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Intimazione di pagamento: quando è impugnabile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31957/2024, ha stabilito che l’intimazione di pagamento è un atto autonomamente impugnabile per vizi propri e per la prescrizione maturata dopo la notifica della cartella esattoriale. Il caso riguardava una contribuente che aveva contestato un’intimazione per IRPEF, lamentando sia la prescrizione del credito sia vizi procedurali dell’atto. Le corti di merito avevano rigettato il ricorso, ritenendo che tali contestazioni andassero sollevate contro la cartella originaria. La Cassazione ha cassato la decisione, affermando che il giudice di secondo grado ha errato per omessa pronuncia, non esaminando le specifiche doglianze relative all’intimazione, che costituisce un atto distinto e separatamente contestabile.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Intimazione di Pagamento: la Cassazione ne Conferma l’Autonoma Impugnabilità

L’intimazione di pagamento rappresenta un momento cruciale nel processo di riscossione coattiva. Spesso percepita come un mero preavviso di esecuzione forzata, in realtà è un atto giuridico a sé stante, con proprie regole e, soprattutto, proprie vie di contestazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 31957 del 2024, ribadisce un principio fondamentale: l’intimazione può essere impugnata autonomamente per vizi propri e per la prescrizione maturata dopo la notifica della cartella di pagamento, anche se quest’ultima non è stata contestata.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dall’impugnazione di un’intimazione di pagamento relativa a debiti IRPEF risalenti al 1994. La contribuente si opponeva all’atto, sollevando diverse eccezioni: in primis, la prescrizione del diritto alla riscossione, dato il lungo tempo trascorso dalla notifica della cartella esattoriale (avvenuta nel 2006). Inoltre, lamentava una serie di vizi propri dell’intimazione, tra cui la mancata allegazione della cartella presupposta e l’assenza di elementi essenziali previsti dalla legge.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) avevano respinto le ragioni della contribuente. Secondo i giudici di merito, il ricorso era inammissibile perché ogni contestazione, inclusa quella sulla prescrizione, avrebbe dovuto essere mossa contro la cartella di pagamento originaria, che non era stata impugnata a suo tempo.

La Decisione della Corte: l’Erroneità della Pronuncia di Inammissibilità

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente, cassando la sentenza della CTR con rinvio. Il fulcro della decisione risiede nel concetto di ‘omessa pronuncia’. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la CTR abbia commesso un errore fondamentale: non ha esaminato nel merito le specifiche censure mosse contro l’intimazione di pagamento.

La Corte ha chiarito che l’intimazione non è una semplice ripetizione della cartella. È un atto autonomo, necessario per legge quando è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella stessa prima di poter avviare l’esecuzione forzata. Come tale, può essere affetto da ‘vizi propri’ e può essere impugnato per motivi che sono sorti dopo la notifica della cartella, come la prescrizione del credito.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si basa su un principio consolidato: l’impugnabilità autonoma degli atti della riscossione. La CTR ha erroneamente ritenuto che l’unica via per contestare la pretesa fosse l’impugnazione della cartella originaria. Così facendo, ha ignorato che la contribuente aveva sollevato due distinte categorie di doglianze:

1. Prescrizione maturata dopo la notifica della cartella: La contribuente sosteneva che, tra la notifica della cartella (2006) e quella dell’intimazione, era decorso il termine di prescrizione decennale per i tributi erariali. Questa è un’eccezione che, per sua natura, non poteva essere sollevata contro la cartella stessa, ma deve essere fatta valere proprio contro l’atto successivo che cerca di riscuotere il credito ormai estinto.

2. Vizi propri dell’intimazione di pagamento: La contribuente aveva contestato l’atto per difetti procedurali specifici, come la mancata allegazione dell’atto presupposto o la violazione di norme dello Statuto del Contribuente. Questi vizi rendono l’intimazione illegittima di per sé, a prescindere dalla validità del credito originario.

I giudici di legittimità hanno concluso che, respingendo il ricorso come inammissibile senza analizzare questi specifici motivi, la CTR è incorsa nel vizio di omessa pronuncia. La questione è stata quindi rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Conclusioni

Questa ordinanza è di grande importanza pratica per i contribuenti. Conferma che ricevere un’intimazione di pagamento, anche a distanza di molti anni dalla cartella esattoriale, non è un atto ineluttabile. Al contrario, apre una nuova finestra per la difesa. È possibile e doveroso verificare se, nel frattempo, il credito si sia prescritto. Inoltre, l’atto stesso deve essere attentamente esaminato per accertare che rispetti tutti i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge. La mancata impugnazione della cartella originaria non preclude la possibilità di contestare l’intimazione per motivi validi e successivi, garantendo una tutela effettiva contro pretese fiscali non più esigibili o avanzate in modo proceduralmente scorretto.

È possibile impugnare un’intimazione di pagamento se non si è impugnata la cartella esattoriale presupposta?
Sì, la Corte di Cassazione afferma che l’intimazione di pagamento è un atto autonomamente impugnabile. Può essere contestata per motivi sorti dopo la notifica della cartella, come la prescrizione del credito, o per vizi procedurali propri dell’intimazione stessa.

Cosa si intende per ‘vizi propri’ di un’intimazione di pagamento?
Per ‘vizi propri’ si intendono difetti specifici dell’atto di intimazione, che lo rendono illegittimo indipendentemente dalla validità della pretesa tributaria originaria. Esempi citati nel caso includono la mancata allegazione della cartella di pagamento presupposta, la violazione dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente o la mancanza dell’indicazione del responsabile del procedimento.

Qual è il termine di prescrizione tra la notifica della cartella e quella dell’intimazione di pagamento?
La sentenza richiama la giurisprudenza secondo cui il termine di prescrizione per i tributi erariali, come l’IRPEF, è di 10 anni. Questo termine decorre dalla notifica della cartella di pagamento e, se scade prima della notifica dell’intimazione, il diritto alla riscossione si estingue.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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