Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20114 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20114 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21555 -20 15 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO. NOME COGNOME (pec: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale del predetto difensore;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Oggetto: Tributi -contraddittorio endoprocedimentale -sanzioni -cumulo ex art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997
avverso la sentenza n. 413/35/2015 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata il 3 febbraio 2015; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/02/2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento per IVA, IRES ed IRAP con cui l’amministrazione finanziaria , stante l’omessa presentazione delle dichiarazioni reddituali da parte della RAGIONE_SOCIALE nonché l’omessa e tardiva registrazione di fatture, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della G.d.F., accertava induttivamente, ex art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, il reddito d’impresa della predetta società per l’anno d’imposta 2007, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Sicilia con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva parzialmente l’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, riconoscendo ulteriori oneri deducibili per 25.021,13 euro, con conseguente riduzione del reddito accertato e delle sanzioni irrogate.
Sostenevano i giudici di appello che:
-non vi era stata violazione del contraddittorio endoprocedimentale perché «assicurato con l’invito ad interloquire sulle risultanze del verbale redatto in sede di verifica fiscale»;
-l’atto impositivo era congruamente motivato sia perché faceva rinvio al processo verbale di constatazione di cui la società contribuente aveva avuto integrale conoscenza, sia perché «il contenuto dell’elenco dei clienti e dei fornitori è integralmente riportato nel provvedimento»;
il reddito accertato andava diminuito in conseguenza del riconoscimento di oneri deducibili per 25.021,13 euro rappresentati da costi risultanti da fatture che la parte non aveva potuto produrre
in sede di verifica, ma solo nel giudizio di primo grado, per causa alla stessa non imputabile;
-non poteva essere riconosciuto la detrazione dell’IVA per fatture passive di 7.736,00 euro in quanto «il diritto alla detrazione può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo, per cui in caso di omessa dichiarazione, salva la possibilità di richiedere il rimborso, il recupero del credito mediante detrazione rimane precluso»;
la società contribuente era tenuta al pagamento delle sanzioni in quanto non aveva fornito la prova della sussistenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997;
-non era applicabile l’istituto del cumulo giuridico con le sanzioni irrogate per gli anni d’imposta 2005 e 2006 in quanto la parte non aveva prodotto « tutte le sentenze antecedenti che del cumulo giudiziale costituiscono presupposto a norma dell’art. 12, contribuente. 5, ultimo periodo, del decreto legislativo 1997, n. 472 ».
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui replica l’intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 1, comma 7, della legge n. 212 del 2000 « e del principio del contraddittorio preventivo, immanente nell’ordinamento, e rinvenibile negli artt. 3, 23, 53 e 97, Cost. ».
1.1. La ricorrente, richiamando i principi affermati dalla Corte di giustizia europea nella sentenza Sopropè (sentenza del 18/12/2008, in causa C-349/07), dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 19667 del 2014 e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 132 del 2015, e richiamando le argomentazioni svolte
da questa Corte nell’ordinanza n. 527 del 2015, di rimessione alle Sezioni unite della questione relativa alle conseguenze della violazione del diritto al contraddittorio, sostiene che aveva errato la CTR nel ritenere che l’obbligo del contraddittorio doveva essere previsto da una « normativa espressa » in quanto, piuttosto, « esso doveva essere garantito in via generale, quale comportamento dovuto dall’Ufficio, a tutela del diritto di difesa del contribuente ».
1.2. Il motivo è inammissibile avendo la ricorrente omesso di censurare la statuizione d’appello secondo cui nel caso di specie il contraddittorio endoprocedimentale era stato « assicurato con l’invito ad interloquire sulle risultanze del verbale redatto in sede di verifica fiscale » costituente « adempimento idoneo e sufficiente a porre la società in condizione di rappresentare e documentare le proprie ragioni prima dell’emanazione del provvedimento ».
1.3. Il motivo è, comunque, infondato alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi in relazione all’art. 12 della legge n. 212 del 2000 vigente ratione temporis , (e quindi anteriormente alle modifiche apportate dal recente d.lgs. n. 219 del 2023), secondo cui, «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Cass., Sez. U, n. 24823 del 2015), evidenziandosi al riguardo che la ricorrente nulla ha dedotto in merito alle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede
amministrativa in relazione alla maggiore IVA accertata, né in merito all’eventuale violazione del termine dilatorio di cui all’ art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, nella versione vigente all’epoca dei fatti .
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 212 del 2000, sostenendo che avevano errato i giudici di appello a ritenere adeguatamente motivato l’atto impositivo che faceva rinvio al processo verbale di constatazione redatto in sede di verifica fiscale di cui la contribuente aveva già avuto integrale conoscenza. Sostiene, al riguardo, che la disposizione censurata, nel prevedere che « se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama », non ammette alcuna forma di motivazione per relationem , e tale disposizione deve ritenersi che prevalga rispetto a norme successive e speciali che non ne prevedono una espressa deroga, come devono ritenersi gli artt. 42, secondo comma, ultima parte, del d.P.R. n. 633 del 1972 e 56, comma 5, seconda parte, del d.P.R. n. 633 del 1972, nella versione introdotta dal d.lgs. n. 32 del 2001, che sembrano consentire la motivazione per relationem là dove escludono la necessaria allegazione dell’atto richiamato ove l’atto impositivo ne riporti in motivazione il contenuto essenziale.
2.1. Premesso che nel caso di specie non è contestata l’avvenuta consegna alla parte contribuente del processo verbale di constatazione della G.d.F., la censura è manifestamente infondata atteso che fin da Cass., Sez. U., n. 11722 del 14 maggio 2010 si è affermato che un ‘ interpretazione non puramente formalistica dell’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, (c.d. Statuto del contribuente), impone di ritenere adeguata la motivazione dell’atto impositivo allorquando in esso si faccia
riferimento ad atti di cui il contribuente abbia integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione, o di cui sia riportato nell’atto il contenuto essenziale.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la CTR omesso di pronunciare sul motivo di appello, riprodotto a pag. 6 del ricorso, con cui aveva dedotto l’erronea « determinazione della base imponibile ai fini IRES ed IRAP », per omessa considerazione dei costi documentati.
3.1. Il motivo è infondato in quanto la CTR ha preso in esame la questione degli oneri deducibili ed accolto il motivo ancorché limitatamente al riconoscimento di quelli « risultanti da fatture per € 25.021,13 » (sentenza impugnata, par. 4.2.); costi che la ricorrente aveva indicato nel motivo d’appello (ricorso, pag. 7) unitamente ad altri, che però la CTR non ha riconosciuto, implicitamente rigettando la domanda.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 per avere la CTR escluso l’esimente di cui alla citata disposizione per difetto di prova dell’addebitabilità dell’omesso versamento dei tributi esclusivamente al fatto del terzo denunciato (nella specie, il consulente fiscale della società contribuente) e sulla base di una mera « petizione di principio » secondo cui « nelle società di capitali dovrebbe escludersi a priori che agli amministratori non siano imputabili le violazioni delle norme tributarie » (ricorso, pag. 24).
4.1. La prima censura del motivo in esame è inammissibile per difetto di specificità.
4.2. Invero, a fronte della statuizione d’appello di inadempimento della società contribuente all’onere di fornire la prova « del fatto che il pagamento del tributo non è stato eseguito
per fatto addebitabile esclusivamente al terzo denunciato », che costituisce uno dei requisiti, unitamente alla denuncia presentata all’autorità giudiziaria nei confronti del terzo, per porter andare esente da responsabilità sanzionatoria, la ricorrente non ha indicato in ricorso quali prove aveva fornito nel giudizio di merito per dimostrare la responsabilità esclusiva del proprio consulente, come avrebbe dovuto fare al fine di consentire a questa Corte di valutare la fondatezza della censura.
4.3. E’, inoltre, infondata l’ulteriore censura sollevata nel motivo in esame con riferimento all’affermazione dei giudici di appello secondo cui nel caso di specie, non era « ragionevolmente sostenibile che nell’ambito di una società di capitali i titolari della governance ignorino del tutto le ordinarie scadenze fiscali e che le relative omissioni siano imputabili in via esclusiva al AVV_NOTAIOessionista incaricato ».
4.4. Al riguardo, infatti, deve osservarsi che i giudici di appello, muovendo dal rilievo che la parte contribuente non aveva fornito prova della responsabilità esclusiva del proprio consulente fiscale, si sono attenuti al principio giurisprudenziale secondo cui « In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo imputabile esclusivamente ad un soggetto terzo (di regola l’intermediario cui è stato attribuito l’incarico, oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1, del detto decreto, nemmeno sotto il AVV_NOTAIOilo della “culpa in vigilando” » (Cass. n. 28359 del 2018). In senso analogo, peraltro, si era già espressa Cass. n. 17579 del 2003 affermando che « In tema di sanzioni amministrative per
violazioni di norme tributarie, ai sensi dell’art. 5, comma primo, primo periodo, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – applicabile ai procedimenti in corso ex art. 25 del medesimo decreto – è necessario, ai fini della responsabilità, che l’azione od omissione, oltre che cosciente e volontaria, sia anche colpevole, cioè che si possa rimproverare all’agente di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente. Ne consegue l’inapplicabilità delle sanzioni nel caso in cui l’inosservanza di adempimenti fiscali – sia di natura formale che sostanziale – sia dipesa (in base all’accertamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logico – giuridici) unicamente dal comportamento fraudolento del commercialista del contribuente ». Circostanza nella specie esclusa dai giudici di appello in quanto rimasta indimostrata.
Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997 , sostenendo che aveva errato la CTR a negare l’applicabilità al caso di specie della disposizione censurata, dettata in materia di cumulo giuridico delle sanzioni applicabili a « violazioni della stessa indole … in periodi di imposta diversi » , nella specie con riferimento agli anni d’imposta 2005 e 2006, pure oggetto di accertamento, sul presupposto che non si poteva far luogo alla rideterminazione della sanzione in sede processuale « per la mancata produzione di tutte le sentenze antecedenti che del cumulo giudiziale costituiscono il presupposto ».
5.1. Il motivo è inammissibile.
5.2. L’art. 12, comma 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 dispone: « Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in
seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate ».
5.3. Come correttamente osservato da questa Corte (cfr. Cass. n. 5648 del 2 marzo 2020 e, più recentemente, da Cass. n. 22477 del 2022), per effetto della sopra citata disposizione, per effetto della sopra citata disposizione, in ipotesi di violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, è l’Ufficio, in prima battuta, ovvero in occasione della notifica di un atto di irrogazione di sanzioni che sia successivo ad altro emesso per violazioni fiscali della stessa indole, a dover procedere alla ricostruzione di un ‘ unica serie progressiva, che comprende anche le violazioni precedentemente contestate, e deve determinare l’importo della sanzione tenendo conto di quello già indicato nell’originario atto notificato. Se non vi procede l’Ufficio, allora può provvedervi il giudice in quanto la disposizione in esame ha introdotto lo stesso principio in campo processuale, stabilendo che quando siano pendenti più giudizi, non riuniti, anche dinanzi a giudici diversi e sempre con riferimento a una serie di violazioni suscettibili di unificazione, il giudice a cui è devoluta la cognizione dell’ultimo degli atti di irrogazione per una delle violazioni coinvolte può procedere, a seguito di ricognizione di tutte le sentenze intervenute nei singoli processi non riuniti, ad una ricostruzione unitaria, ove ne sussistano i presupposti, dell’intera serie di violazioni, secondo le regole fissate dall’art. 12, rideterminando quindi la sanzione unica applicabile. Orientamento, questo, rinvenibile anche in documenti di prassi, e precisamente nella
circolare del Ministero delle Finanze n. 138 E del 5 luglio 2000 e nella circolare n. 180 del 1998.
5.4. Pertanto, secondo la condivisibile interpretazione del comma 5 del citato art. 12 fatta dalla Corte, in caso di separati processi per avvisi contenenti irrogazione di sanzioni per violazioni fiscali della stessa indole, commesse in periodi di imposta diversi, il giudice chiamato ad occuparsi dell’ultimo degli atti di irrogazione emesso dall’amministrazione finanziaria deve rideterminare la «sanzione complessiva» fino a che le precedenti sentenze non siano passate in giudicato (Cass. n. 9501 del 12/4/2017). Deve, quindi, aversi riguardo, nell’individuazione dell’ultimo degli atti di irrogazione delle sanzioni, alla data di emissione RAGIONE_SOCIALE stesso da parte dell’amministrazione finanziaria, sia perché è la stessa disposizione in commento a far espresso riferimento agli «atti di irrogazione» e non ad eventi ad essi successivi, come ad esempio la loro notificazione, sia per le evidenti garanzie di certezza n ell’individuazione dell’ultimo di essi.
5.5. Orbene, premesso che nel caso di specie è pacifico che l’amministrazione finanziaria aveva emesso nei confronti della società contribuente tre avvisi di accertamento con irrogazione di sanzioni relativamente agli anni d’imposta 20 05, 2006 e 2007 (quest’ultimo oggetto del presente giudizio), la ricorrente non ha indicato in ricorso le antecedenti sentenze ed i correlati atti impositivi che potevano consentire di operare il cd. ‘cumulo’, né la data di emissione degli atti con cui erano state irrogate le sanzioni, necessaria al fine di individuare l’organo giudicante competente ad applicare il cumulo, e neppure ha dedotto di averlo fatto nel giudizio di merito, ove avrebbe dovuto anche produrre gli atti impositivi ‘connessi’ onde consentire al giudice di merito di effettuare il cumulo delle sanzioni, sicché il motivo pecca di specificità e va, conseguentemente, dichiarato inammissibile.
6. Deve a questo punto esaminarsi il motivo di ricorso incidentale con cui la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 perché la CTR aveva ritenuto utilizzabile la documentazione prodotta dalla società contribuente soltanto in sede processuale, nonostante l’invio del questionario, e sulla base di tale documentazione riconosciuto in favore della contribuente costi per 25.021,00 euro, ritenendo erroneamente sufficiente a tal fine la mera dichiarazione della parte «nell’atto introduttivo del giudizio di non aver potuto adempiere alla richiesta per causa a lui non imputabile, senza subordinare l’utilizzabilità alla dimostrazione dell’effettività e non imputabilità dell’impedimento» (sentenza, par. 4.2).
6.1. Il motivo è fondato e va accolto in quanto la CTR è incorsa in errore di diritto nel ritenere sufficiente, in presenza di contestazione da parte dell’Ufficio circa l’utilizzabilità dei documenti richiesti e non esibiti dal contribuente in sede amministrativa, l’esistenza della mera dichiarazione della parte « di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile », come recita la disposizione in esame. Invero, seppure questa Corte abbia affermato in tempi non recenti che la disposizione in esame non preveda espressamente che la parte contribuente fornisca contestualmente la prova della non imputabilità della causa dell’inadempimento (Cass. n. 28049 del 30 dicembre 2009), è pur vero che, da un lato, è comunque onere del contribuente allegare tempestivamente in giudizio le circostanze oggettive che gli hanno impedito di adempiere alla richiesta dell’ufficio finanziario di esibire o trasmettere la documentazione richiesta, con conseguente onere del giudice di merito, nella specie non adempiuto, di valutare la congruità delle giustificazioni addotte (Cass. n. 6617 del 10 marzo 2021); d all’altro lato, questa Corte ha recentemente e
condivisibilmente affermato che nell’ ipotesi in esame, di richiesta dell’amministrazione finanziaria di documenti al contribuente fatta mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette ovvero dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di Iva, ferma sempre la necessità che l’Amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza, il contribuente se vuole evitare di incorrere nella sanzione processuale della inutilizzabilità della documentazione non esibita in fase di accertamento, prevista dalla disposizione in esame, non solo deve dichiarare, all’atto di produrre la suddetta documentazione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile ma ne deve fornire anche la prova nel corso del giudizio (Cass. 16757 del 14/06/2021; richiamata anche da Cass. n. 31345 del 10 novembre 2023 e Cass. n. 3958 del 13 febbraio 2024). Circostanza che, dunque, dovrà essere verificata dal giudice del rinvio.
Conclusivamente, quindi, va rigettato il ricorso principale ed accolto quello incidentale, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso incidentale; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso incidentale accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 28 febbraio 2024