Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33602 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33602 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
Oggetto: accertamento – inutilizzabilità documenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23899/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Schweinfurt (Germania) in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa nel presente giudizio di legittimità dall’ avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) giusta procura speciale rilasciata dinanzi a notaio dr. NOME COGNOME al n. di protocollo B1689/23 e munita di apostille (allegata al ricorso)
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sez. distaccata di Pescare n. 306/07/2023 depositata in data 24/04/2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 05/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società contribuente impugnava l’avviso di accertamento n. 25006A200713/2017 con il quale era richiesto il pagamento di complessivi 3.789.050,00 €, oltre interessi e sanzioni, a titolo di maggiore Iva per omessa fatturazione ed infedele dichiarazione relativamente al periodo d’imposta 2012;
la CTP accoglieva il ricorso; appellava l’Ufficio;
la CTR accoglieva l’appello, ritenendo che i documenti versati in atti dalla società, non potevano essere considerati probanti dell’avvenuta ricezione della merce in Germania difettando, tra l’altro, gli elenchi riepilogativi Intrastat; le fatture, la documentazione bancaria e la copia di tutti gli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che avevano dato origine alla cessione ed al trasporto dei beni;
Cons. Est. NOME COGNOME 2 – secondo la sentenza qui appellata, la società non aveva quindi sodisfatto l’onere che incombeva a mente dell’art. 2697 c.c.; inoltre, la CTR osservava anche che la contribuente aveva prodotto la documentazione con il notevole ritardo di quasi due anni e solo in corso di causa con le memorie del 18 giugno 2019 avendo tenuto in non cale l’invito ad esibire ex art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 notificatogli il 19 settembre 2017 che pur annoverava specificamente gli atti richiesti ossia ‘con particolare riguardo alle operazioni intraprese con la società RAGIONE_SOCIALE, tutta la documentazione contabile, commerciale e fiscale (contratto di fornitura e/o ordini di acquisto, mezzi di pagamento, elenco clienti con specifica della posizione creditoria/debitoria iniziale, finale e delle operazioni complessivamente effettuate, fatture emesse, documenti di trasporto ed ogni altra documentazione utile)’, con
l’avvertimento che ‘le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non presentati o non inviati in risposta agli inviti dell’ufficio non potranno essere presi in considerazione a Suo favore ai fini dell’accertamento, sia in sede amministrativa, sia in sede di contenzioso (art. 32 del DPR n. 600/1973)’;
ricorre a questa Corte la società contribuente con atto affidato a quattro motivi che illustra con memoria;
resiste l ‘Amministrazione Finanziaria con controricorso;
Considerato che:
va rilevato che la CTR, oltre a ritenere non fornita la prova di cui si è detto, ha in primo luogo e soprattutto dapprima ritenuto -senza far vero e proprio riferimento ai fini motivazionali ai c.d. CMR di cui alla disciplina dei tributi doganali, poiché tale espressione è resa unicamente ad colorandum , costituendo quindi obiter dictum della sentenza in argomento -non utilizzabile la documentazione prodotta dal contribuente a sua difesa;
nel concreto, quindi, tale decisione si fonda sul non esser stata fornita la prova della fuoriuscita dei beni dal territorio dello Stato in quanto tale prova difetta poiché (con accertamento in fatto e valutazione in diritto che si pongono logicamente e giuridicamente ‘a monte’ di quanto appena enunciato) sono risultati inutilizzabili i documenti che a tal fine sono stati prodotti dal contribuente;
essi invero solo stati resi disponibili successivamente all’invio del questionario e alla scadenza del termine ivi indicato per la loro trasmissione all’Ufficio richiedente;
Cons. Est. NOME COGNOME 3 – venendo ai motivi di ricorso, va esaminato per primo, per ragioni di coerenza logica e rilevanza giuridica, il quarto motivo di impugnazione; – esso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 del d.P.R. 633 del 1972 in combinato disposto con l’art. 32, quarto comma del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.; secondo la ricorrente, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado
risulta aver violato le disposizioni all’epigrafe, allorché ha ritenuto che furono prodotti dalla odierna ricorrente al fine di documentare le cessioni intracomunitarie, in quanto prodotti oltre il termine per la risposta al questionario inoltrato dall’Ufficio, così decretandone ;
– il motivo è infondato;
è pacifico, per essere espressamente confermato in ricorso al punto 4.2.1. dell’atto, che ‘In risposta al questionario ridetto la contribuente dedusse (come anche spiegato a pag. 6 del ricorso in primo grado e delle controdeduzioni in appello): .’;
orbene, per costanza giurisprudenza di questa Corte (tra moltissime Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4662 del 21/02/2024) in tema di accertamento tributario, il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa, previsto ex art. 52, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972, presuppone che vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ed opera non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma
anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti, o li sottragga all’ispezione non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.);
ebbene, nella fattispecie la CTR ha rispettato tale principio, avendo premesso in diritto dapprima che ‘Mediante detto richiamo al secondo e al terzo comma dell’art. 32 del DPR n. 600/1973, è previsto espressamente che le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa, salvo che, ex ultimo comma del detto art 32, il contribuente, nel versare detti atti, non rappresenti l’impossibilità per cause a lui non imputabili’; essa ha quindi accertato in fatto che ‘non ricorrendo quest’ultima condizione, se ne deve dedurre la totale inutilizzabilità degli atti tardivamente prodotti e quindi la loro inutilizzabilità sotto l’aspetto probatorio con loro espunzione dal fascicolo’;
Cons. Est. NOME COGNOME 5 – quanto poi alla analiticità della richiesta, la sentenza impugnata ha specificato di avere sempre in fatto accertato che la società ha ‘… tenuto in non cale l’invito ad esibire ex art. 51 del DPR n. 633/1972 notificatogli il 19.9.2017 che pur annoverava specificamente gli atti richiesti ossia ‘con particolare riguardo alle operazioni intraprese con la società RAGIONE_SOCIALE, tutta la documentazione contabile, commerciale e fiscale (contratto di fornitura e/o ordini di acquisto, mezzi di pagamento, elenco clienti con specifica della posizione creditoria/debitoria iniziale, finale e delle operazioni complessivamente effettuate, fatture emesse, documenti di trasporto ed ogni altra documentazione utile)’, con l’avvertimento che ‘le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non presentati o non inviati in risposta agli inviti dell’ufficio non potranno essere presi in considerazione a Suo favore ai fini dell’accertamento, sia in sede
amministrativa, sia in sede di contenzioso (art. 32 del DPR n. 600/1973)’;
è allora evidente che sussistevano i requisiti di fatto e di diritto per ritenere, come correttamente ha operato la sentenza di merito, inutilizzabili detti documenti;
alla luce della decisione che precede, il primo motivo – che censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 41 D.L. n.331 del 1993 in relazione all’art. 360, comma 1 n.3 c.p.c. per avere la pronuncia di appello errato laddove ha erroneamente ritenuto applicabile alle transazioni intracomunitarie e, soprattutto, alla corretta disciplina della prova della fuoriuscita del territorio dello stato a carico del cedente, il (diverso) regime previsto per le cessioni alle esportazioni, disciplinate dall’art. 8 del D.P.R. n. 633 del 1972 -diviene inammissibile per difetto di interesse, non potendo il suo accoglimento condurre a diverso esito del presente giudizio;
il secondo motivo si duole della mancanza assoluta di motivazione della sentenza sotto il profilo della contraddittorietà e della illogicità manifesta (con conseguente motivazione apparente); si denuncia violazione degli artt. 111 Cost. 36, comma 2, n. 4, del d. Lgs. n. 546 del 1992 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c.; secondo parte ricorrente, la sentenza della CTR si manifesta insanabilmente nulla per assenza di una motivazione purchessia, quella graficamente riscontrabile nel provvedimento giurisdizionale essendo meramente apparente e comunque manifestamente illogica e contraddittoria;
il motivo è manifestamente infondato;
la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d. Lgs. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. si configura quando la motivazione «manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto
del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero … essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata» (Cass., Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass.01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598) ; in particolare si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella «perplessa e incomprensibile»; in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali -l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. Un. 03/11/2016, n. 22232e le sentenze in essa citate);
– nel presente caso, la motivazione è chiaramente espressa e tale da far risultare comprensibile l’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla decisione, collocandosi la parte motivazionale della pronuncia impugnata ben al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’;
alla luce della decisione che precede, il terzo motivo -con il quale si chiede la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione di pregiudizialità comunitaria in ordine alla disciplina della prova delle cessioni intracomunitarie -risulta manifestamente infondato;
in conclusione, quindi il ricorso va rigettato;
le spese sono regolate dalla soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 8.200,00 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, con onere a carico delle parti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2024.