Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22503 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 328/2024 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa d all’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in atti;
Indirizzo PEC: EMAIL
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 9771/14/2022, depositata il 17.11.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Agrigento accoglieva il ricorso proposto da COGNOME NOME, esercente l’attività di notaio, avverso l’avviso di
Oggetto:
Tributi
accertamento, relativo ad imposte dirette ed altro, per l’anno d’imposta 2009;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate osservando, per quanto qui rileva, che:
la consulenza tecnica di parte, prodotta solo in sede contenziosa era utilizzabile ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ.;
il primo giudice non aveva esaminato solo l’elaborato del consulente di parte, ma anche la documentazione prodotta, formandosi un proprio convincimento in ordine ai vizi di cui risultava affetto l’atto impositivo;
nel caso in esame non era stata fornita alcuna prova sulla sussistenza di compensi non dichiarati dalla contribuente, desumibili dalle operazioni bancarie, in quanto non tutte le operazioni transitate sui conti correnti della contribuente erano state incluse nell’accertamento, essendo rimaste escluse sia operazioni in uscita afferenti al pagamento di tasse di registro, valori bollati ed altro (pagamenti per conto clienti), sia operazioni in entrata (versamenti da riscossione fatture) che andavano a bilanciare l’accertamento; l’Ufficio aveva proceduto al recupero di operazioni risultanti da conti di servizio delle banche per la ricezione del protesto ed ha tramutato in compensi i relativi importi non riscossi; l’accertamento si fondava su operazioni finanziarie considerate più volte, su operazioni bancarie di segno contrastante che si elidevano a vicenda e su operazioni giustificate dall’appellata con adeguata documentazione;
-l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
NOME COGNOME resisteva con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
-Con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600/1973 e 52 d.P.R. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere il giudice di appello considerato ai fini della decisione documenti che la contribuente aveva prodotto solo in giudizio, sebbene fossero stati richiesti dall’Amministrazione finanziaria già nella fase istruttoria del procedimento tributario con specifico invito corredato dall’avviso d’inutilizzabilità, amministrativa e processuale, degli stessi documenti, laddove non esibiti;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza; -occorre premettere che l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dall’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 quanto all’IVA) prevede che « le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile ».
secondo un orientamento ormai consolidato di questa Corte, « in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell’Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’Amministrazione purché accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco » (Cass. n. 11765 del 26/05/2014; Cass. n. 453 del 10/01/2013; Cass. n. 27069 del 27/12/2016);
-l’omessa o intempestiva risposta sui dati richiesti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento comporta, quindi, ai sensi dell’art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1972, l’automatica inutilizzabilità, amministrativa e processuale, della documentazione prodotta tardivamente, in quanto è direttamente ed oggettivamente riferita alla sussistenza di tale condotta, per il solo fatto oggettivo della mancata trasmissione della documentazione, non essendo richiesto alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte; l’eventuale deroga all’inutilizzabilità deve essere fatta valere dal contribuente con le modalità previste dalla norma entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado (Cass. 22/07/2020, n. 15600, Cass. 22/06/2018, n. 16548; Cass. 23/3/2016, n. 5734);
tale preclusione processuale, peraltro, è prevista a prescindere dalla proposizione, da parte dell’Ufficio, di una tempestiva eccezione e prevale anche rispetto all’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, non potendosi ritenere sanata nemmeno ove l’Amministrazione finanziaria non sollevi la relativa eccezione in sede di udienza di discussione della causa, atteso il carattere perentorio del termine di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973; pertanto, l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa e neppure trova applicazione l’art. 57 d.lgs n. 546 del 1992, che non consente alle parti di proporre in
appello domande ed eccezioni nuove (Cass. n. 1539 del 2024 e Cass. n. 15600 del 2020);
– nel caso in esame, come si evince dal contenuto del ricorso per cassazione, l’Ufficio ha invitato la contribuente fornire « chiarimenti con riguardo ai movimenti finanziari (versamenti e prelevamenti di importo superiore a € 250,00) recati da un supporto informatico allegato allo stesso invito e relativi agli anni 2008, 2009 e 2010 » e « a produrre il registro delle fatture emesse, quello degli incassi e pagamenti, quello degli onorari e quello degli acquisti e vendite ai fini dell’IVA» , convocando il notaio presso i locali dell’Agenzia;
– non risulta, invece, rispettata la sequenza procedimentale prevista dall’art. 32 cit. -condizione necessaria anche alla luce della sentenza n. 137 del 2025 della Corte costituzionale -non avendo l’Amministrazione riportato il contenuto dell’invito ad esibire la documentazione, nella parte in cui risultavano indicati i termini e le modalità con i quali la richiesta di esibizione era stata formulata nei confronti della contribuente, ivi compreso l’avvertimento che, nell’ipotesi di omesso adempimento dell’invito, non sarebbe più stato possibile produrre in giudizio la documentazione richiesta;
– con il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per la disapplicazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546/1992 e 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per avere la CTR fornito, a fronte delle specifiche contestazioni mosse dall’Ufficio appellante, una motivazione perplessa, obiettivamente incomprensibile, apparente e, quindi, sostanzialmente inesistente, avendo indicato genericamente le operazioni bancarie e i documenti asseritamente giustificativi forniti dalla contribuente, formulando un giudizio finale statico e trascurando la specificazione dei fatti e la descrizione sia delle attività di accertamento sia delle attività di giudizio;
il motivo è inammissibile;
è stato più volte affermato che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass. Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata, non è affetta dal vizio di difetto di motivazione o di motivazione mancante, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare la sentenza di primo grado sulla base delle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico di parte che aveva esaminato la documentazione giustificativa fornita dalla contribuente, rilevando, seppure genericamente, che l’appellante non aveva fornito alcuna prova sulla sussistenza di compensi non dichiarati , in quanto ‘ non tutte le operazioni transitate sui conti correnti della contribuente sono state incluse nell’accertamento, essendo rimaste escluse sia operazioni in uscita afferenti al pagamento di tasse di registro, valori bollati ed altro (pagamenti per conto clienti), sia operazioni in entrata (versamenti da riscossione fatture) che vanno a bilanciare l’accertamento; l’Ufficio ha proceduto al recupero di operazioni risultanti da conti di servizio delle banche per la ricezione del protesto ed ha tramutato in compensi i relativi importi non riscossi’;
i giudici di appello hanno, quindi, concluso che ‘l’accertamento impugnato è illegittimo e va cassato’, in quanto si fondava ‘ su operazioni finanziarie considerate più volte, su operazioni bancarie di segno positivo e di segno negativo tra loro collegate e che quindi si
annullano o su operazioni che sono state giustificate con una opportuna documentazione’, esplicitando le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
-in conclusione, il ricorso va rigettato e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in complessivi € 10.000,00 per compenso professionale ed euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso per rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 28 maggio 2025.