Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3234 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/02/2025
ORDINANZA
, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
sul ricorso iscritto al n. 37048/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE
-intimata- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 6245/2019 depositata il 11/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE impugnò l’intimazione di pagamento notificata da Equitalia RAGIONE_SOCIALE a mezzo della quale vennero recuperati Euro 1.635.506,10 in relazione alle cartelle in precedenza notificate per omissione dell’imposta IRPEF, IRPEG, IVA, tassa smaltimento rifiuti, tassa di registro e tassa automobilistica.
Il giudice di primo grado respinse il ricorso mentre la C.T.R. della Lombardia lo accolse limitatamente, in relazione alla carente indicazione delle modalità seguite dall’Agenzia per pervenire al calcolo degli interessi, essendo la motivazione dell’avviso carente sul punto.
Il giudice di secondo grado per il resto respinse l’appello e, richiamando espressamente S.U. n. 7665/2016, affermò che in caso di irritualità della notifica di un atto via pec non ne discende la nullità ove la consegna telematica abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto ed il raggiungimento dello scopo cui era destinato.
2.Venne inoltre affermato, così disattendendo ulteriormente l’appello formulato dalla società ricorrente, la legittimità della costituzione in giudizio dell’Agenzia mediante avvocato del libero foro in forza di quanto previsto dall’ art. 4 novies del d.l. n. 34 del 2019, il quale prevede che l’art. 43 comma 4 del TU n. 1611 del 1933 si applica esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi a quest’ultima riservati su base convenzionale.
3.La decisione è impugnata dalla società contribuente con cinque motivi, l’ADER è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 2, del d.l. n. 546 del 1992 nonché
dell’art. 4 novies del d.l. n. 34 del 2019 non potendo nella specie l’ADER essere rappresentata in giudizio da un avvocato del c.d. libero foro.
2.Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 504 del 1992 nonché degli artt. 2948 e 2953 c.c. per non aver ritenuto prescritta la pretesa tributaria, essendo decorso il termine quinquennale di prescrizione.
Invero, secondo la società ricorrente, il termine per riscuotere i crediti erariali, a seguito della notifica della cartella esattoriale e di qualsiasi altro atto amministrativo di natura accertativa, è sempre quinquennale alla stregua di quanto previsto per i tributi locali.
3.Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973; del d.P.R. n. 68 del 2005 nonché dell’art. 21 del d.lgs. n. 82 del 2005, perché l’intimazione è stata notificata via pec. Essendo una copia informatica dell’originale, in quanto tale la copia così notificata necessiterebbe dell’attestazione di conformità ex art. 6 del DPCM del 13 novembre 2014, attestazione che nella specie non sarebbe rinvenibile.
4.Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 7, comma 1, della l. n. 212 del 2000 per omessa allegazione delle cartelle presupposte. In particolare, la legittimazione dell’Agente di riscossione di formare e notificare l’intimazione discende in via immediata e diretta dalla regolare notifica dell’atto che la giustifica, in assenza della quale l’intimazione non può essere formata. Di talché l’allegazione dell’atto precedentemente notificato svolge la correlata funzione di provare la legittimazione del Concessionario a procedere con l’intimazione, e senza prova di ciò lo stesso sarebbe privo di legittimazione a procedere e ciò in violazione del citato art. 7.
5.Con il quinto motivo si denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione sulla respinta eccezione di incostituzionalità dell’aggio.
6.Il primo motivo è infondato.
Sul punto è agevole richiamare quanto statuito da Cass. n. 21241 del 2019 che si condivide e si fa proprio.
La questione della difesa in giudizio è stata affrontata di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno enunciato, nell’interesse della legge e per risolvere la devoluta questione di massima di particolare importanza, i seguenti principi di diritto: “(a) impregiudicata la generale facoltà di avvalersi di propri dipendenti delegati davanti al tribunale e al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate -Riscossione si avvale: 1) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla Convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; 2) ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal richiamato art. 43, comma 4, r.d. cit., di avvocati del libero foro – nel rispetto degli art.. 4 e 17 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 del medesimo art. 1 del d.l. n. 193 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio; (b) quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa
di assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente e implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità”(Cass. S.U., sent. n. 30008 del 2019). Quanto alla difesa in giudizio, il comma 8 dell’arti del d.l. n.193/2016, conv. dalla legge n.225/2016, dispone: “L’ente è autorizzato ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’articolo 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato, di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, fatte salve le ipotesi di conflitto e comunque su base convenzionale. Lo stesso ente può altresì avvalersi, sulla base di specifici criteri definiti negli atti di carattere generale deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo, di avvocati del libero foro, nel rispetto delle previsioni di cui agli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, ovvero può avvalersi ed essere rappresentato, davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente; in ogni caso, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, l’Avvocatura dello Stato, sentito l’ente, può assumere direttamente la trattazione della causa. Per il patrocinio davanti alle commissioni tributarie continua ad applicarsi l’articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. Deve, inoltre, rilevarsi che la norma di interpretazione autentica dell’articolo 4-nonies, comma 1, del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 giugno 2019, n. 58, prevede che “il comma 8 citato si interpreta nel senso che la disposizione dell’articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n.1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia delle entrate Riscossione, per la propria
rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi a quest’ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio”. Tale ultimo articolo, quindi, chiarisce, con validità ex tunc, che la delibera motivata è necessaria esclusivamente nei casi in cui le controversie vedano su tematiche riservate all’Avvocatura di Stato su base convenzionale ed essa sia disponibile ad assumerle.
Il legislatore ha voluto affermare che la fonte primaria della difesa erariale, in forza dell’art. 1, comma 8, è la convenzione, cui occorre in primo luogo fare riferimento onde verificare la validità del mandato difensivo. L’art. 43, comma 4, del r.d. n. 1611/1933 – con la necessità di adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza – opera, dunque, solo nel caso in cui A.d.E.R., nonostante la specifica controversia rientri, in forza della convenzione, tra quelle di competenza dell’Avvocatura dello Stato, non intenda di essa avvalersi. In sostanza, non è più sostenibile che la regola generale sia l’avvalimento dell’avvocatura erariale e che quello di avvocati del libero foro sia un’eccezione, perché il tenore testuale della norma – a differenza di quanto solo in apparenza risulta dalle previsioni regolamentari e che oltretutto, per principio generale, non sono in grado di interferire sulle norme di rango primario – esclude con chiarezza sia l’organicità che la stessa esclusività del patrocinio erariale, per quanto «autorizzato», per la chiara alternatività (con l’utilizzo dell’avverbio “altresì”) tra le due facoltà radicate in capo all’A.d.E.R. Pertanto, il richiamo, operato dall’art. 1, comma 8, all’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonché dell’agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio
direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata, non esclude che si applichino le nuove disposizioni sulla difesa tecnica (nella dicotomia “pubblica-del libero foro”) dettate dalla prima parte dello stesso comma 8.
Detta soluzione interpretativa pare conforme al Protocollo d’intesa del 22.6.2017, stipulato tra l’Avvocatura dello Stato e ADER proprio in forza del disposto dell’art. 1, comma 8, cit., secondo cui, in subiecta materia «…. L’Ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco avvocati, nelle controversie relative a: – liti innanzi al Giudice di Pace (compresa la fase di appello); – liti innanzi alle Sezioni Lavoro di Tribunale e Corte d’Appello; -liti innanzi alle Commissioni Tributarie».
Sul punto, le Sezioni Unite, con la sentenza sopra citata hanno chiarito che “a) se la convenzione riserva all’Avvocatura di Stato la difesa e rappresentanza in giudizio, l’Agenzia può evitarla solo in caso di conflitto, oppure alle condizioni dell’art. 43, co. 4, r.d. n. 1611 del 1933 (cioè adottando la delibera motivata e specifica e sottoposta agli organi di vigilanza), oppure ancora ove l’Avvocatura erariale si renda indisponibile; b) se, invece, la convenzione non riserva all’Avvocatura erariale la difesa e rappresentanza in giudizio, non è richiesta l’adozione di apposita delibera od alcuna altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro (da scegliere in applicazione dei criteri generali di cui agli atti di carattere generale di cui al quinto comma e nel rispetto dei principi del codice dei contratti pubblici); c) in tutti i casi è in facoltà dell’Agenzia di avvalersi e farsi rappresentare anche da propri dipendenti delegati pure davanti ai giudici di pace e ai tribunali, per di più nulla essendo innovato quanto alle già raggiunte conclusioni per ogni altro tipo di contenzioso” (Cass. S.U. sent. n. 30008/2019, in motivazione, par.26).
Trova nella specie, quindi, applicazione il principio secondo cui ‘per la difesa e la rappresentanza in giudizio, l’Agenzia delle Entrate e della Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di farsi rappresentare anche da propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti dalla convenzione intervenuta con la stessa come ad essa riservati, potendo evitarla soltanto nelle ipotesi di conflitto oppure alle condizioni di cui art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933 (cioè con apposita, motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza) oppure in caso di indisponibilità dell’Avvocatura erariale; quando, invece, la convenzione non riservi all’Avvocatura erariale la difesa e la rappresentanza in giudizio, non è richiesta l’adozione di apposita delibera o alcuna altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro, da scegliere nel rispetto dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 dell’art. 1 del d.l. n. 193 del 2016 e dei principi del codice dei contratti pubblici’ (Cass. n. 21241 del 2019).
In conclusione, nel caso in esame, l’A.d.E.R. in appello ben poteva costituirsi con avvocato del libero foro.
3. In ossequio al principio della ragione più liquida è opportuno esaminare previamente il terzo motivo del ricorso, il quale è infondato. La violazione di specifiche tecniche dettate in ragione della configurazione del sistema informatico non comporta l’invalidità della notifica, ove non vengano in rilievo la lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione finale, bensì, al più, una mera irregolarità sanabile in virtù del principio di raggiungimento dello scopo (Cass. n. 14042 del 2018). Nella specie nulla di tutto ciò è stato allegato dalla società contribuente.
In tema di notificazione telematica, peraltro, ai fini della riferibilità al mittente, l’atto inviato a mezzo PEC non necessita
di attestazione di conformità, giacché – ai sensi dell’art. 22, comma 3, d.lgs. n. 82 del 2005 (cd. CAD), come modificato dall’art. 66, comma 1, d.gs. n. 217 del 2017 – le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta. Inoltre, l ‘atto di appello notificato con modalità telematica non è improcedibile nel caso in cui l’appellante si costituisca tempestivamente, depositando copia analogica dei documenti attestanti l’avvenuta notificazione, corredati di attestazione di conformità agli originali telematici, non essendovi un obbligo di produrre la notifica in modalità telematica e potendosi, pertanto, procedere alternativamente ai sensi dell’art. 9, comma 1-bis, della l. n. 53 del 1994.
Infine, come correttamente osservato dal giudice di secondo grado, trova comunque nella specie applicazione il principio del raggiungimento dello scopo.
Il secondo motivo del ricorso è assorbito dal rigetto del terzo. Deve comunque in questa sede ribadirsi che in tema di contenzioso tributario, qualsiasi eccezione relativa a un atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente alla notifica di tale atto, è assolutamente preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità se non per vizi propri di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato (Cass.n. 37259 del 2021).
Il quarto motivo è infondato. In tema di avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui all’art. 7 della l. n. 212 del 2000 è limitato ai documenti non conosciuti né ricevuti dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo.
Va, quindi, considerato che l’intimazione di pagamento è normativamente regolata dall’art. 50, secondo e terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che così recita: «2. Se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. L’avviso di cui al comma 2 è redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze e perde efficacia trascorsi centottanta giorni dalla data della notifica». Dal contenuto della norma si evince chiaramente che l’avviso di intimazione è un atto vincolato, in quanto redatto in relazione ad un modello ministeriale e avente come contenuto l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni; ne consegue che lo stesso non è annullabile a causa della insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241,(norma applicabile a tutti i provvedimenti amministrativi tra cui quelli tributari) in quanto per la natura vincolata del provvedimento, è palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. È pertanto escluso che i soggetti interessati possano far valere vizi inerenti al contenuto di tali atti proprio perché non influenti sul diritto di difesa ed in genere inidonei ad incidere sulla causa del provvedimento (cfr. Cass. S.U. n. 14878 del 2009). Una volta che il contenuto dell’avviso di intimazione non si differenzi da quanto indicato nel modello ministeriale, ed essendo esaustivo il solo riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata (cfr. in tema di cartelle di pagamento Cass. n. 2373 del 2013 e Cass. n. 9778 del 2017), appare fuorviante contestare la legittimità dell’intimazione in assenza di allegazione della cartella presupposta.
A ciò si aggiunga che l’intimazione di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – con il semplice richiamo all’atto impositivo ed alla cartella presupposti e con la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (Cass. n. 27504 del 2024).
Il contenuto dell’atto era in grado di rendere edotto il contribuente delle ragioni della emissione dell’intimazione.
Peraltro questa Corte ha affermato che il difetto di motivazione della cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi in modo esatto, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché la cartella sia stata impugnata dal contribuente, il quale abbia dimostrato, in tal modo, di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati; pertanto, non può ravvisarsi un difetto di motivazione nell’atto impositivo vincolato, che espressamente indichi gli anteriori avvisi di accertamento già notificati all’intimato ed in relazione ai quali sia pendente contenzioso, mentre invece erroneamente l’accertamento era stato indicato come definitivo anziché provvisorio, non sussistendo un’effettiva limitazione del diritto di difesa, che ricorre unicamente qualora il contribuente non sia stato posto in grado di conoscere le ragioni dell’intimazione di pagamento ricevuta e alleghi il pregiudizio patito effettivamente.
4.Nella specie il ricorrente ha impugnato l’intimazione di pagamento ed ha contestato la legittimità, sotto diversi profili, delle
pretese impositive dalla stessa portate così dimostrando di conoscere l’atto pregresso.
5.Il quinto motivo è inammissibile così come formulato, non potendosi più contestare la insufficienza motivazionale e non sussistendo (né essendo peraltro allegata dallo stesso contribuente) la dichiarata contraddittorietà.
Va in questa sede ribadito, quindi, che il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U n. 8053 del 2014).
A ciò deve aggiungersi l’infondatezza della questione sottesa alla doglianza formulata atteso che sul punto è intervenuta Corte Cost. n. 120 del 2021 la quale ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia sulla remunerazione dell’agente della riscossione mediante l’aggio prevista dall’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n.
112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), nel testo applicabile nel 2014, evidenziando ‘ perché le esigenze prospettate, pur meritevoli di considerazione (nei sensi sopra precisati), implicano una modifica rientrante nell’ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 219 del 2019 )’.
In conclusione. il ricorso deve essere respinto; nulla per le spese non essendosi costituita l’ADER.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4.12.2024