Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17453 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17453 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17955/2016 R.G. proposto da COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, SEZIONE STACCATA DI BRESCIA, n. 71/67/2016 depositata l’11 gennaio 2016
udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 6 maggio 2025 dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME il quale ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Cremona dell’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME un avviso di accertamento relativo all’anno 2008 con il quale contestava l’omessa dichiarazione dei redditi da questi asseritamente impiegati per investimenti finanziari detenuti in Paesi a regime fiscale privilegiato, procedendo alle conseguenti riprese a tassazione ai fini dell’IRPEF anche in ordine ai frutti civili presuntivamente prodotti dai capitali investiti, calcolati in misura pari al tasso di cui all’art. 6 del D.L. n. 167 del 1990, convertito in L. n. 227 del 1990.
L’atto impositivo faceva sèguito a ll’a ttività di indagine scaturita dal rinvenimento, all’interno di una valigetta nella disponibilità del COGNOME ispezionata da militari del Gruppo di Ponte Chiasso della Guardia di Finanza di Como, di un contratto preliminare di compravendita dallo stesso concluso con la RAGIONE_SOCIALE , società registrata nelle Seychelles, avente ad oggetto un immobile da costruire in Dubai (Emirati Arabi Uniti).
Secondo la tesi dell’Ufficio, i versamenti effettuati in quell’anno dal contribuente a mezzo di assegni bancari emessi a favore della prefata società, sebbene apparentemente finalizzati all’acquisto dell’immobile innanzi descritto, rappresentavano, in realtà, un investimento di capitali all’estero realizzato attraverso il deposito di somme su un conto corrente svizzero intestato alla simulata promittente venditrice.
Il COGNOME impugnava l’a vviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona, sostenendo che i pagamenti contestati si riferivano a un’operazione immobiliare realmente avvenuta, e non invece a un investimento di natura finanziaria costituito mediante redditi sottratti a tassazione in Italia. Il giudice adìto respingeva il ricorso con pronuncia successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, la quale, con sentenza n.
71/67/2016 dell’11 gennaio 2016, respingeva l’appello della parte privata.
A sostegno della decisione adottata i giudici regionali osservavano che: – l ‘appellante non aveva offerto «prove adeguate e certe a supporto delle proprie tesi difensive» ; -i rilievi mossi dall’Ufficio apparivano fondati, in quanto: (a)la richiesta di restituzione delle somme versate era stata per la prima volta proposta dal COGNOME soltanto dopo due anni dalla scadenza del termine convenzionalmente stabilito per la consegna del bene promessogli in vendita; (b)la promittente venditrice aveva garantito una rendita futura del 6% nel caso in cui il promissario acquirente avesse accettato la proposta alternativa di acquisto di una diversa unità immobiliare; (c)non avendo il contribuente compilato il quadro RW della dichiarazione dei redditi, in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale imposti dall’art. 4, commi 1 e 2, del D.L. n. 167 del 1990, legittimamente era stata applicata nei suoi confronti la presunzione di fruttuosità degli investimenti esteri sancita dall’art. 6 dello stesso decreto.
Contro questa sentenza la parte privata soccombente ha spiegato ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata chiamata all’odierna pubblica udienza per la discussione orale.
Nel termine stabilito dal comma 1 dell’art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero ha depositato memoria, concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 4, commi 1 e 2, del D.L. n. 167 del 1990, convertito in L. n. 227 del 1990.
1.1 Si rimprovera alla CTR di aver a torto ritenuto che il contribuente non avesse assolto l’onere della prova contraria posto a suo carico, nonostante fossero stati prodotti in giudizio il contratto preliminare di compravendita di immobile da costruire da lui concluso con la RAGIONE_SOCIALE e gli assegni bancari emessi in favore di quest’ultima, tutti regolarmente incassati.
1.2 Viene pure contestato al collegio regionale di aver omesso di esaminare la mail del 23 marzo 2011 inviata dal COGNOME a tale COGNOME, referente della predetta società.
Da tale documento sarebbe stato possibile inferire che l’odierno ricorrente, una volta appreso che l’immobile promesso in vendita non era stato consegnato né costruito nel termine convenuto, aveva immediatamente ricercato una soluzione alternativa.
1.3 I giudici d’appello avrebbero, inoltre, erroneamente attribuito rilievo alla promessa di una rendita futura del 6% contenuta nella mail del 18 marzo 2011 trasmessa al COGNOME dal prefato COGNOME, nonché alla mancata compilazione da parte del contribuente del quadro RW della dichiarazione dei redditi, nel quale, fino all’anno d’imposta 2008, dovevano essere indicati i soli investimenti esteri che avessero prodotto redditi imponibili in Italia nel periodo di riferimento.
1.4 Il motivo è infondato e presenta anche profili di inammissibilità.
1.5 Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione del precetto posto dall’art. 2697 c.c. ricorre nella sola ipotesi in cui il giudice abbia addossato l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece quando oggetto di censura sia la valutazione che il giudice medesimo abbia svolto delle prove proposte dalle parti, essendo questa sindacabile in cassazione entro i ristretti limiti stabiliti dal novellato art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. (cfr., ex
multis , Cass. n. 4315/2025, Cass. n. 28520/2024, Cass. n. 30026/2023, Cass. n. 32923/2022).
1.6 Orbene, nella presente fattispecie la CTR non ha affatto invertito l’onere della prova fra le parti.
Essa, infatti, una volta accertato che il COGNOME aveva compiuto un investimento di natura finanziaria in Stato estero a regime fiscale privilegiato e che in relazione a tale investimento non risultava osservato l’obbligo di monitoraggio fiscale sancito dall’art. 4, commi 1 e 2, del D.L. n. 167 del 1990, ha ritenuto operante a carico del contribuente la presunzione di cui all’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009.
Quindi, è passata a valutare la prova contraria offerta dalla parte privata, reputandola inidonea al superamento della cennata presunzione.
1.7 Esclusa, pertanto, la configurabilità del prospettato « error in iudicando» , la sollevata censura finisce per risolversi in un’inammissibile critica all’apprezzamento delle risultanze probatorie espresso dal collegio d’appello.
Con il secondo motivo, anch’esso proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, del D.L. n. 167 del 1990 e dell’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009.
2.1 Si assume che avrebbe errato la CTR nell’affermare che il contribuente era tenuto alla compilazione del quadro RW e che nei suoi confronti operava la presunzione di cui all’art. 12, comma 2, del citato D.L. n. 78 del 2009, non avendo essa considerato che nel caso di specie si era in presenza di un’operazione immobiliare, e non di un investimento di natura finanziaria.
2.2 Il motivo è inammissibile, in quanto presuppone una diversa ricostruzione della «quaestio facti» rispetto a quella compiuta dai giudici di seconde cure, i quali, come si è visto, hanno accertato
che nell’anno 2008 il COGNOME realizzò un investimento di natura finanziaria in Paese estero a fiscalità privilegiata, omettendo di dichiararlo al Fisco italiano.
2.3 Occorre, al riguardo, tener presente che, secondo il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, la denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 2711/2025, Cass. n. 16442/2024, Cass. n. 18446/2019), finendosi altrimenti per trasformare surrettiziamente il giudizio di legittimità in un non consentito terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 34817/2022, Cass. n. 15568/2020).
2.4 Per quanto precede, la doglianza in scrutinio non può, dunque, trovare ingresso.
Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4) e 5), c.p.c., sono prospettate la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78 del 2009 e all’art. 2728, comma 2, c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
3.1 Si imputa alla Commissione regionale di aver omesso di statuire sull’eccezione del COGNOME volta a dimostrare che la provvista da lui utilizzata per il contestato investimento estero proveniva dalla precedente vendita di due unità immobiliari di sua proprietà.
3.2 Tale circostanza, viene soggiunto, costituiva anche un fatto decisivo e controverso che il collegio di secondo grado avrebbe tralasciato di valutare.
3.3 Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
3.4 Non sussiste il denunciato vizio di omessa pronuncia, risultando
palese come la tesi difensiva del contribuente sia stata implicitamente disattesa dal collegio di appello nel momento in cui ha ritenuto insuperata la presunzione «iuris tantum» che l’investimento finanziario oggetto di causa fosse stato costituito mediante redditi sottratti a tassazione.
3.5 Il profilo di censura dedotto sub specie di omesso esame di un fatto decisivo e controverso va, invece, incontro a una declaratoria di inammissibilità, atteso che, in presenza di una duplice conforme pronuncia di merito (cd. «doppia conforme»), il ricorso per cassazione è proponibile esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art. 360, comma 1, c.p.c., in base al combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 348 -ter del medesimo codice, vigente «ratione temporis» e applicabile anche alle sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie Regionali, ora Corti di giustizia tributaria di secondo grado (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014); né l’impugnante, onde sfuggire all’anzidetta preclusione, si è premurato di dimostrare la diversità delle ragioni di fatto poste a fondamento, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (cfr. Cass. n. 26934/2023, Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/2016).
Per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di
legittimità, liquidate in complessivi 2.300 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione