Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20796 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20796 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
NOME COGNOME
Presidente
COGNOME
Consigliere – Rel.
COGNOME
Consigliere
NOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
del 1997; associazione sportiva dilettantistica; legge n. 398 del 1991.
Ud. 1/29/05/2025 C.C. PU R.G. 23557/2024 –
Cron. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 23557/2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME in proprio e quale Presidente e legale rappresentante pro tempore dell’Associazione Sportiva Urbino Calcio, rappresentat o e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in atti.
PEC: EMAIL
-ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
-controricorrente-
R.G.N. 17987/2019
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle MARCHE n. 289/2024 depositata il 26 marzo 2024, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha rigettato l’appello proposto da NOME NOME, in proprio e quale amministratore dell’Associazione Sportiva Calcio Urbino , avverso la sentenza di primo grado n. 325 del 13 marzo 2017, che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto il provvedimento di irrogazione sanzioni numero TQ9IR1T00037/2016, in materia di IVA, IRPEF e IRAP, per l’anno d’imposta 2011, connesso all’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, disconosciuti i benefici fiscali di cui alla legge n. 398 del 1991, aveva determinato i redditi imponibili e l’Iva dovuta s ulla base delle regole ordinarie contenute nel TUIR e nel d.P.R. n. 633 del 1972.
L’ atto di irrogazione delle sanzioni era connesso all’a vviso di accertamento che aveva preso le mosse, da quanto si legge nella sentenza impugnata, da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, consegnato in data 19 dicembre 2014 a Pera Marcello, nella sua qualità di rappresentante legale, presidente pro tempore, dell’associazione sportiva ricorrente. Dal richiamato P.V.C., secondo la prospettazione dell’Ufficio, erano emerse varie irregolarità: la ARAGIONE_SOCIALE Urbino RAGIONE_SOCIALE «scuola calcio» aveva optato per il regime fiscale previsto dalla legge n. 398 del 1991 a favore delle associazioni sportive dilettantistiche; la stessa RAGIONE_SOCIALE non era risultata, per l’anno di imposta in esame, affiliata alla Federazione Italiana Gioco RAGIONE_SOCIALE e non era risultata iscritta al registro delle associazioni sportive dilettantistiche tenuto dal CONI; alla stessa associazione non era stato possibile attribu ire un’effettiva natura associativa, posto che, a seguito dell’attività di verifica della G uardia di Finanza, era emerso che la RAGIONE_SOCIALE
Calcio Urbino «scuola calcio» nell’arco della sua vita aveva avuto esclusivamente tre soci (COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) e non erano state rilevate istanze di terzi finalizzate ad aderire all’ente.
I giudici di secondo grado hanno affermato che:
-) le censure mosse all’atto di accertamento presupposto n. TQ9041T00631, erano inammissibili, pendendo autonomo giudizio in relazione a detto atto, conclusosi con la conferma dello stesso con la sentenza di primo grado n. 437 del 26 maggio 2016;
-) l’atto di irrogazione delle sanzioni era sindacabile esclusivamente per vizi propri;
-) in relazione ai motivi di appello relativi a questi ultimi, la notifica dell’atto impugnato era conforme al disposto della legge n. 890 del 1982 in tema di notifiche a mezzo posta; l’art. 1957 c.c. non era applicabile nel caso di specie, in quanto il potere sanzionatorio era stato esercitato contro COGNOME NOME in proprio e non quale garante dell’associazione sportiva in forza di contratto di fideiussione; non vi era stata violazione del bis in idem in ambito sanzionatorio, in quanto l’associazione che violava le norme tributarie rispondeva per responsabilità amministrativa diretta, laddove NOME rispondeva autonomamente per avere posto in essere materialmente le violazioni contestate ex art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997; l’atto di irrogazione delle sanzioni era stato preceduto dall’atto di contestazione autonoma, sicché NOME NOME aveva potuto difendersi nella fase procedimentale; il potere sanzionatorio dell’Ufficio non presupponeva la definitività dell’atto «a quo»; la misura delle sanzioni era stata calcolata con procedimento verificabile ed aveva visto l’applicazione del più favorevole cumulo giuridico; la delega di firma e di poteri era stata regolarmente prodotta in giudizio dell’Ufficio.
NOME NOMECOGNOME in proprio e quale Presidente e legale rappresentante pro tempore , ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sette motivi e successive memorie.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115, comma primo, c.p.c., per omessa produzione del P.V.C. della Guardia di Finanza di Urbino notificato il 19 dicembre 2014 e dei relativi allegati. La sentenza impugnata era nulla per violazione dell’art. 115 c.p.c. risultando viziata da un errore di percezione commesso dal Giudice nell’esame delle prove offerte dalle parti. La sentenza impugnata meritava censura, e doveva essere cassata, avendo posto a fondamento della decisione una prova non proposta dalle parti (in quanto non versata agli atti del giudizio), circostanza che aveva formato oggetto di discussione tra le parti, in violazione del disposto di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c..
1.1 Il motivo non merita accoglimento.
1.2 Come già precisato da questa Corte « la produzione del processo verbale di constatazione non rappresenta un adempimento imprescindibile del processo tributario. In primo luogo, dalla sua mancata produzione non deriva l’inammissibilità del ricorso, prevista dall’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 546 /1992 per i soli atti ivi indicati, tra cui non compaiono l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato (comprensivi anche del PVC richiamato nell’avviso di accertamento) ai quali si riferisce l’art. 22, comma 4, cit., e che possono quindi essere prodotti anche in un momento successivo ovvero su impulso del giudice tributario, qualora si avvalga dei poteri previsti dal successivo comma 5 (Cass. n. 16476 del 2020; Cass. n. 12383 del 2021). Nel processo tributario il PVC rileva come mezzo di prova, rimesso q uindi all’onere dispositivo delle parti e salvo l’esercizio dei poteri officiosi del giudice
ex art. 7 d.lgs. cit. (Cass. n. 35393 del 2019). A questa stregua, in situazioni di oggettiva incertezza il giudice, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti e non per sopperire ad una carenza istruttoria delle parti, può ordinare la produ zione del PVC richiamato nell’avviso impugnato e non prodotto (Cass. n. 16476 del 2020; Cass. n. 12383 del 2021; Cass. n. 955 del 2016), salvo il caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (Cass. n. 24464 del 2006). Peraltro, non può essere «affermato come principio assoluto» che dalla mancata produzione del PVC derivi una carenza di prova a carico dell’Ufficio, perché «la situazione deve essere distinta in relazione ad ogni caso» (Cass. n. 16476 del 2020 in motivazione), spettando al giudice la decisione iusta alligata et probata (Cass. n. 35393 del 2019 in motivazione) » (Cass., 6 maggio 2024, n. 12107, in motivazione).
1.3 E’ utile, inoltre, precisare che n el processo tributario l’avviso di accertamento costituisce nel suo complesso, e nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio, con la duplice conseguenza che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario e che l’Ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l’atto impugnato; ciò perché l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quali, i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto ritenuto dal contribuente e, dunque, l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dall’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo (Cass., 13 marzo 2019, n. 7127; Cass., 23 luglio 2019, n. 19806).
1.4 Ne deriva che la cognizione del giudice è limitata dai profili che sono stati contestati col ricorso. Ciò conformemente al principio
generale di non contestazione di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c. (specificamente richiamato dal ricorrente), che, in quanto principio generale è applicabile anche nel giudizio tributario, secondo cui tutti i fatti non contestati devono ritenersi pacifici e, dunque, anche i fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda e i fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, fatta eccezione per quelli che implicano un’attività di giudizio (Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196 e, più di recente, Cass., 5 marzo 2020, n. 6172; Cass., 15 novembre 2021, n. 35037; Cass., 6 maggio 2024, n. 12107).
1.5 Più specificamente, come è stato precisato da questa Corte, « il fatto che la tesi dell’ufficio sia il presupposto sul quale si basa il recupero fiscale, non significa che debba necessariamente essere oggetto di valutazione da parte del giudice tributario, se non risulta contestato. Né può intendersi che l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, abbia inteso attribuire al giudice tributario un potere di valutare anche i fatti pacifici tra le parti (in quanto non contestati), sul semplice presupposto della rilevanza degli stessi. Una simile interpretazione andrebbe contro ogni canone di economia processuale e di terzietà del giudice, in quanto consentirebbe di aprire, ex officio, un contenzioso, anche laddove non c’è controversia. In altri termini, i fatti non contestati, quale che sia la parte che li abbia dedotti, per definizione, non appartengono alla lite, se non come fatti pacifici sulla base dei quali le parti possono prospettare anche argomentazioni contrapposte » (Cass., 23 maggio 2005, n. 10867, in motivazione).
1.6 In conclusione, il principio di non contestazione opera tra parti, che sono presenti nel giudizio, in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una parte, e non siano stati contestati, in modo specifico e tempestivo, dalla controparte, che pure ne abbia avuto l’opportunità. La parte che lo invochi, pertanto, in sede di impugnazione è gravata dell’onere di indicare specificamente in quale atto del processo il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al
giudice di verificare la chiarezza dell’esposizione, e se la controparte abbia avuto occasione di replicare.
1.7 E sotto questo specifico profilo, proprio da quanto rilevato dalla parte ricorrente, a pag. 14 del ricorso per cassazione (punto 1.4), emerge che la questione del mancato deposito nel giudizio del P.V.C. della Guardia di Finanza del 19 dicembre 2014, a seguito del quale era stato emesso l’atto di irrogazione delle sanzioni oggetto della controversia e sulla base del quale la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha deciso, non è stata proposta nel ricorso introduttivo del giudizio di secondo grado depositato in data 21 settembre 2016 (e men che meno nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che si è concluso con il rigetto del ricorso), ma soltanto nella memoria aggiuntiva depositata in secondo grado (21 febbraio 2024). Inoltre, la parte ricorrente neppure ha chiarito a quali fatti (contenuti nel processo verbale di constatazione e utilizzati dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado), ha inteso operare riferimento, per cui il motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile (cfr. anche Cass., 1 luglio 2021, n. 18695, secondo cui « Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione »).
1.8 Il motivo è, comunque, pure inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, diversamente da quanto sostiene la parte ricorrente, non è affatto fondata sul processo
verbale di constatazione, ma sull’atto di irrogazione sanzioni, e che il processo verbale di constatazione del 19 dicembre 2014 è stato richiamato al solo fine di illustrare l’origine delle iniziative poste in essere dall’Ufficio nei confronti dell’Associazione sportiva ricorrente e da cui è, poi, scaturito l’atto di irrogazione sanzioni impugnato in questa sede, oltre che l’avviso di accertamento.
1.9 Correttamente, dunque, i giudici di secondo grado hanno preso in considerazione gli elementi di prova contenuti nell’atto impugnato (atto di irrogazione sanzioni), prescindendo dal processo verbale di constatazione, in assenza di qualsiasi contestazione specifica e tempestiva.
Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione degli artt. 112 e 132, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., per difetto di motivazione in ordine alla doglianza di violazione dell’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 472 del 1997. La sentenza gravata era nulla per omessa motivazione avendo la C.G.T. di secondo grado delle Marche omesso di vagliare l’eccezione di nullità dell’avviso di irrogazione delle sanzioni n. TQ91R1T00037/2016 per violazione dell’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 472 del 1997 e conseguente difetto di motivazione, chiaramente preliminare ed assorbente rispetto alle ragioni espresse dal Giudice a quo per respingere l’appello dell’odierno ricorrente. Il Giudice anconetano avrebbe dovuto accertare e dichiarare che, benché il contribuente avesse proposto deduzioni ex art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997 avverso il presupposto atto di contestazione delle sanzioni n. TQ9CO1T00395/2015, l’Ufficio non aveva motivato l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 « anche in ordine alle deduzioni medesime» in violazione dell’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 472 del 1997.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile e, con riferimento al vizio di omessa pronuncia, anche infondato.
2.2 Il motivo è inammissibile perché censura la sentenza impugnata deducendo il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. e il vizio di omessa motivazione, che, com’è noto, sono vizi tra di loro eterogenei, con la conseguenza che l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass.,5 marzo 2021, n. 6150; Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 28 giugno 2018, n. 7141; Cass., 14 maggio 2018, n. 11603; Cass., 18 giugno 2014, n. 13866; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268: Cass. 17 luglio 2007, n. 15882) e ciò pur dando atto che il ricorrente ha precisato, nella memoria depositata in atti, che « i motivi di ricorso n. 2 e n. 4 denunciano la sentenza gravata per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. (e non n. 5): la ‘omessa motivazione’ lamentata ai punti 2.9 e 4.8 del ricorso è frutto di un mero errore materiale (leggasi ‘omessa pronuncia’, come chiaramente emerge dall’intero corpo di ent rambi i motivi di ricorso » (cfr. par. 2.3.1, pag. 7, della memoria).
2.3 Il motivo è pure infondato, posto che, pur vero che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado non si è espressamente pronunciata sull’eccezione, devoluta in appello, in oggetto, risulta tuttavia chiaro che si tratta di un rigetto implicito, in quanto, i giudici di secondo grado, dopo avere rilevato che l’atto di irrogazione sanzioni era sindacabile esclusivamente per vizi propri, hanno affermato che: in relazione ai motivi di appello relativi ai vizi inerenti l’avviso di irrogazione delle sanzioni, la notifica dell’atto impugnato era conforme al disposto della legge n. 890 del 1982 in tema di notifiche a mezzo posta; l’art. 1957 c.c. non era applicabile nel caso di specie, in quanto il potere sanzionatorio era stato esercitato contro COGNOME NOME in persona, non quale garante dell’associazione sportiva in forza di
contratto di fideiussione; non vi era stata violazione del bis in idem in ambito sanzionatorio, in quanto l’associazione che violava le norme tributarie rispondeva per responsabilità amministrativa diretta, laddove NOME NOME rispondeva autonomamente per avere posto in essere materialmente le violazioni contestate ex art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997; l’atto di irrogazione delle sanzioni era stato preceduto dall’atto di contestazione, sicché NOME NOME aveva potuto difendersi nella fase procedimentale; il potere sanzionatorio dell’Ufficio non presupponeva la definitività dell’atto «a quo»; la misura delle sanzioni era stata calcolata con procedimento verificabile ed aveva visto l’applicazione del più favorevole cumulo giuridico; la delega di firma e di poteri era stata regolarmente prodotta in giudizio dell’Ufficio (cfr. pagine 2 e 3 della sentenza impugnata).
2.4 Soccorre, in tal senso, anche la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, « Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione » (cfr., Cass., 12 aprile 2022, n. 11717; Cass., 6 novembre 2020, n. 24953). Dunque non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando, come nel caso di specie, la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito. È quindi sufficiente quella motivazione che fornisca una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute
idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., 2 aprile 2020, n. 7662), anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (Cass., 21 ottobre 1972, n. 3190; Cass., 17 marzo 1971, n.748; Cass., 23 giugno 1967, n. 1537 e, più di recente, Cass., 30 gennaio 2020, n, 2153). In ultimo, secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica e adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass., 9 marzo 2011, n. 5583).
3. Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. per violazione dell’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 472 del 1997. La sentenza gravata era nulla per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 472 del 1997 emergendo ex actis che, pur avendo il ricorrente presentato in data 9 luglio 2015 deduzioni difensive contenenti ben sette motivi di diritto, oltre che analitiche contestazioni nel merito, avverso il presupposto atto di contestazione delle sanzioni n. TQ9CO1T00395/201, nel successivo avviso di irrogazione delle sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016, l’Ufficio aveva omesso di prenderle in considerazione e di replicare ad esse. In sintesi, l’Ufficio aveva omesso di « irroga(re), le sanzioni con atto
motivato a pena di nullità anche in ordine alle deduzioni medesime» in spregio all’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 472 del 1997 ».
3.1 Il motivo è infondato, non sussistendo la violazione della norma dell’art. 16, comma 7, del decreto legislativo n. 472 del 1997, che, nella versione vigente ratione temporis , dispone: « Quando sono state proposte deduzioni, l’ufficio, nel termine di decadenza di un anno dalla loro presentazione, irroga, se del caso, le sanzioni con atto motivato a pena di nullità anche in ordine alle deduzioni medesime. Tuttavia, se il provvedimento non viene notificato entro centoventi giorni, cessa di diritto l’efficacia delle misure cautelari concesse ai sensi dell’articolo 22 ».
3.2 Deve premettersi che la procedura di irrogazione delle sanzioni contemplata dall’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 (la cui adozione è obbligatoria per infliggere sanzioni conseguenti a irregolarità formali (tali, cioè da non incidere sulla determinazione o sul pagamento del tributo), prevede la notifica al trasgressore ed agli eventuali coobbligati, dell’atto di contestazione, da parte dell’ ufficio o dell’ente competente, ed entro il termine di proposizione del ricorso, il trasgressore ed i soggetti obbligati in solido, possono decidere (comma 3) di addivenire alla definizione agevolata della controversia, pagando un importo pari ad un quarto (a decorrere dal 1 febbraio 2011, un terzo) della misura indicata, ed in tale modo viene esclusa anche l’irrogazione di sanzioni accessorie, così come possono decidere (comma 4) di presentare deduzioni difensive all’atto di contestazione delle sanzioni, al fine di provocare un provvedimento dell’ufficio o dell’ente competente, che può accogliere le deduzioni, o irrogare le sanzioni con atto motivato anche in merito al mancato accoglimento delle deduzioni medesime, e l’atto di irrogazione può essere impugnato, ai sensi dell’art. 18, del d.lgs. citato, con ricorso alle commissioni tributarie; i l contribuente può impugnare immediatamente l’atto di contestazione delle sanzioni tramite ricorso all’organo
competente per materia (commissione tributaria, giudice ordinario, autorità amministrativa indicata dall’art. 18 del d.lgs. n. 472 del 1997), e questo tipo di opzione determina ex lege la trasformazione dell’atto di contestazione in provvedimento d’irrogazione delle sanzioni (art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997), oppure può presentare deduzioni difensive in relazione alla contestazione, per cui vale la regola che l’impugnazione immediata non è ammessa, e se proposta è improcedibile (cfr. art. 16, comma 5, d.lgs. citato) (cfr. Cass., 1 agosto 2019, n. 2019, in motivazione).
3.3 Ed invero, nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ha notificato a COGNOME Marcello, in data 12 maggio 2015, l’atto di contestazione delle sanzioni n. CODICE_FISCALE/2015, mentre era in corso di notifica l’avviso di accertamento era in corso di notifica nei confronti dell’A.RAGIONE_SOCIALE Urbino RAGIONE_SOCIALE; COGNOME Marcello «impugnava» l’atto di contestazione con deduzioni difensive notificate all’Ufficio in data 9 luglio 2015; l’Amministrazione finanziaria, in data 21 giugno 2016, notificava a Pera Marcello l’avviso di irrogazione sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016, successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento n. TQ9041T00631/2015, (cfr. pagine 3 e 4 del ricorso per cassazione) dove si legge, per come debitamente trascritto nel ricorso per cassazione e nella memoria del 19 novembre 2024: « In relazione alle memorie difensive presentate in data 27/04/2015, l’Ufficio effettua le seguenti considerazioni: (…..) L’Ufficio conferma che l’autore materiale delle violazioni è da individuarsi nella persona di COGNOME NOME, legale rappresentante dell’ente, che ha sottoscritto la dichiarazione dei redditi presentata. Alla stregua di quanto precede, l’Ufficio ritiene legittimo il proprio operato e rigetta, quindi, le memorie difensive », così essendo state espressamente valutate le deduzioni difensive presentate dal ricorrente.
3.4 Dunque, quel che rileva nel caso in esame, è che l’Amministrazione finanziaria ha seguito il procedimento di irrogazione regolato dall’art.
16 del d.lgs. n. 472 del 1997, con le formalità di anticipata contestazione e conseguente contraddittorio anticipato.
3.5 Come già precisato da questa Corte, nel procedimento per l’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie di sanzioni disciplinato nell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, il legislatore ha già disegnato, con norme speciali, uno specifico spazio di contradditorio con il contribuente, preventivo, rispetto all’eventuale successiva irrogazione delle sanzioni, ed anche rafforzato, con la conseguenza che ad esso non è applicabile la disciplina del contraddittorio dettata in generale dallo Statuto del contribuente e che la disciplina speciale di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, ove indica le peculiari modalità con le quali viene garantito il principio del contraddittorio rafforzato (Cass., 9 maggio 2017, n. 11391; Cass., 17 marzo 2020, n. 7380; Cass. 22 luglio 2020, n. 15581, che in motivazione, parla di « formalità di anticipata contestazione e conseguente contraddittorio anticipato previsti dall’art. 16 invocato dalla contribuente »; Cass., 2 febbraio 2021, n. 2243). Dunque il contraddittorio con il contribuente, rafforzato, è disciplinato dall’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 come posteriore all’atto di contestazione, ma preventivo rispetto al successivo atto che incide effettivamente sui diritti del contribuente, ovvero l’eventuale ulteriore atto di irrogazione delle sanzioni che l’Amministrazione emetta, «se del caso», ai sensi del settimo comma della disposizione (cfr. Cass., 18 marzo 2021, n. 7620: « In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’atto di contestazione avente ad oggetto sanzioni amministrative tributarie non deve essere preceduto dal contraddittorio previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, atteso che esso si inserisce nel procedimento di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, il quale ha disegnato, con norme speciali, uno specifico spazio di contraddittorio con il contribuente posteriore all’atto di contestazione, ma preventivo rispetto all’eventuale successivo atto di irrogazione della sanzione »).
3.6 Invece, quando le sanzioni siano direttamente irrogate con atto contestuale all’avviso di accertamento, l’espressa deroga dell’art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997 alla disciplina speciale del precedente art. 16, esclude l’applicabilità del contraddittorio, preventivo e rafforzato, garantito da quest’ultima disposizione (cfr. Cass., 22 luglio 2020, n. 15581, in motivazione), e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni che regolano il procedimento di accertamento dello specifico tributo cui le sanzioni siano correlate (Cass., 2 febbraio 2021, n. 2243).
3.7 Posto ciò, come già detto e come documentalmente riscontrato, è stata seguita la procedura prevista dall’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 e l’atto di irrogazione delle sanzioni ha tenuto conto delle deduzioni difensive presentate dal contribuente, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 27 agosto 2024, n. 23167).
4. Il quarto motivo deduce la nullità della sentenza, ex art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. per omessa pronuncia in violazione degli artt. 112 e 132, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 111 Cost.. La sentenza gravata era nulla per omessa motivazione avendo la C.G.T. di secondo grado delle Marche omesso di vagliare l’eccezione di nullità dell’avviso di irrogazione delle sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 per violazione dell’art. 16, commi 2 e 7, del d.lgs. n. 472 del 1997 e conseguente difetto di motivazione, preliminare ed assorbente rispetto alle ragioni espresse dal Giudice a quo per respingere l’appello del ricorrente. In effetti dalla lettura dell’avviso di irrogazione sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 si rinveniva solamente un generico richiamo ad un non meglio identificato P.V.C. della G.d.F. di Urbino posto a base dell’atto impositivo mentre difettava in radice qualsiasi riferimento: a) alle specifiche ragioni poste a base del recupero dei maggiori imponibili per singola imposta; b) ai maggiori imponibili sui quali calcolare la singola maggiore imposta; c) alle singole maggiori imposte accertate sulle quali calcolare le sanzioni
irrogate ai sensi del d.lgs. n. 472 del 1997. Così come difettava ogni rifermento: d) al presupposto atto di contestazione delle sanzioni n. CODICE_FISCALE/2015; e) alle successive deduzioni difensive ex art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 notificate all’Ufficio in data 9 luglio 2015; f) all’avviso di accertamento n. TQ9041T00631/2015 (emerso come elemento presupposto solo in corso di causa). Ciò aveva impedito qualsivoglia controllo in merito, determinandosi per l’effetto la nullità dell’atto opposto per difetto di motivazione.
4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile perché censura la sentenza impugnata deducendo il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. e il vizio di omessa motivazione, vizi tra di loro eterogenei, con la conseguenza che l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass.,5 marzo 2021, n. 6150; Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 28 giugno 2018, n. 7141; Cass., 14 maggio 2018, n. 11603; Cass., 18 giugno 2014, n. 13866; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268: Cass. 17 luglio 2007, n. 15882) e ciò pur avendo il ricorrente evidenziato nella seconda memoria (come già detto con riferimento al motivo n. 2) che « i motivi di ricorso n. 2 e n. 4 denunciano la sentenza gravata per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. (e non n. 5): la ‘omessa motivazione’ lamentata ai punti 2.9 e 4.8 del ricorso è frutto di un mero errore materiale (leggasi ‘omessa pronuncia’, come chiaramente emerge dall’intero c orpo di entrambi i motivi di ricorso » (cfr. par. 2.3.1, pag. 7 della memoria del 15 maggio 2025). 4.2 Ed anche in questo caso non sussiste il vizio di omessa pronuncia, posto che, pur vero che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado non si è espressamente pronunciata sull’eccezione, devoluta in appello, in oggetto, risulta tuttavia chiaro che, anche in questo caso, si tratta di un rigetto implicito, in quanto, i giudici di secondo grado, dopo avere rilevato che l’atto di irrogazione sanzioni era sindacabil e
esclusivamente per vizi propri, hanno affermato, a pag. 3 della sentenza impugnata, che: la notifica dell’atto di irrogazione delle sanzioni era regolare; non si applicava l’art. 1957 c.c.; non vi era stata alcuna violazione del bis in idem in ambito sanzionatorio; la delega di firma e di poteri era stata regolarmente prodotta in giudizio dell’Ufficio; COGNOME NOME aveva potuto difendersi nella fase procedimentale perché l’atto di irrogazione delle sanzioni era stato preceduto dall’atto di contestazione autonoma; la misura delle sanzioni era stata calcolata con procedimento verificabile ed aveva visto l’applicazione del più favorevole cumulo giuridico.
5. Il quinto motivo deduce la nullità della sentenza, ex art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 16, commi 2 e 7, del d.lgs. n. 472 del 1997. Sulla base delle stesse considerazioni formulate al punto precedente ( Dalla lettura dell’avviso di irrogazione sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 si rinveniva solamente un generico richiamo ad un non meglio identificato p.v.c. della G.d.F. di Urbino posto a base dell’atto impositivo mentre difettava in radice qualsiasi riferimento: a) alle specifiche ragioni poste a base del recupero dei maggiori imponibili per singola imposta; b) ai maggiori imponibili sui quali calcolare la singola maggiore imposta; c) alle singole maggiori imposte accertate sulle quali calcolare le sanzioni irrogate ai sensi del d.lgs. n. 472/97. Così come difettava ogni rifermento: d) al presupposto atto di contestazione delle sanzioni n. TQ9CO1T00395/2015; e) alle successive deduzioni difensive ex art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 notificate all’Ufficio in data 9 luglio 2015; f) all’avviso di accertamento n. TQ9041T00631/2015 (emerso come elemento presupposto solo in corso di causa . Ciò aveva impedito qualsivoglia controllo in merito, determinandosi per l’effetto la nullità dell’atto opposto per difetto di motivazione» ) emergeva un ulteriore profilo di nullità della sentenza gravata sotto l’aspetto della violazione di legge. La sentenza gravata risultava nulla per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16, commi 2 e 7, del d.lgs. n. 472 del 1997, emergendo ex actis che l’atto di irrogazione delle sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 difettava in radice dell’indicazione dei presupposti di fatto e di diritto indicati e previsti a pena di nullità dalla
norma richiamata. Conseguentemente la sentenza impugnata meritava censura e doveva essere cassata, avendo implicitamente considerato ritualmente motivato l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 in spregio all’art. 16, commi 2 e 7, del d.lgs. n. 472 del 1997.
5.1 Il motivo è infondato, dovendosi ribadire che il procedimento di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 ha inizio con la notifica, da parte dell’Ufficio competente, di un atto di contestazione all’autore della violazione, in esito al quale il contribuente, entro 60 giorni, può addivenire ad una «definizione agevolata» (art. 16 comma terzo), o presentare «deduzioni difensive» (art. 16 quarto comma), o, infine, impugnare immediatamente l’atto presso l’«organo» indicato nell’atto di contestazione (ultima parte del comma 6 dell’art. 17). La presentazione delle deduzioni difensive instaura un peculiare procedimento che può concludersi con l’emissione di un provvedimento di irrogazione di sanzioni (impugnabile davanti alla CTP) o nel venir meno dell’efficacia dell’atto di contestazione.
5.2 Tanto premesso, il motivo è, innanzi tutto, infondato con specifico riferimento alle deduzioni difensive, per quanto già detto con riferimento al terzo motivo, in quanto dalla lettura dell’atto di irrogazione della sanzione, richiamato nel contenuto nel ricorso per cassazione e trascritto nella prima memoria, (« In relazione alle memorie difensive
presentate in data 27/04/2015, l’Ufficio effettua le seguenti considerazioni: Dai riscontri effettuati dalla G.d.F. è emerso che la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, pur identificati ai fini fiscali con differenti codici fiscali, sono ai fini sportivi un’unica entità strutturata su tre livelli rappresentativi di altrettante categorie agonistiche. La prima squadra è la RAGIONE_SOCIALE, mentre la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE sono, rispettivamente, il settore giovanile categorie giovanissimi e allievi, ed il settore giovanile categorie Piccoli Amici, Pulcini ed Esordienti. La sola ad avere il riconoscimento del Coni, mediante affiliazione alla Federazione italiana giuoco calcio, è la Urbino calcio. Le domande di iscrizione ai campionati Eccellenza, Promozione e Juniores per le stagioni sportive 2008-2009, 2009-2010, 2010-2011, 2011-2012 risultano presentate e fanno tutte riferimento alla RAGIONE_SOCIALE. Dai riscontri effettuati nel corso della verifica è emerso che gli associati della RAGIONE_SOCIALE sono soci o lo sono stati anche della RAGIONE_SOCIALE. Gli stessi ricoprono e/o hanno avuto cariche amministrative all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE Alcuni degli associati alla RAGIONE_SOCIALE sono e/o sono stati soci della RAGIONE_SOCIALE. Gli stessi, inoltre, ricoprono o hanno ricoperto
cariche amministrative all’interno sia dell’RAGIONE_SOCIALE sia dell’RAGIONE_SOCIALE. Nell’ambito della attività posta in essere da parte della Guardia di Finanza, sono stati acquisiti documenti extracontabili ai fini del controllo nei confronti della associazione, che comprovano la circostanza che la associazione RAGIONE_SOCIALE ha emesso nell’esercizio sociale 2008 2009 fatture per operazioni inesistenti, riportate in dettaglio a p. 54 del processo verbale di constatazione. A fronte di fatture emesse (dal 24/09/2008 al 29/02/2009) per un imponibile di € 115.000,00, l’importo effettivo della quota imponibile trattenuta dall’ente è di € 23.250,00. La circostanza è comprovata dal foglio formato A4 elaborato con software Excel ove è rendicontata, per tutte le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, la parte del corrispettivo effettivamente trattenuta e quella restituita ai destinatari delle stesse. L’emissione di fatture per operazioni in parte non esistenti è stata riscontrata anche per gli esercizi sociali successivi, oggetto di controllo. Alla luce dei riscontri effettuati, si è reso evidente l’escamotage di splittare fiscalmente la posizione dell’RAGIONE_SOCIALE attraverso la costituzione della Associazione RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, due associazioni distinte e separate dalla società di capitale, che non hanno mai avuto il riconoscimento della Federazione di appartenenza, alle quali affidare la gestione solo apparentemente separata del settore giovanile e della scuola calcio. L’escamotage ha come unico scopo quello di poter triplicare i benefici derivanti dalle agevolazioni di cui alla L. 398/91, che prevede un regime fiscale di favore per lo sport dilettantistico, limitatamente agli enti che pongono in essere operazioni commerciali per importi non superiori ad un determinato plafond, su base annuale. L’aggiramento di tale divieto ha reso possibile, per ogni soggetto, l’effettuazione di operazioni commerciali entro tale limite, continuando a beneficiare delle agevolazioni, ma reperendo di fatto proventi per importi ben oltre il limite imposto dalla norma, a favore, in ultima analisi, della società RAGIONE_SOCIALE, alla quale tali somme venivano girate. L’Ufficio, alla luce delle circostanze e dei fatti accertati e riportati nel processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., ha quindi disconosciuto in capo all’RAGIONE_SOCIALE l’applicazione del regime agevolato disciplinato dalla L. 398/91 adottato dall’ente nelle annualità oggetto di controllo. In merito al disconoscimento della applicazione del regime agevolativo previsto dalla L. 398/91, va inoltre evidenziato, in base alle risultanze del processo verbale di constatazione, quanto di seguito riportato. Nell’arco della sua vita l’associazione ha avuto esclusivamente tre soci e nulla è stato rilevato circa la presenza di istanze da parte di terzi finalizzate ad aderire all’ente. Ciò appare in stridente contraddizione con il concetto di forma di aggregazione aperta distintiva di un’associazione. L’RAGIONE_SOCIALE è priva del riconoscimento ai fini sportivi da parte del Coni. In base a quanto disposto dall’art. 7 del D.L. 28/05/2004, n. 136, convertito in L. 28/01/2009, n. 2, rubricato ” Disposizioni in materia di attività sportiva”, al fine di beneficiare delle disposizioni di cui ai commi 1, 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 dell’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, le società e le associazioni sportive dilettantistiche devono essere in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI, quale garante dell’unicità dell’ordinamento sportivo nazionale ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni. Al fine di beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dal legislatore, è dunque necessario il riconoscimento ai fini sportivi operato dal CONI, tale riconoscimento si esplica attraverso l’iscrizione nel Registro Nazionale delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche tenuto, appunto, dal CONI. In considerazione della mancata iscrizione al Registro Nazionale delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche, l’Urbino RAGIONE_SOCIALE, non poteva accedere ai benefici fiscali previsti dalla legge 398/1991. L’assenza della natura sportiva dell’associazione collocherebbe questa tra i cosiddetti enti no profit, tuttavia tenuto conto che la stessa è priva della cosiddetta struttura aperta (assenza della natura associativa) e ha conseguito esclusivamente entrate commerciali, a norma degli articoli 149 del DPR 917/1986 e art. 4 comma 9 del DPR n. 633/72, l’Ufficio ha ritenuto corretto collocare l’RAGIONE_SOCIALE tra gli enti aventi finalità lucrativa. L’Ufficio conferma che l’autore materiale delle violazioni è da individuarsi nella persona di COGNOME NOME, legale
rappresentante dell’ente, che ha sottoscritto la dichiarazione dei redditi presentata. Alla stregua di quanto precede, l’Ufficio ritiene legittimo il proprio operato e rigetta, quindi, le memorie difensive » ) emerge chiaramente il contenuto motivazionale dello stesso in ordine ai rilievi presentati dal ricorrente in data 9 luglio 2015 a seguito della notifica dell’atto di contestazione delle sanzioni avvenuta in data 12 maggio 2015.
5.3 La doglianza correlata al presupposto atto di contestazione delle sanzioni n. CODICE_FISCALE/2015 è, poi, inammissibile perché censura un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, avendo i giudici di secondo grado affermato, a pag. 3 della sentenza impugnata, che « l’atto di irrogazione delle sanzioni era stato preceduto dall’atto di contestazione autonoma, sicchè COGNOME ben ha potuto difendersi nella fase procedimentale », così sostanzialmente evidenziando che il ricorrente disponeva degli elementi sufficienti per approntare le proprie difese e che la motivazione dell’avviso di irrogazione della sanzione conteneva tutte le indicazioni necessarie alla compiuta difesa del contribuente, essendo stati correttamente riportati gli elementi rilevanti di cui si lamentava la mancata allegazione.
5.4 Il motivo è pure manifestamente infondato con riguardo al PVC della Guardia di Finanza e all’atto di contestazione delle sanzioni , dovendosi richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’atto impugnato, con esclusione di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., 14 gennaio 2015, n. 407; Cass., 2 luglio 2008, n. 18073), così nella vicenda in esame dove il PVC della Guardia di Finanza è stato notificato il 19 dicembre 2014 (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata) e l’atto di contestazione delle sanzioni n. TQ9C01T00395/2015 è stato notificato il 12 maggio 2015 (cfr. pag. 3 del ricorso per cassazione).
5.5 Il motivo è, in ultimo, manifestamente infondato anche con riferimento all’avviso di accertamento n. TQ9041T00631/2015 (che il ricorrente assume essere stato emesso come elemento presupposto solo in corso di causa), che risulta trascritto nel suo contenuto essenziale nell’atto di irrogazione delle sanzioni oggetto di impugnazione il cui contenuto (sopra riportato) è stato richiamato nel ricorso per cassazione e trascritto nella prima memoria. Ciò, peraltro, ha trovato conferma nella pronuncia impugnata che, a pag. 2, ha precisato che le sanzioni erano state irrogate, in relazione alle violazioni contestate con l’atto di accertamento, così sostanzialmente affermando che la motivazione doveva trovare fondamento nell’avviso di accertamento delle violazioni finanziarie. Nello specifico, l’Ufficio ha disconosciuto l’applicazione del regime agevolativo previsto dalla legge n. 398 del 1991 e ha determinato in capo all’ente i redditi imponibili e l’Iva dovuta, cui ha fatto seguito l’a tto di irrogazione delle sanzioni emesso nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME quale legale rappresentante dell’Associazione Sportiva Urbino RAGIONE_SOCIALE e responsabile delle sanzioni, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997 (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
6. Il sesto motivo deduce la nullità della sentenza, ex art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. (omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’atto impositivo per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c.) con riferimento agli artt. 112 e 132, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 111 Cost.. La sentenza gravata risultava nulla per omessa pronuncia, avendo la C.T.R. (recte: Corte di Giustizia tributaria di secondo grado) omesso di vagliare l’eccezione in parola rispetto alle ragioni espresse in punto alla delega per respingere l’appello dell’odierno ricorrente. Il Giudice anconetano avrebbe dovuto accertare e dichiarare che l’Ufficio non aveva dimostrato che il sottoscrittore dell’atto impositivo, dott. NOME COGNOME rivestisse la qualifica di
funzionario appartenente alla carriera direttiva (Area Terza funzionale, ex nono livello) al momento della sottoscrizione dell’atto irrogativo delle sanzioni (17 giugno 2016) e, per l’effetto, accogliere l’appello di COGNOME NOME, con conseguente annullamento dell’atto impositivo a suo tempo impugnato, stante il mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere di dimostrare l’esistenza della qualifica di cui all’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in presenza di specifica contestazione formulata dal ricorrente nel ricorso introduttivo e riproposta nell’atto di appello.
6.1 Il motivo è inammissibile perché ancora una volta censura la sentenza impugnata deducendo il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e il vizio di omessa motivazione, che, come già precisato, sono vizi tra di loro eterogenei, con la conseguenza che l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268).
7. Il settimo motivo deduce la violazione degli artt. 42, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c.. Sulla base delle stesse considerazioni formulate al punto precedente emergeva un ulteriore profilo di nullità della sentenza gravata sotto l’aspetto della violazione di legge. La sentenza gravata era nulla emergendo ex actis che, pur avendo l’odierno ricorrente contestato la qualifica del funzionario sottoscrittore e la sua appartenenza alla terza area funzionale nel momento in cui era stato sottoscritto l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. TQ9IR1T00037/2016 (17 giugno 2016), l’Ufficio aveva omesso di produrre i documenti a riprova della qualifica del funzionario sottoscrittore prevista a pena di nullità dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973. Il Giudice di merito avrebbe dovuto accertare e dichiarare che l’odierno ricor rente aveva contestato la qualifica del funzionario sottoscrittore e la sua appartenenza alla terza area funzionale, mentre l’Ufficio aveva omesso di produrre i documenti a riprova della qualifica
del funzionario sottoscrittore (appartenenza alla terza area funzionale), e, quindi, considerare definitivamente ed incontrovertibilmente nullo l’atto di irrogazione delle sanzioni in esame.
7.1 Il motivo è infondato.
7.2 Sulla premessa che l’atto impugnato nel presente giudizio è l’atto di irrogazione delle sanzioni (e non già l’avviso di accertamento cui si riferisce specificamente l’art. 42 del d.P .R. n. 600 del 1973), i giudici di secondo grado hanno affermato, a pag. 3 della sentenza impugnata, che la delega di firma e di poteri era stata regolarmente prodotta in giudizio dell’Ufficio, profilo che secondo la prospettazione del ricorrente non era quello dedotto specificamente nel giudizio, che riguardava, piuttosto, la mancata prova della qualifica di funzionario appartenente alla carriera direttiva del sottoscrittore dell’atto impositivo, dott. NOME COGNOME al momento della sottoscrizione dell’atto di irrogazione delle sanzioni.
7.3 Ciò posto, il Collegio intende dare continuità all’orientamento di questa Corte di legittimità secondo il quale « In tema di contenzioso tributario, la provenienza di un atto da parte dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza » (Cass., 10 gennaio 2025, n. 694; Cass., 16 luglio 2016, n. 15470; Cass., 21 marzo 2014, n. 6691; Cass., 9 gennaio 2014, n. 220). 7.4 Più in particolare è stato affermato che « l’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate è rappresentato in giudizio dal titolare dell’organo che, qualora non intenda trasferire il potere di rappresentanza processuale ad altro funzionario, può demandare, nell’esercizio dei poteri di organizzazione e gestione delle risorse umane, la sola materiale sottoscrizione dell’atto difensivo ad un ‘delegato alla firma’, mero sostituto nell’esecuzione di tale
adempimento, sicché, ove l’atto difensivo sia stato sottoscritto dal delegato alla firma con la chiara indicazione della relativa qualità (ad esempio, con formula ‘per il dirigente’), l’ufficio periferico deve presumersi ritualmente costituito in giudizio a mezzo del dirigente legittimato processualmente, non essendo sufficiente la mera contestazione per fare insorgere l’onere in capo all’Amministrazione finanziaria di fornire la prova dell’atto interno di organizzazione adottato dal dirigente. Salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza » (Cass., 10 gennaio 2025, n. 694; Cass., 2 febbraio 2017, n. 2835; Cass., 26 luglio 2016, n. 15470).
7.5 Questa Corte ha pure affermato che la provenienza dell’atto stesso dall’Ufficio competente sussiste anche laddove l’atto rechi in calce la firma illeggibile del funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, « finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà» (Cass., 29 gennaio 2013, n. 1949) ed ancora che « Nell’ipotesi atto sottoscritto dal delegato dal direttore non basta contestare genericamente tale circostanza ma è necessario che sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o, comunque, l’usurpazione del potere espresso nell’atto » (Cass., 21 dicembre 2012, n. 23081; Cass., 3 febbraio 2012, n. 1559; Cass., 28 giugno 2012, n. 11020).
7.6 Mette conto rilevare, in ultimo, che la sottoscrizione a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, è requisito previsto specificamente dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in tema di avviso di accertamento e che secondo l’orientamento di questa Corte, sono nulli gli accertamenti in rettifica e
gli accertamenti d’ufficio tutte le volte che gli avvisi non risultino sottoscritti dal capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo, con la conseguenza che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento – atto della p.a. a rilevanza esterna – da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità dalle norme citate (Cass., 27 ottobre 2000, n. 14195 e, più di recente, Cass., 26 febbraio 2020, n. 5177) e che, se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare, ma di un funzionario della carriera direttiva incombe all’Amministrazione, stante l’espressa previsione della sanzione di nullità dell’atto, di cui all’art. 42 del d.P .R. n. 600 del 1973, dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poiché il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. 11 ottobre 2012, n. 17400; cfr. anche Cass. 14942 del 2013). Inoltre, è stato pure precisato, sempre con riferimento all’avviso di accertamento, che « In tema d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’avviso di accertamento, a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il cit. art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto “agenzie fiscali” per il quadriennio 2002-2005, da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente ». (Cass., 10 dicembre 2019, n. 32172).
7.7 Più in particolare, è stato evidenziato che le qualità professionali di chi emana l’atto costituiscono una essenziale garanzia per il contribuente, fatta eccezione per specifici contesti fiscali, quali ad esempio la cartella esattoriale (Cass., 27 luglio 2021, n. 13461, il diniego di condono (Cass., 9 gennaio 2014, n. 220), l’avviso di mora (Cass., 23 febbraio 2010, n. 4283), l’attribuzione di rendita (Cass., 7 aprile 2006, n. 8248), dove, in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato (Cass., 2 dicembre 2015, n. 24492; Cass., 31 ottobre 2018, n. 27871). 7.8 In conclusione, il motivo va rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: « In tema d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto, atteso il principio della tassatività delle nullità, in mancanza di una disposizione espressa, la sanzione prevista dagli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’avviso di accertamento che non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, non trova applicazione riguardo all’atto di irrogazione delle sanzioni per il quale vale la generale presunzione di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato ».
8. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato , con l’ulteriore precisazione che la pendenza in sede di legittimità del giudizio avente ad oggetto la pretesa tributaria cui è collegato l’atto di irrogazione delle sanzioni non pregiudica la decisione della causa, in quanto ricorrerebbe, al più, un’ipot esi di sospensione facoltativa ex art. 337, comma secondo, c.p.c., di cui comunque non ricorrono i presupposti, e che l’eventuale giudicato favorevole al contribuente , si estenderebbe, in virtù dell’effetto espansivo del giudicato di cui all’art.
336, comma secondo, c.p.c., anche nei confronti delle sanzioni direttamente dipendenti dalla statuizione sulla pretesa erariale. In altri termini, per effetto dell’applicabilità del citato art. 336, comma 2, c.p.c. (nel quale, non a caso, si pone riferimento, oltre che agli atti, “ai provvedimenti” dipendenti) – che verrebbe ad assumere il ruolo di “norma di chiusura” (esplicante, cioè, la funzione di una sorta di “valvola di sicurezza”) – la sentenza (già eventualmente) passata in giudicato sulla causa pregiudicata sarà colpita di riflesso in forza dell’effetto espansivo esterno conseguente alla riforma o alla cassazione della sentenza che definisce la causa pregiudiziale, ristabilendosi – ancorché ex post – l’armonia tra i giudicati (così si è espressa Cass., sez. un., 29 luglio 2021, n, 21763 e, da ultimo, Cass., 22 settembre 2023, n. 27164; Cass., 25 marzo 2024, n. 7952 del 2024, Cass., 13 dicembre 2024, n. 32265; Cass., 9 maggio 2025, n. 12258). 9. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, con onere a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 29 maggio 2025.