Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6580 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6580 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2025
nella fattispecie non spiegava effetto di giudicato e si era di fronte, da un lato, ad un autonomo titolo nei confronti dei Cantoni a fondamento della pretesa erariale individuato dalla CTR nella sentenza della Corte d’appello di Milano n.571/2000 e, dall’altro, ad una intimazione di pagamento notificata nel 2020 che di quel titolo non recava traccia e anzi richiamava la cartella del 6.2.1995 di cui però erano stati rideterminati gli importi sin dal 2008 con l’avviso di mora.
Contro tale sentenza l’Agenzia delle Dogane propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica NOME COGNOME con controricorso. L’Agenzia delle Entrate -Riscossione deposita controricorso adesivo al ricorso.
NOME COGNOME deposita in data 8.11.2024 nota contenente l’esposizione della propria situazione debitoria presso l’agente della riscossione.
Ragioni della decisione
In primo luogo, va valutato l’estratto di ruolo allegato alla nota di deposito effettuata dal ricorrente in data 8.11.2024.
Il Collegio osserva a riguardo che né l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli né l’agente della riscossione, entrambe parti costituite nel processo, hanno riscontrato tale produzione e tanto meno avallato un esito definitorio stragiudiziale del giudizio, ed è impedito il mero rinvio davanti alla Corte di Cassazione, in particolare in pubblica udienza.
Il documento non è perciò idoneo da solo a dimostrare la cessazione della materia del contendere e, ancor meno, l’estinzione del processo, considerato oltretutto che il contribuente non ha prodotto a corredo alcun provvedimento di sgravio assunto formalmente dal titolare del credito oggetto del presente processo, né ha fornito alcuna esplicazione e indicazione sulla decisività della suddetta produzione documentale.
Con il primo motivo di ricorso, in relazione a ll’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d. lgs. 546/1992 e dell’art. 19, terzo comma, ultimo periodo. Secondo la ricorrente, va dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo avverso un’intimazione di pagamento relativamente alla ripresa dell’esecuzione esattoriale ai sensi di cartella di pagamento notificata oltre dieci anni prima e non impugnata dal contribuente.
3. Il motivo è parzialmente fondato.
3.1. La sentenza d’appello non è condivisibile nella parte in cui conferma la sentenza di primo grado che ha accolto il ricorso introduttivo, notificato in data 12.3.2020, nei confronti della cartella di pagamento notificata in data 6.2.1995, in quanto atto ormai divenuto definitivo. La cartella di pagamento non è più impugnabile per decorrenza del termine di 60 giorni previsti dall’art. 21 del d.lgs. 546/1992. Solo l’Amministrazione nella sua discrezionalit à̀ ha il potere di annullare o altrimenti revocare un atto impositivo non pi ù opponibile (Cass. n. Sez. 5, ordinanza n. 7616 del 28/03/2018 in parte motiva).
Consequenziale è l’ inammissibilità del l’eccezione, se tale deve intendersi la riproposizione dubitativa della questione a pag.10 del controricorso depositata dal contribuente, di prescrizione del credito («se dovessimo aderire alla tesi proposta allora il credito sarebbe ampiamente prescritto»), in quanto questione attinente al merito della pretesa fiscale la cui disamina è ormai preclusa.
3.2. Al contrario, è ammissibile ab origine il ricorso proposto tempestivamente contro l’intimazione di pagamento, trattandosi di atto autonomamente impugnabile in riferimento al quale il contribuente ha un interesse attuale a far valere in giudizio i vizi propri dell’atto e, in particolare, circa la legittimità dell’intimazione, anche alla luce del contenuto dell ‘ordinanza della Cassazione n. 21309/2018, e circa la motivazione dell’atto . In parte qua , dunque, il motivo non è fondato.
Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione del principio del ne bis in idem e il contrasto della sentenza impugnata con la decisione della Cassazione n.21309/2018, in violazione dell’art. 2909 cod. civ..
Il motivo è fondato, nei termini che seguono.
Il giudice di appello ha accertato a pag.4 della sentenza che: «Punti fermi sono costituiti: (…) 3) dalla circostanza, pacificamente ammessa da Agenzia delle Dogane, che già con il precedente avviso di mora n. NUMERO_DOCUMENTO notificato in data 23.09.2008, era stato operato parziale sgravio della partita di ruolo originaria in conformità col dettato della Corte d’appello di Milano» n.571/2000.
Vi è perciò sostanziale identità di contenuto tra le riprese ad imposizione per tributi doganali ed IVA di cui al l’avviso di mora del 23.09.2008, che ha recepito la rideterminazione degli importi dovuti
contenuta nella sentenza Corte d’appello di Milano n.571/2000, avviso alla base del ricorso deciso dalla Cassazione con ordinanza n.21309/2018, e la successiva intimazione di pagamento del 24.02.2020 che, proprio dopo la sentenza di cassazione con rinvio, ha riavviato la procedura esecutiva riproponendo al contribuente l’adempimento del debito.
Non è idonea a superare l’accertamento del giudice d’appello la contestazione, contenuta nel controricorso del Cantoni, secondo cui non vi sarebbe perfetta identità tra l’avviso di mora e la successiva intimazione di pagamento, difesa peraltro generica in assenza di riproduzione dei due atti per un confronto. Ciò che conta, al di là della veste grafica e dell’inserimento del precetto nell’atto impugnato nel presente processo, è che le riprese ad imposizione sono le medesime, e anche il contenuto in entrambi i casi, sia nell’avviso di mora del 23.09.2008 sia nell’intimazione di pagamento del 24.02.2020, tiene conto della sentenza definitiva della Corte d’appello di Milano che ha rideterminato il quantum della pretesa impositiva, riducendolo rispetto all’originaria misura recata dall’ingiunzione fiscale e dalla conseguente cartella di pagamento.
Del resto, il Collegio rammenta che entrambi gli atti hanno la medesima funzione di sollecito di pagamento indirizzato dall’Amministrazione finanziaria al contribuente, al di l à dell’ininfluente differenza di denominazione di intimazione di pagamento o, di avviso previsto dall’art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973 per l’ipotesi che l’espropriazione non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, avviso comunemente denominato “avviso di mora” (Cass. Sez. U, ordinanza n. 26817 del 16/10/2024).
6. Ciò premesso, correttamente l’Ufficio ritiene che il titolo della pretesa impositiva non sia l’intimazione, bensì la cartella, ormai divenuta definitiva, come chiarito in dipendenza del motivo che precede.
È irrilevante ai fini del presente giudizio la formazione di un giudicato favorevole ad NOME COGNOME perché la sentenza di annullamento ottenuta dal coobbligato solidale non travolge ex tunc ai sensi dell’ art. 1306, comma 2, cod. civ. l’originaria obbligazione solidale che investe il Cantoni, né l’ ingiunzione doganale a lui notificata, ostandovi il giudicato, come chiarito da Cass. n.21319/2018. L’ingiunzione è stata impugnata dal Cantoni originando la controversia definita con parziale rideterminazione del quantum ad opera della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 571/2000 passata in giudicato. Identiche considerazioni valgono per la cartella di pagamento a lui notificata il 6.2.1995 e non opposta, che su quella intimazione doganale poggia.
Ne discende che la cartella di pagamento non è mai stata rimossa dall’ordinamento giudico e ha mantenuto piena validità ed efficacia nei confronti dei Cantoni, per espressa decisione della sentenza della Corte d’appello di Milano n.571/2000 che ne ha solo ridotto il quantum , con decisione confermata dalla sentenza della Cassazione n. 24081/2006.
Il motivo di ricorso in disamina trova perciò accoglimento e il giudice del rinvio ha errato a ritenere caducata anche nei confronti del contribuente la cartella di pagamento notificata il 6.02.1995 sulla base dell’ingiunzione doganale originaria e richiamata nel l’ingiunzione di pagamento del 24.02.2020.
Con il terzo motivo, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione dell’art. 50 d.P.R. 602/72 da parte della sentenza, poiché non ha tenuto conto che l’intimazione di
pagamento con cui si riprenda la procedura di riscossione è atto vincolato che non ha bisogno di particolare motivazione sul quantum già oggetto di cartella di pagamento non impugnata.
8. Il motivo è fondato.
Il capo della sentenza impugnato afferma che, nonostante la sentenza della Cassazione n. 21319/2018 avesse espressamente escluso la necessità della previa notifica di una nuova cartella di pagamento, «per la complessità delle vicende processuali che hanno interessato la fattispecie, il mancato richiamo alla pronuncia della Corte d’appello di Milano che costituisce l’autonomo titolo che giustifica la pretesa sarebbe stato necessario un esplicito richiamo quanto meno per consentire all’intimato di comprendere come si era formata la cifra richiesta ed in che termini l’originaria pretesa contenuta nella cartella del 6.2.1995 era stata modificata in ragione di quella pronuncia (…) ».
Tale argomentazione innanzitutto non tiene conto del vincolo, espressamente previsto dal l’ art. 50, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui l’intimazione è redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze. La motivazione della intimazione è perciò quella, minima, stabilita dalla legge, e pertanto non vi è stata alcuna necessità di indicare la sentenza della Corte di appello di Milano.
Inoltre, nessuna lesione è stata arrecata al diritto di difesa, poiché la rideterminazione delle imposte dovute è già stata esattamente operata con l’ antecedente avviso di mora, ben conosciuto dal contribuente, in quanto notificato al Cantoni il 23.09.2008 e avente la medesima natura e contenuto sostanziale della successiva ingiunzione di pagamento del 24.02.2020.
Il contribuente a pag.24 del suo controricorso deduce anche che dall’atto impugnato non sarebbe comprensibile la determinazione degli interessi di mora, «né ha chiarito per quale ragione su interessi di mora iscritti a ruolo per euro 650.408,14 siano maturati interessi di mora per euro 1.778.991,99». Si tratta di una deduzione inammissibile per più ragioni, in primo luogo perché di merito e per difetto di specificità dal momento che la motivazione dell’intimazione non è riprodotta nel controricorso al fine di verificare la rilevanza dell’eccezione. In secondo luogo, con riferimento all’anatocismo, per novità della questione non essendovi evidenza di introduzione del tema nei precedenti gradi di giudizio. In terzo luogo, con riferimento agli interessi di mora in genere, per manifesta infondatezza, trattandosi di operazione matematica che comunque non richiede specifica motivazione in presenza di atto riproduttivo di pretesa già in precedenza avanzata dall’Amministrazione (v. Cass., Sez. 5, n. 8508 del 2019; Sezioni Unite n. 22281 del 14/07/2022).
La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, nonché i motivi secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la controversia alla Corte di Giustizia di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
Roma, così deciso in data 20 novembre 2024