Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34364 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34364 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
IRAP AUTONOMA ORGANIZZAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06880/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti, elettivamente domiciliato presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 3882/11/22 depositata in data 15/09/22;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME Franco, esercente l’attività di intermediario finanziario, richiedeva il rimborso dell’IRAP versata, negli anni dal 2014 (saldo) al 2018 per l’importo complessivo di € 92.851,96. Sull’istanza si formava il silenzio rifiuto dell’Ufficio.
Avverso il rifiuto dell’Amministrazione il contribuente proponeva ricorso presso la Commissione tributaria provinciale di Rieti insistendo per la legittimità del rimborso in assenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione circa la propria attività professionale. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza della pretesa. Con la sentenza n. 125/1/2020 depositata il 27/11/2020 la Commissione tributaria provinciale di Rieti accoglieva il ricorso e compensava le spese di lite.
Avverso detta pronuncia proponeva appello l’Agenzia delle Entrate. NOME COGNOME si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n. 3882/11/2022 depositata il 15/9/2022 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello e condannava il contribuente alle spese del primo e del secondo grado di giudizio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME con impugnazione affidata a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 28/11/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la difesa di NOME Franco deduce violazione e falsa applicazione, in combinato disposto, degli artt. 2 e 3, comma 1, lett. b) e 5 bis del d.lgs. n. 446/1997, e 2697 c.c., nonché degli artt. 3 e 53 cost. (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.).
1.1. In particolare il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza che in violazione delle norme invocate e dei principi affermati dalla Corte di cassazione in materia, avrebbe ritenuto sussistenti nella fattispecie i presupposti per l’imponibilità Irap nonostante il ricorrente avesse fornito la prova che l’organizzazione della sua attività di promotore finanziario fosse limitata al minimo
indispensabile e che non vi fossero spese per personale stabilmente impiegato. Osserva il ricorrente che i ricavi -sebbene elevati -non sarebbero di per sé decisivi ai fini della autonoma organizzazione e che le spese sostenute sarebbero relative a prestazioni e servizi estranei al concetto di organizzazione.
1.2. Per condurre la delibazione del vizio dedotto occorre considerare, innanzi tutto, che la sentenza impugnata motiva come di seguito: «tuttavia dall’esame dei costi relativi agli anni in questione, prodotti dalla parte, emerge la prova di una serie di impegni posti in essere dal consulente finanziario, che denunciano proprio uno sforzo organizzativo per ottenere risultati migliori. Al riguardo, non può negarsi il rilievo di tipo organizzativo, che risulta dalla somma annuale di circa 50.000 euro in spese di pubblicità, finalizzate ad un’incidenza positiva sul ricavato; né è irrilevante e sempre finalizzata ad ottimizzare le entrate, la spesa per la collaborazione, ancorchè saltuaria, di procacciatori di affari, di volta in volta ed ogni anno compensati con somme di diverse migliaia di euro. Od ancora, sarebbe onere del contribuente, secondo il principio sopra ricordato, dare prova che la rilevante spesa annuale per altri servizi deducibili che emergono dai rendiconti annuali (anno 2014: € 6.462,65; anno 2015: € 4.909,72; anno 2017: € 67.643,87; anno 2018: € 10.927,91) non attiene a spese organizzative volte ad accrescere il proprio fatturato. In definitiva, ritiene questa CTR che, non solo NOME COGNOME non ha dato prova che le rilevanti spese non attengono a profili organizzativi, ma che risulta in atti la prova positiva che diverse spese e costi superano quel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività dello studio in assenza di organizzazione».
1.3. Orbene, ritiene il collegio che la motivazione della pronuncia non si discosti dai principi di diritto desumibili dalla normativa richiamata e affermati dalla giurisprudenza di legittimità. La sentenza conduce un esame del materiale istruttorio acquisito in
atti e valorizza gli elementi che, in senso positivo, valgono a connotare l’organizzazione della attività lavorativa del ricorrente come non limitata all’indispensabile. La motivazione è coerente ed è legata ad emergenze istruttorie incontestate e documentate (elevate spese di pubblicità per ciascun anno, spese per collaboratori) e non presenta vizi nella qualificazione giuridica della fattispecie concreta.
1.4. Il motivo è, poi, inammissibile nella parte in cui sollecita la Corte, oltre che ad un riesame logico giuridico, alla ripetizione del ragionamento probatorio condotto dalla Commissione tributaria regionale per sollecitare una diversa valutazione delle prove emerse in giudizio. Si tratta, infatti, di un giudizio di merito istruttorio sottratto procedimento di legittimità (in tal senso Cass. 21/03/2012, n. 4492; Cass. 25/09/2019, n. 23869).
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce nullità della sentenza, per violazione degli artt. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., 36, primo comma, n. 4, d.lgs. n.546/1992, 111, sesto comma, cost., 118 disp. att. e 6 Cedu, violazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, motivazione omessa nella sua declinazione di motivazione apparente; contrasto con i principi elaborati dalla Corte Edu, violazione degli artt. 6, § 1 della Cedu, 47 e 52 § 3 della cdfue’ (art. 360, primo comma, n. 4. c.p.c.).
2.1. La sentenza sarebbe nulla perché avrebbe omesso un reale esame del materiale probatorio offerto e non avrebbe esplicitato un percorso logico.
2.2. Il motivo è infondato. La sentenza esamina le emergenze istruttorie e ne dà una lettura coerente ed intellegibile, come riportata innanzi sub. 1.2.. Circa la pretesa nullità della sentenza va considerato l’orientamento di questa Corte secondo il quale: «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per
cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090). La motivazione della sentenza è presente, graficamente e logicamente, è legate all’esame del materiale istruttorio, non presenta vizi di logicità e supera il minimo costituzionale così come definito dal principio di diritto richiamato. Il secondo motivo di ricorso va, allora, respinto.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la nullità della sentenza, violazione degli artt. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., 36, primo comma, n. 4, d.lgs. n. 546/1992, 111, sesto comma, cost., 118 disp. att. e 6 Cedu, violazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, motivazione contraddittoria circa la ritenuta rilevanza del ‘valore assoluto del compensi e dei costi sostenuti’ (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). La difesa del ricorrente lamenta, in sostanza, che la sentenza avrebbe affermato il principio secondo il quale il valore assoluto dei compensi e dei costi sostenuti non è decisivo ai fini della stabile organizzazione ma non lo avrebbe poi applicato perché se lo avesse rettamente applicato, si sarebbe imposta l’esclusione della imponibilità Irap del contribuente.
3.1. In ordine alla pretesa nullità della sentenza sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, fermo restando quanto osservato sub. 2.2. circa l’insussistenza della nullità della motivazione sotto gli altri profili dedotti, va osservato quanto
segue. La motivazione afferma in generale di essere consapevole del principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale la autonoma organizzazione quale presupposto di imponibilità ai fini Irap non può desumersi in via esclusiva dalla entità dei costi sostenuti e dal valore assoluto dei compensi percepiti e, tuttavia, prosegue la motivazione, nella attività del contribuente si ravvisano costi che, non per la loro entità ma per la loro natura e destinazione, sono idonei a travalicare il concetto di organizzazione indispensabile ma valgono a definire una autonoma organizzazione. La motivazione non incorre, allora, in alcuna contraddizione perché, dopo aver richiamato in via generale il principio in questione, la sentenza definisce l’autonoma organizzazione e l’imputabilità ai fini Irap in base ad altri presupposti che non valgono a violare la vigenza del principio in questione. Il terzo motivo di ricorso deve, per queste ragioni, essere respinto.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. omesso esame delle difese e delle prove depositate in giudizio (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). Il ricorrente lamenta che la sentenza avrebbe omesso di considerare la prova, in realtà offerta dal contribuente, circa l’essenzialità dei suoi strumenti di lavoro e l’insussistenza del presupposto della autonoma organizzazione.
4.1. Il motivo è infondato innanzi tutto perché privo di riscontro all’esame della motivazione. La sentenza non omette di considerare quanto dedotto e dimostrato dal ricorrente, ma nella valutazione del complessivo materiale istruttorio, del quale dà conto, ritiene di valorizzare elementi ulteriori che valuta come decisivi al fine di configurare la autonoma organizzazione. Il Collegio non ravvisa alcuna nullità della sentenza sotto il profilo dell’omesso esame. La
motivazione esamina il materiale istruttorio e definisce in modo compiuto l’organizzazione del lavoro del contribuente.
Il ricorso è, allora, infondato e va rigettato, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila) complessive, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 28 novembre