Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17786 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17786 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17359/2022 R.G. proposto da :
V.RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Palma Campania INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-SEZ.DIST. SALERNO n. 2113/2022, depositata il 25/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. coop. RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento con sistema analitico induttivo per l’anno di imposta 2014, preceduto da invito a comparire per chiarimenti e produrre documentazione. La documentazione veniva fornita, anche se l’incontro -prima differitopoi non aveva luogo per emergenza covid.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente. Nello specifico, il giudice di appello rilevava degli errori nell’inserimento dei documenti nella cartella ‘ricorrente’ anziché ‘resistente’ da parte dell’Ufficio, poi rimossi a cura della segret eria, riconosceva che il giudice di primo grado aveva giudicato senza esaminare dei documenti, poi prodotti ritualmente in appello, quindi, annullava la sentenza di primo grado, ma confermava la ripresa a tassazione.
Donde la soc. coop. RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art 52 comma 5 Dpr 633/72 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, cpc.
Nello specifico, viene censurata la sentenza impugnata per aver violato l’art. 52 comma 5 DPR 633/72 poiché nel pvc non vi sarebbe alcuna richiesta di ulteriore documentazione, oltre quella esibita dalla parte e non valutata dai verificatori prima e dall’A genzia delle entrate poi, con conseguente erronea valutazione del materiale istruttorio da parte dei primi giudici.
1.2. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, lett. d) Dpr 600/1973 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, cpc.
Con tale motivo si osserva che la CTR, nella sentenza impugnata, ha omesso la valutazione di un punto dell’appello, in relazione all’errata valutazione, da parte dei giudici della CTP, della corretta individuazione del metodo accertativo utilizzato.
1.3. Con il terzo motivo si profila violazione dell’art. 15, comma 2bis, del D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, cpc
Con tale motivo si osserva l’erronea statuizione relativa alle spese del giudizio ed in particolare che non possano essere liquidate le spese all’Ufficio quando, come nel caso de quo, la parte pubblica non è stata assistita in giudizio, ma si è difesa in proprio, mediante funzionari interni all’uopo incaricati.
Il primo motivo è infondato. Il collegio d’appello, a pag. 4, terzo capoverso, dà atto che la parte contribuente abbia partecipato alla formazione del processo verbale di constatazione, in questo modo ritenendosi assolto il confronto endoprocedimentale. In tale sede sono stati esibiti i documenti richiesti dall’Ufficio, oltre a quelli offerti dalla parte. Al capoverso successivo, la sentenza in scrutinio afferma che non possono essere presi in considerazione i documenti non esposti al momento della richiesta. Per contro, la parte ricorrente afferma non aver negato la trasmissione di documenti, perché nessuno le è stato richiesto ed invoca la giurisprudenza di questa Corte per cui debbono rimanere esclusi e dichiarati inutilizzabili solo i documenti di cui è stata chiesta la trasmissione che è stata rifiutata (Cass. V, n. 16548/2018). Non di meno, il PVC, al foglio 2, dà atto della richiesta dei libri e delle altre scritture contabili, con espresso avvertimento che il rifiuto o la mancata esibizione comport a l’inutilizzabilità di tali documenti nelle fasi successive. Si deve quindi ritenere avverata la condizione richiesta dall’orientamento consolidato di questa Suprema Corte di legittimità, per cui i documenti non esibiti al momento dell’invito non possono
essere più prodotti e bene ha fatto dunque la sentenza in scrutinio a non consentirne l’ingresso nel giudizio.
Ed infatti a norma dell’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, perché la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria), richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorrono: 1) la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi, in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento, in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; 2) la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; 3) il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento; pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione (cfr. Cass. V, n. 21798/2022). Tale ultima scriminante non risulta essere stata avanzata, donde opera la presunzione di sostanziale rifiuto.
Neppure il secondo motivo può ritenersi fondato. Vi si contesta l’applicazione del metodo analitico induttivo, in presenza di documentazione parziale e non avendo documentato determinati costi esposti. Fuori fuoco è la censura di parte ricorrente ove cita il PVC degli anni 2015 e 2016 per affermare che il 2014 fosse regolare, quando la regolarità -formaledella contabilità non inibisce l’ulteriore verifica analitica e la valutazione sulla congruenza e documentabilità dei costi realmente sostenuti.
Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. V, n. 1347/2019), «l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. Cass. nn. 20060/2014; 20857/2007; cfr., altresì, Cass. nn. 9084/2017; 14428/2005; con riferimento specifico all’IVA, si veda, altresì, Cass. n. 7184/2009; 6800/2009; 21165/2005); è stato, infine, affermato che «in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, primo comma, cod. civ., l’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e l’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del Giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria» (cfr. Cass. nn. 656/2014; 17574/2009; 8484/2009).
Infondato è altresì il terzo motivo, ove si lamenta la liquidazione delle spese in favore dell’Ufficio che sia stato difeso dai suoi funzionari. Se in primo grado l’Agenzia delle entrate non era costituita ritualmente, lo è stata nel secondo grado e, correttamente, la sentenza in scrutinio richiama la giurisprudenza di questa Corte ove afferma che all’Amministrazione che si difenda in proprio, autorizzata dalla legge, tramite suoi funzionari, spettano i compensi
tabellari previsti per la difesa a ministero di legale, ridotti del 20%. (Cass. V, n. 27634/2021).
In definitiva, il ricorso è infondato e tale va dichiarato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte controricorrente che liquida in €.settemilaottocento,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/06/2025.