza qui impugnata ha affermato:
 che  il  motivo  di  gravame  con  il  quale  la  contribuente contestava la competenza territoriale della Direzione provinciale dell’Amministrazione che aveva emesso l’avviso di accertamento era  inammissibile,  in  quanto  dedotta ex  novo in  appello,  e
comunque infondata, avuto riguardo al luogo di residenza della COGNOME;
-che la sospensione dell’atto impositivo prodromico, disposta ai  sensi  dell’art.  62 -bis del  d.lgs.  31  dicembre  1992  n.  546  in pendenza del ricorso per cassazione nel giudizio relativo alla sua impugnazione, non spiegava effetto sulla comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, che non costituisce atto della fase di riscossione;
che la comunicazione impugnata non richiedeva, per la sua validità,  la  preventiva  notifica  al  debitore  dell’intimazione  di pagamento  di  cui  all’art.  50,  comma secondo,  del  d.P.R.  29 settembre 1973 n. 602 , né l’individuazione di un termine finale per la sua efficacia;
-che  l’ipoteca  oggetto  di  preavviso  era legittima  ancorché destinata  ad  essere  iscritta  su  un’abitazione  principale  della contribuente confluita in un  fondo  patrimoniale, in  quanto derivava  da  un  accertamento  concernente  utili  societari  che sarebbero  stati  destinati  a  soddisfare  esigenze  familiari  della stessa  e,  comunque,  spettando  alla  medesima  contribuente  la prova della sussistenza dei presupposti per l’impignorabilità del bene ex art. 170 cod. civ.
Il ricorso si articola in sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  ha  depositato controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Il  primo  motivo  denunzia  violazione  degli  artt.  24  della Costituzione, 50 del d.P.R. n. 602/1973 e 3 della l. 22 luglio 2000 n. 212.
La sentenza impugnata è sottoposta a censura nella parte in cui non ha ritenuto che la comunicazione fosse divenuta inefficace dopo  la  perenzione  del  termine  di  centottanta  giorni  dalla  sua notificazione.
Secondo la ricorrente, la necessaria applicazione di tale termine dovrebbe farsi discendere, in via analogica, dalla disciplina dettata dall’art. 50 del d.P.R. n. 602/1973 (nel testo all’epoca vigente) in relazione all’intimazione di pagamento; diversamente opinando, infatti, il debitore resterebbe assoggettato sine die alla pretesa erariale, in contrasto con i principi -più volte affermati anche dalla giurisprudenza costituzionale -posti a garanzia del contribuente sottoposto ad azione esecutiva da parte del fisco.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 167, 171 e 2740, comma secondo, cod. civ., dell’art. 77 del d.P.R. n. 602/1973 e dell’art. 10 della l. n. 212/2000.
La censura ha ad oggetto il capo della sentenza d’appello che ha ritenuto legittima la comunicazione quantunque riferita a un bene immobile confluito in un fondo patrimoniale.
Ad avviso della ricorrente, i giudici regionali avrebbero errato nel ravvisare il presupposto di inerenza del debito alle esigenze della famiglia ; infatti, la pretesa creditoria dell’Erario atteneva a un maggior utile fiscale della società RAGIONE_SOCIALE conseguente al rilievo di costi non deducibili, il che non designava alcuna utilità finanziaria personale per i soci che potesse essere destinata a soddisfare le loro esigenze familiari.
Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 62 -bis del d.lgs. n. 546/1992, la ricorrente critica  la  sentenza  nella  parte  in  cui  ha  ritenuto  irrilevante  la
circostanza  dell’intervenuta  sospensione  dell’efficacia  esecutiva dell’atto impositivo donde traeva origine l’iscrizione ipotecaria.
Rappresenta  al  riguardo,  mediante  il  richiamo  ad  alcuni precedenti di merito, che l’iscrizione di ipoteca comporta, per il debitore, proprio quel ‘danno  grave  e  irreparabile’  che  la sospensione giudiziale dell’atto impositivo è volta a prevenire.
Con  il quarto  motivo,  deducendo  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  23  e  32  del  d.lgs.  n.  546/1992,  la ricorrente si duole  del  fatto  che  la  RAGIONE_SOCIALETRAGIONE_SOCIALE.  abbia  preso  in considerazione  le  produzioni  dell’RAGIONE_SOCIALE,  quantunque  le  stesse fossero state effettuate senza che la predetta si fosse costituita in appello nei sessanta giorni successivi alla notificazione del ricorso, e  ben  oltre  il  termine  di  venti  giorni  prima  dell’udienza  di discussione.
 Il  quinto  motivo  denunzia  «nullità  della  sentenza  per violazione  e/o  falsa  applicazione  dell’art.  1  c.  2  del  d.lgs.  n. 546/1992 e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.».
La  sentenza  d’appello  è  criticata  nella  parte  in  cui  non  ha esplicitato «le ragioni per le quali non ha inteso conformarsi agli orientamenti  consolidati  del  Supremo  Collegio  sulle  eccezioni puntualmente sollevate dal ricorrente, chissà magari inaugurando un nuovo filone giurisprudenziale».
Infine, con il sesto mezzo la ricorrente denunzia la nullità della  sentenza  impugnata  in  quanto  sorretta  da  motivazione meramente apparente.
Assume,  al  riguardo,  che  la  RAGIONE_SOCIALE  avrebbe  omesso  di motivare le ragioni per le quali non sono stati accolti tutti i motivi di gravame, atteso peraltro che «tutti i punti dell’appello (e del ricorso introduttivo) erano da ritenersi nella loro totalità acquisiti in base al principio di non contestazione».
Il primo motivo è inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ.,  poiché  sul  punto  la  sentenza  impugnata  ha  deciso  in conformità al consolidato orientamento di questa Corte.
È noto, in particolare, che a partire dalla sentenza n. 19667/2014 resa a Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’iscrizione ipotecaria prevista dall’art. 77 del d.P.R. n. 602/1973 non costituisce atto dell’espropriazione forzata, ma va riferita ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria , tant’è che essa può essere effettuata anche senza la necessità di procedere alla notifica dell’intimazione di cui all’art. 50, secondo comma, del citato decreto (cfr., in tal senso, Cass. n. 9817/2024; Cass. n. 37347/2021; Cass. n. 23661/2020; Cass. n. 13618/2018).
Sulla base di tale rilievo, pertanto, perdono di consistenza gli argomenti della ricorrente secondo cui la mancata previsione di un termine finale di efficacia renderebbe il debitore esposto sine die all’azione esecutiva del fisco; non può esservi, infatti, alcuna esposizione in dipendenza della comunicazione di un atto estraneo al procedimento esecutivo.
In  tale  statuizione,  peraltro,  resta  assorbito  lo  scrutinio  del terzo motivo.
 Anche  il  secondo  motivo  è  inammissibile  per  come formulato.
Conviene  premettere,  al  riguardo,  che  la  giurisprudenza  di questa  Corte  consente  da  tempo  l’iscrizione  ipotecaria  di  cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602/1973 anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 cod. civ., vale a dire quando l’obbligazione tributaria è strumentale ai bisogni  della  famiglia  o  quando  il  titolare  del  credito  non  ne conosceva l’estraneità a tali bisogni; la stessa giurisprudenza ha
peraltro precisato che  grava sul debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa (v. ad es. Cass. n. 1318/2022; Cass. n. 20998/2018).
Tali  circostanze  sono  state  valutat e  dai  giudici  d’appello ,  i quali hanno motivatamente ritenuto che il credito fosse inerente a esigenze familiari della ricorrente e che costei non abbia assolto al proprio onere probatorio.
Di  tale  motivato  apprezzamento  non  è  ammissibile  una rivalutazione in sede di legittimità.
Il prospettato vizio di violazione di legge consiste, infatti, in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata dalla norma di legge, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo attraverso la denunzia di un vizio di motivazione, tuttavia estranea alle doglianze della ricorrente.
9. Il quarto motivo è infondato.
Nel processo tributario, infatti, la violazione del termine previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992 per la costituzione in giudizio della parte resistente comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell’avversa pretesa, di contestare l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE norme di diritto invocate e di produrre
documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del detto decreto (in tal senso, ex plurimis ,  Cass.  n.  2585/2019,  anche  con  riferimento alla costituzione tardiva dell’appellato) .
Il quinto motivo è inammissibile perché non rivolge alcuna censura alla sentenza impugnata, né indica i punti della stessa sottoposti  a  critica  perché  interessati  dal  profilo  di  illegittimità dedotto.
Si  tratta,  dunque,  di  motivo  redatto  in  modo  difforme  dal canone  di  specificità  fissato  a  presidio  dell’ammissibilità  del ricorso (cfr. Cass. n. 17224/2020; Cass. n. 11603/2018; Cass. n. 19959/2014).
 Resta  l’esame  del  sesto  motivo,  che  è  manifestamente infondato.
La  sentenza  impugnata  appare  compiutamente  motivata  in relazione a tutti i singoli profili di censura rivolti dalla contribuente alla decisione di primo grado, come analiticamente esposti nella parte in fatto e successivamente scrutinati nell’esposizione d elle ragioni della decisione.
Né, del resto, la ricorrente chiarisce le ragioni per le quali, come ha affermato, i propri «punti dell’appello erano da ritenersi nella loro totalità acquisiti in base al principio di non contestazione».
In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le  spese  seguono  la  soccombenza  e  sono  liquidate  in dispositivo.
Sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese, che liquida in € 3.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di