Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19193 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24934/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. A NOME COGNOME (PEC. EMAIL), come da procura speciale in atti.
– ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL.
– controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, n. 5899/2023, pubblicata in data 20 ottobre 2023, notificata il 23 ottobre 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso l’intimazione di pagamento n . NUMERO_CARTA/000, per complessivi euro 755.899,42, che veniva rigettato dalla CTP di Roma, con sentenza n. 5240/2021, ritenendo che la notifica dell’intimazione appariva del tutto regolare, che non vi era stata violazione dell’art. 7 della legge 212/2000 e che non si era verificata alcuna prescrizione dei crediti intimati, attesa la regolare notifica delle cartelle di pagamento sottostanti e dei successivi atti interruttivi della prescrizione.
I giudici di secondo grado hanno rigettato l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
-) sul primo motivo di appello: come indicato dalla stessa appellante, con la pregressa sentenza richiamata per sostenere la applicazione del principio del ne bis in idem , la CTP, con la sentenza n. 6729 del 2019, si era limitata ad affermare che « l’esazione dei tributi, relativamente alle cartelle esattoriali di competenza di questo giudice tributario, non risulta essere stata mai preannunciata, con conseguente nullità della successiva intimazione di pagamento … l’intimazione di pagamento deve essere preceduta dalla notifica delle cartelle esattoriali, in quanto la correttezza del procedimento di esazione della pretesa tributaria è assicurata dal rispetto di una sequenza procedimentale di atti debitamente notificati ». La circostanza che nel pregresso giudizio non fosse stata documentata la notifica delle presupposte cartelle di pagamento non precludeva che l’agente della riscossione potesse
emettere un nuovo avviso di intimazione, relativamente alle cartelle la cui notifica poteva essere in effetti oggetto di prova;
-sul secondo motivo di appello: la Corte di cassazione aveva risolto in senso favorevole all’agente della riscossione la indicata controversia (cfr. Cass., Sez. U., n. 15979 del 2022), ovvero era regolare la notifica da parte dell’Ente mittente d a un indirizzo PEC diverso da quello elencato nei pubblici registri atteso che la consegna della cartella tramite il suddetto strumento informatico rendeva inequivocabile chi fosse il mittente del documento;
-) sul terzo motivo di appello: l a tesi dell’appellante che contestava la costituzione della Agenzia delle Entrate-Riscossione avvenuta mediante avvocato del libero foro appariva priva di fondamento, alla stregua della costante giurisprudenza di legittimità;
-) sul quarto motivo di appello: era ammissibile la costituzione di controparte sia perché la procura alle liti depositata nel fascicolo del primo grado di giudizio era originale informatico, sottoscritto digitalmente sia dal Dott. COGNOME che, per autentica, dal difensore Avv. NOME COGNOME ed essendo il documento esemplare originale (e non una copia) e nessuna asseverazione di conformità era necessaria, sia perché l’ eccezione sulla mancata asseverazione della conformità all’originale era generica;
sul quinto motivo di appello: sulla notifica degli atti presupposti a quello impugnato non vi era stata una contestazione specifica e circostanziata ma un generico e onnicomprensivo, e quindi inammissibile, «disconoscimento» della conformità agli originali di tutte le copie di documenti prodotte dalla resistente, senza indicazione di alcuna circostanza che potesse far ritenere plausibile un difetto di corrispondenza fra originali e copie; inoltre, la società contribuente non poteva contestare la regolarità della notifica d ell’atto precedente, se regolarmente notificato e non impugnato, in quanto si verificava una preclusione rispetto alla possibilità di contestare pretesi vizi di ulteriori
atti notificati anteriormente a quello precedente, con la conseguenza che era i rrilevante l’esame di tutte le argomentazioni espresse dalla parte appellante e dalla resistente con riguardo alla notifica delle cartelle di pagamento, dovendosi peraltro condividere quanto fermato dalla CTP sulla circostanza che le attestazioni contenute nelle relate di notifica facevano fede fino a querela di falso; dovevano essere, pertanto, prese in considerazione soltanto le eccezioni e contestazioni svolte rispetto alle intimazioni di pagamento n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA notificate mediante pec, rispettivamente, in data 10 marzo 2016 e 28 ottobre 2016 e, in ordine a tali eccezioni, doveva essere ribadita la necessità che la contestazione della conformità di copie all’originale non fosse generica e l’infondatezza dei rilievi sulla invalidità della notifica degli atti della riscossione a mezzo PEC;
-) sul sesto e settimo motivo di appello: non era violato l’art. 7 della legge n. 212 del 2000, in quanto l’intimazione di pagamento impugnata conteneva, sotto il profilo formale, tutti i requisiti e le indicazioni previste per tale tipologia di atto, che era ovviamente basato e preceduto da altri atti con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva comunicato le ragioni di merito poste alla base del recupero fiscale o della irrogazione di sanzioni; la trasmissione via PEC certificava l’autenticità del testo e degli allegati e l’intimazione era un atto meramente ricognitivo di una situazione debitoria già accertata e notificata al contribuente ed esprimeva semplicemente, in particolare con riguardo alla interruzione del termine di prescrizione, la volontà dell’Ufficio di procedere alla esazione delle somme dovute ; quanto al contenuto della intimazione, le modalità di calcolo degli interessi e la determinazione di somme aggiuntive ed aggi, l’int imazione di pagamento era redatta in conformità ad un modello adottato in via generale e conteneva tutti gli elementi che consentivano al
contribuente di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, come nella specie era, in effetti, avvenuto;
-) sull’ ottavo motivo di appello: erano inammissibili le censure con le quali si censurava l’ omessa pronuncia sulle contestazioni avverso la formazione del ruolo; n ell’impugnare un atto notificato la società contribuente poteva contestare la regolarità della notifica di quello immediatamente precedente, ma se l’atto immediatamente precedente era stato regolarmente notificato e non impugnato, si verificava una preclusione rispetto alla possibilità di contestare pretesi vizi di ulteriori atti notificati anteriormente a quello precedente;
-) sul nono motivo di appello : era infondata l’eccezione di prescrizione, stante la corretta notificazione della intimazione di pagamento e delle sottese cartelle e tenuto conto della regolare notifica degli avvisi di intimazione di pagamento allegati al fascicolo di primo grado e atteso che, per calcolare il termine di prescrizione, occorreva considerare l’ultimo atto notificato prima di quello impugnato, ovvero le intimazioni di pagamento notificate nel 2016 (ed anche il preavviso di iscrizione ipotecaria notificato nel 2018);
-) sul decimo motivo di appello: era infondata la doglianza relativa alla mancata indicazione del metodo di calcolo degli interessi ed ogni altra eccezione relativa al contenuto della intimazione impugnata, in quanto l ‘intimazione di pagamento oggetto d i impugnazione conteneva, sotto il profilo formale, tutti i requisiti e le indicazioni previste per tale tipologia di atto, che era ovviamente basato e preceduto da altri atti con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva comunicato le ragioni di merito poste alla base del recupero fiscale o della irrogazione di sanzioni;
-) sull’ undicesimo motivo di appello: la contestazione sulle spese processuali era generica e come tale inammissibile, in quanto la società appellante, in concreto, non aveva dedotto che l’importo liquidato dal giudice fosse incongruo rispetto agli importi ed ai criteri indicati dal
citato d.m. 55 del 2014; in relazione al valore della controversia (calcolato in base ai criteri di cui all’art. 5, comma 4, del d.m. n. 55 del 2014); tenuto conto sia dell’aumento stabilito dall’art. 6 (per le cause di valore superiore ad euro 520.000,00), sia dei parametri di cui all’art. 4 dello stesso d.m., l’importo stabilito per le spese dal giudice di primo grado rientrava nell’ambito degli importi che po tevano essere liquidati dal giudice e non appariva necessaria una motivazione analitica in ordine alla determinazione degli importi relativi alle singole fasi (di studio, introduttiva, istruttoria e di trattazione, decisionale).
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sette motivi e successiva memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia de lle EntrateRiscossione.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va rilevato che, come rappresentato dall’Agenzia dell’Entrate -Riscossione, a pag. 5 del controricorso, la cartella n. 09720080090894668000 è stata interamente stralciata (art. 4, comma 4 del decreto legge n. 41 del 2021); la n. NUMERO_DOCUMENTO è stata parzialmente stralciata ai sensi della legge n. 197 del 2022 ( l’i mporto residuo è di euro 237,54 oltre oneri accessori); la n. 09720120211101544000 è stata parzialmente stralciata ai sensi della legge n. 197/2022 (l’importo residuo è di 264,00 oltre oneri accessori); la n. NUMERO_CARTA è stata parzialmente stralciata ai sensi della legge n. 197 del 2022 ( l’ importo residuo è di euro 264,00 oltre oneri accessori); la n. NUMERO_CARTA è stata parzialmente stralciata ai sensi della legge n. 197 del 2022 ( l’i mporto residuo è di euro 290,40 oltre oneri accessori).
1.1 In relazione a tali cartelle, e nei limiti di quanto rilevato, va dichiarata la cessazione della materia del contendere.
2. Il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art.2697 c.c., oltre che del principio generale del divieto del ne bis in idem , nella parte in cui aveva ritenuto che l’allegata sentenza n. 6729/2019 del 14 maggio 2019, emessa dalla CTP di Roma, avesse esclusivamente annullato l’analoga ed altrettanto opposta intimazione di pagamento , con esclusione di qualunque statuizione sull’omessa notificazione ed esistenza dei relativi crediti tributari riferiti alle sottostanti cartelle esattoriali. La sentenza n. 6729/2019 della CTP di Roma si era espressamente pronunciata anche sul definitivo omesso assolvimento, da parte dell’ADER, dell’onere probatorio sulla notificazione dei sottostanti atti esattoriali. Vi era stata un’illegittima duplicazione delle identiche pretese impositive svolte attraverso la precedente intimazione di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO contro il medesimo (presunto) debitore (RAGIONE_SOCIALE, anzitempo annullata dalla stessa CTP di Roma con sentenza n. 6 729/2019 del 14 maggio 2019, stante l’accertato omesso assolvimento del sottostante onere probatorio sia sulla notificazione dei sottostanti atti esattoriali, sia sulla proposizione di alcun impugnazione, con la conseguente fondatezza della dedotta inammissibilità e/o improcedibilità delle medesime pretese erariali, successivamente svolte dall’ADER attraverso l’ intimazione di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO impugnata in questa sede.
3. Il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata poiché corredata da motivazione apparente, comunque manifestamente illogica e contraddittoria, peraltro in violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli art. 112, 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. , oltre che dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c., avendo contraddittoriamente
statuito, rispetto alla richiamata sentenza n. 6729/2019 della CTP di Roma, che la medesima, da un lato, non si sarebbe pronunciata sull’esistenza e regolarità della notificazione delle sottostanti cartelle esattoriali; dall’altro lato, che nel sottostante giudizio di merito l’ADER mai aveva dimostrato la notificazione dei suesposti atti esattoriali. Si tratta di motivazioni che sono state smentite dalle contrapposte statuizioni contenute nella richiamata sentenza n. 6729/2019 della CTP di Roma laddove, pro prio con espresso riferimento all’accertamento dell’effettiva e corretta esistenza della notificazione alla società contribuente dei sottostanti atti esattoriali, era stato testualmente statuito: «(…) L’amministrazione preposta alla riscossione (…) pur onerata della prova della notificazione delle cartelle di pagamento, che la RAGIONE_SOCIALE contesta essere mai stata effettuata, mai ha fornito la relativa dimostrazione (…) »; « (…) Ne consegue che l’esazione dei tributi (…) non risulta ess ere stata mai preannunciata, con conseguente nullità della successiva intimazione di pagamento (…) ».
4. Il terzo motivo deduce rispetto al giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata poiché corredata da motivazione apparente, peraltro in violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art.118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 1, ottavo comma, del decreto legge n. 193 del 2016 e ss., nonché dell’art. 43, quarto comma, R.D. n.1611 del 1933 e dell’art. 11, secondo comma, ed art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, poiché, mediante un semplice copia e incolla del testo della disposizione dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992, aveva ritenuto legittima la costituzione, in data 17 settembre 2021, dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione mediante avvocato del
libero foro, omettendo l’esame e la pronuncia sulle reiterate e tempestive contestazioni svolte dalla ricorrente sull’esistenza della suesposta circostanza e delle sottostanti previsioni e disposizioni convenzionali e regolamentari. La società ricorrente aveva ribadito la fondatezza della dedotta ed insanabile omessa allegazione e dimostrazione, della controparte, sia di alcun rispettivo atto organizzativo generale legittimante l’intervenuto ricorso ad un avvocato del libero foro, sia di alcuna relativa deliberazione indicante le sottostanti ragioni e/o sistema conflittuale implicante il mancato ricorso al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, nonché la fantomatica indisponibilità della stessa ad assumere il patrocinio. L ‘impugnata sentenza, in evidente spregio degli imprescindibili criteri di ripartizione dell’onere probatorio, nonché omettendo qualunque doverosa disamina e pronuncia sulla comprovata rilevanza probatoria delle suesposte circostanze, aveva apoditticamente ed erroneamente considerato ammissibile l’avvenuta costituzione, nel precedente grado di giudizio di primo grado davanti alla CTP di Roma dell’ADER mediante avvocato del libero foro esclusivamente ed incomprensibilmente limitandosi a trascrivere integralme nte la disposizione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992, oltre a richiamare apoditticamente taluni precedenti giurisprudenziali, peraltro senza fornirne gli estremi e riportarne il contenuto, così omettendo qualunque doverosa e concreta indicazione ed esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a base del rispettivo convincimento; il tutto traducendosi, in pregiudizio anche del diritto di difesa della società contribuente ex art. 27, Cost., nell’impossibilità oggettiva di individuare l’effettiva ratio decidendi.
5. Il quarto motivo deduce rispetto al giudizio di secondo grado, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art.2697 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art.118, primo
e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, stante l’omesso esame e l’omessa pronuncia sull’eccepita inammissibilità, in via pregiudiziale, della costituzione, in data 17 settembre 2021, dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione tramite avvocato del libero foro nel giudizio di secondo grado. La società ricorrente aveva eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’ADER mediante avvocato del libero foro, d educendo l’omessa allegazione e dimostrazione, della controparte, sia di alcun rispettivo atto organizzativo generale legittimante l’intervenuto ricorso ad un avvocato del libero foro, sia di alcuna relativa deliberazione indicante le sottostanti ragioni e/o sistema conflittuale implicante il mancato riscorso al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Conseguentemente, sempre in via pregiudiziale, previa anche declaratoria di nullità/inesistenza giuridica della rispettiva procura alle liti conferite all’avv . NOME COGNOME nonché del rispettivo atto di controdeduzioni sulla stessa basato, la società ricorrente aveva insistito affinché venisse dichiarata l’inammissibilità della costituzione anche nel precedete grado di giudizio dell’ADER, conseguentemente disponendo l’estromissione e lo stralcio di tutti i rispettivi atti, unitamente alle relative produzioni documentali.
6. Il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art.132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art.118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, st ante l’omesso esame e pronuncia sull’eccepita inammissibilità, in via pregiudiziale, della costituzione, nei precedenti gradi di giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione per l’insanabile assenza, presso i corrispondenti procuratori speciali (Dott. NOME COGNOME controversia
n. 15373/2019 RG – CTP di Roma; dott. NOME COGNOME, controversia n. 3527/20121 RG -CGT di secondo grado del Lazio), di qualunque qualifica e/o carica tale da legittimarne, per conto dell’ADER, il valido rilascio di procura alle liti ad avvocati del libero foro. 7. Il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 c.c., oltre che dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 214 e 215 c.p.c. e dell’art. 19, terzo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, per aver ritenuto processualmente accertata l’esistenza e la notificazione degli atti impositivi presupposti all’opposta intimazione di pagamento stante la genericità della disconosciuta conformità agli originali delle copie fotostatiche della documentazione prodotta dall’ADER e la comprovata notificazione degli atti prodromici nonché quella delle richiamate intimazioni di pagamento notificate a mezzo pec in data 10 marzo 2016 e 28 ottobre 2016. Era manifestamente infondata sulla fantomatica efficacia preclusiva della notificazione della precedente intimazione di pagamento rispetto alla contestazione, nei precedenti gradi di giudizio, sull’esistenza e validità della notificazione delle medesime cartelle esattoriali poste a fondamento dell’ulteriore intimazione di pagamento qui opposta. Nel precedente grado di giudizio, la società ricorrente aveva contestato non solo la notificazione dei sottostanti atti impositivi, bensì la formazione e la rilevanza probatoria delle produzioni documentali dell’ADER . In particolare, la società ricorrente aveva ritualmente disconosciuto, indicandone gli aspetti differenziali, la conformità agli originali delle copie fotostatiche sia degli estratti di ruolo, sia dei referti di notifica (tanto a mezzo posta, quanto mediante pec), delle cartelle di pagamento di cui all’intimazione di pagamento oggetto di causa, oltre che degli asseriti avvisi di intimazione di pagamento ivi richiamati, di cui alle controdeduzioni della controparte. Nel contempo, era stata disconosciuta l’autenticità e riferibilità alla società RAGIONE_SOCIALE delle scritture e delle
sottoscrizioni ivi apposte . Né l’Agente della Riscossione aveva proposto la relativa istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. (cfr. da pag. 30 a pag. 43 del ricorso per cassazione). In definitiva, per effetto delle eccezioni e contestazioni sollevate , a parte l’insanabile omesso assolvimento, da parte dell’ADER, dell’onere della prova sull’asserita formazione e spedizione, oltre che notificazione, degli avvisi di intimazione in premessa, la medesima mai aveva assolto alcun corrispondente onere probatorio sulla fantomatica esistenza ed intervenuta notificazione, nell’intervallo di tempo 10 marzo 2016 -28 ottobre 2016, delle intimazioni di pagamento n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA
Il settimo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata poiché corredata da motivazione apparente, altresì in violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2948 c.c., nonché degli artt. 2697, 2712 e 2719 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che degli artt. 214 e 215 c.p.c., per aver disatteso l’eccepita decadenza e/o prescrizione della pretesa tributaria rispetto alla somma di euro 755.899,42, di cui all’opposta intimazione di pagamento. La comprovata inesistenza della notificazione dei richiamati atti esattoriali e dei corrispondenti atti interruttivi della decorrenza del termine prescrizionale consentivano di ritenere fondata l’eccepita prescrizione quinquennale del credito erariale. In ogni caso, anche nella denegata ipotesi si ritenesse assolto il sottostante onere probatorio, da parte dell’Agente della Riscossione, sulla notificazione dei sottostanti atti esattoriali, la società contribuente nulla doveva, essendo ampiamente decorso il termine di cinque anni previsto per l’esercizio del diritto alla riscossione.
Il secondo motivo, la cui trattazione è prioritaria perché involge il difetto di motivazione (motivazione contraddittoria), rispetto alla richiamata sentenza n. 6729/2019 della CTP di Roma, è infondato.
9.1 Come questa Corte ha già precisato « a seguito della riformulazione del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., disposta dall’art. 54 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione è stato ridotto al c.d. ‘minimo costituzionale’, sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 e succ. conf.; da ultimo, Cass. 3 marzo 2022, n. 7090) » (Cass., 4 agosto 2023, n. 23893).
9.2 Inoltre, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232, citata; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124) e allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del « minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., 30 giugno 2020, n. 13248;
Cass., 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., 13 aprile 2021, n. 9627).
9.3 Questo vizio non è riscontrabile nel caso di specie, laddove i giudici di secondo grado, decidendo sulla dedotta efficacia preclusiva, rispetto all’emissione dell’atto impugnato, della precedente sentenza n. 6729/2019 del 14 maggio 2019 emessa dalla CTP di Roma, ha ritenuto che la CTP si era limitata ad affermare che l’esazione dei tributi relativamente alle cartelle esattoriali di competenza del giudice tributario non risultava essere stata mai preannunciata, con conseguente nullità della successiva intimazione di pagamento e che l’intimazione di pagamento doveva e ssere preceduta dalla notifica delle cartelle esattoriali, in quanto la correttezza del procedimento di esazione della pretesa tributaria era assicurata dal rispetto di una sequenza procedimentale di atti debitamente notificati, così concludendo che « la circostanza che nel pregresso giudizio non fosse stata documentata la notifica delle presupposte cartelle di pagamento non preclude che l’agente della riscossione possa emettere un nuovo avviso di intimazione relativamente alle cartelle la cui notifica possa essere in effetti oggetto di prova » (cfr. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).
9.4 Si tratta di affermazioni che, contrariamente a quanto affermato dalla società contribuente, non sono state affatto smentite dalle statuizioni contenute nella richiamata sentenza n. 6729/2019 del 14 maggio 2019 della CTP di Roma laddove, per come riportato alle pagine 12 e 13 del ricorso per cassazione, era stato affermato che: «(…) L’amministrazione preposta alla riscossione (…) pur onerata della prova della notificazione delle cartelle di pagamento, che la RAGIONE_SOCIALE contesta essere mai stata effettuata, mai ha fornito la relativa dimostrazione (…) » ed ancora che « (…) Ne consegue che l’esazione dei tributi (…) non risulta essere stata mai preannunciata, con conseguente nullità della successiva intimazione di
pagamento (…) » e che, in ogni caso, non si caratterizzano per una irriducibile contraddittorietà interna, con la conseguente insussistenza del vizio di motivazione apparente, così come dedotto, sotto il profilo dell’incongruenza tra premesse e conclusioni (Cass. , 5 luglio 2017, n. 16502). La motivazione, sul punto, dunque, è stata svolta e non è nemmeno contraddittoria, nè al di sotto del minimo costituzionale, non sussistendo un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, tale da non consentire l’ identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione stessa (cfr. Cass., 17 agosto 2020, n. 17196).
9.5 Né sussiste la lamentata violazione del principio del ne bis in idem che presuppone la formazione di un giudicato sostanziale, che, nel caso di specie non sussiste ; ed infatti, come rilevato dall’Agenzia delle Entrate Riscossione la sentenza n. 6729/2019 del 14 maggio 2019 emessa dalla CTP di Roma è stata annullata in secondo grado con la sentenza n. 3824/23 del 28 giugno 2023 ed è oggetto di ricorso per cassazione (R.G. n. 25091/2023); si tratta di una produzione che, contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente nella memoria depositata in atti, è del tutto ammissibile in quanto attiene all’esistenza di un giudicato esterno, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, né vi è stato un indebito ampliamento del thema decidendum (come erroneamente assume la società ricorrente nella citata memoria), poiché, nella prospettiva della società ricorrente, l’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA oggetto dell’odierno giudizio è stata emessa illegittimamente, in quanto duplicazione delle identiche pretese impositive svolte attraverso la precedente intimazione di pagamento n. 09720179066411035/00, che era stata annullata dalla CTP di Roma con sentenza n. 6729/2019 del 14 maggio 2019. Non merita, di conseguenza, nemmeno accoglimento l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per inosservanza del requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in relazione alla
mancanza della specifica indicazione degli atti e dei documenti sui quali si fonda il controricorso. La mancata formazione di un giudicato, dunque, non genera alcuna preclusione da «bis in idem», che comporta il divieto di riproposizione della domanda in un altro giudizio; ne consegue, inoltre, che non può porsi una questione di estensione del giudicato, atteso che, non sussistendo un giudicato sul dedotto, a fortiori esso non può essersi formato sul deducibile (Cass., 11 luglio 2024, n. 19039). Al riguardo , deve ribadirsi che, ai sensi dell’art. 2909 c.c. (secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato «a ogni effetto» tra le parti, i loro eredi o aventi causa), il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia In tale ambito, tuttavia, mentre le decisioni su questioni di merito, anche di carattere preliminare, spiegano i loro effetti anche al di fuori del processo e sono vincolanti in tutti i giudizi futuri, le decisioni su questioni processuali, sono suscettibili di formazione del giudicato soltanto nell’ambito dello stesso processo (cosiddetto giudicato formale), e non impediscono la proposizione delle medesime questioni in un successivo e diverso giudizio (Cass., 19 maggio 2021, n. 13605; Cass., 26 febbraio 2019, n. 5486).
Il primo motivo è infondato.
10.1 L’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha introdotto il principio del divieto della doppia imposizione in materia tributaria, prevedendo che la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi. In termini generali può dirsi che la duplicazione di imposta allorché si verifica il medesimo presupposto, sia nei confronti dello stesso soggetto, sia nei
confronti di soggetti diversi, costituisce sostanziale violazione della legge, la cui osservanza il legislatore richiede fin dalla fase dell’accertamento, con la previsione del citato art. 67 (Cass., 23 ottobre 2019, n. 27091; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27625; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25498).
10.2 Questa Corte, in merito alla questione della sussistenza del potere dell’amministrazione finanziaria di rinnovare l’emissione di precedenti atti impositivi oggetto di annullamento da parte del giudice tributario di merito, ha avuto modo di precisare che, ove non si intenda, da parte della medesima amministrazione finanziaria, impugnare la pronuncia e prestare acquiescenza alla decisione del giudice di merito, può, previo annullamento del primo atto nell’esercizio dell’autotutela, provvedere all’emissione del nuovo atto impositivo, ma senza il riparo dell’impedimento della decadenza eventualmente già verificatasi. È invece da escludere che l’amministrazione finanziaria possa reiterare il medesimo accertamento, per sanarne vizi reali o ipotetici, senza annullare il precedente, giacché questo comporta la presenza contemporanea di più atti di imposizione aventi come contenuto il medesimo credito tributario, ciò che è intrinsecamente contraddittorio, gravemente lesivo delle ragioni di difesa del contribuente, ed espressamente vietato dall’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass., 19 marzo 2002, n. 3951) . E’ stato, poi, precisato che l’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera con riguardo ad avviso nullo alla cui rinnovazione ex nunc l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo (Cass. civ., 20 novembre 2006, n. 24620). Si è, infine, precisato che l’emissione del nuovo atto impositivo, avente il medesimo
contenuto e riferito agli stessi anni di imposta, dovrà essere preceduta, ove necessario, dall’annullamento del precedente atto impositivo, ai fini della tutela delle ragioni di difesa del contribuente e del divieto della plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass., 1 ottobre 2018, n. 23675).
10.3 In sostanza, se da un lato deve dirsi sussistente il potere dell’amministrazione finanziaria di procedere alla rinnovazione dell’atto impositivo in caso di caducazione a seguito di annullamento del giudice del merito, purché non sia violato il giudicato e non siano decorsi i termini di prescrizione e di decadenza, l’adozione del successivo atto deve, comunque essere preceduto da un provvedimento, ove necessario, che comporti il definitivo annullamento, da parte dell’amministrazione, dell’atto precedente, in modo da rendere chiaro, al contribuente, che la pretesa impositiva trova fondamento unicamente nel successivo atto.
10.4 Ciò posto, nessuna violazione sussiste nel caso in esame del divieto di doppia imposizione, in quanto la fase che viene in rilievo è la fase di riscossione, successiva alla fase impositiva e di ciò ha dato sostanzialmente conto la sentenza impugnata, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, laddove ha affermato che « la circostanza che nel pregresso giudizio non fosse stata documentata la notifica delle presupposte cartelle di pagamento non preclude che l’agente della riscossione possa emetter e un nuovo avviso di intimazione relativamente alle cartelle la cui notifica possa essere in effetti oggetto di prova » (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Ed invero, mette conto rilevare, che nel caso in esame vengono in rilievo un atto di intimazione di pagamento e le sottostanti cartelle di pagamento, che hanno fatto seguito alle (diverse) pretese tributarie ormai definite in fase di accertamento, e mentre la prima contiene l’esplicitazione di una delineata pretesa tributaria ed integra un sollecito di pagamento, sorretto dalla prospettazione in termini brevi
dell’attività esecutiva (Cass., 17 giugno 2024, n. 16743) , la cartella di pagamento, che assolve alla duplice funzione di notificazione del titolo esecutivo e di intimazione di pagamento, è priva di efficacia esecutiva e, in quanto tale, non è atto che dà inizio alla procedura esecutiva, il cui incipit è, invece, segnato dal pignoramento (Cass., 4 marzo 2024, n. 5637).
11. Il terzo e quarto motivo, che devono essere trattati unitariamente perché riguardanti la medesima questione (costituzione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione mediante avvocato del libero foro nel giudizio di primo e di secondo grado) sono infondati, dovendosi, in via preliminare, rigettare l’eccezione di inammissibilità dell’intero controricorso per la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che l’adempimento dell’onere imposto dalla predetta disposizione non dev’essere valutato in relazione al contenuto complessivo del ricorso, ma a quello dei singoli motivi d’impugnazione, verificando se l’esame dell’atto o del documento non indicato specificamente risulti indispensabile ai fini della comprensione delle doglianze proposte dal ricorrente e dei relativi presupposti fattuali (cfr. Cass., Sez. U., 5 luglio 2013, n. 16887) e, al riguardo, va ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vizio che determina la nullità della procura, ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 46, comma 2, della legge n. 69 del 2009, a differenza delle ipotesi di inesistenza della procura, è sempre sanabile in ogni stato e grado del giudizio (Cass., Sez. U., 21 dicembre 2022, n. 37434; Cass., 9 ottobre 2023, n. 28251). Mette conto, in ultimo, rilevare, che non sussiste alcuna violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., in quanto l’Agenzia delle Entrate -Riscossione ha trascritto il contenuto del Protocollo d’Intesa s ottoscritto il 24 settembre 2020, che si applica a
decorrere dall’1 ottobre 2020, nelle parti di rilievo, ivi compreso il par. 3.7, alle pagine 12 e 13 del controricorso.
11.1 Soccorrono, poi, nel senso sia della ammissibilità del terzo e quarto motivo, sia nel senso della loro infondatezza, le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che « Ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dall’art. 43, comma 4, r.d. cit. – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del d.l. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità » (Cass., Sez. U., 19 novembre 2019, n 30008 e, successivamente, Cass., 20 novembre 2020, n. 26531; Cass., 10 giugno 2021, n. 16314; Cass., 24 gennaio 2021, n. 36498).
11.2 Si è, infatti, osservato che, a termini della suddetta Convenzione (Protocollo di intesa), il par. 3.4.2 della stessa, prevede che l’Ente sta in giudizio avvalendosi anche di avvocati del libero foro nelle controversie relative a liti innanzi alle Commissioni Tributarie (Cass., 29 settembre 2020, n. 20646; Cass., 18 settembre 2020, n. 19448).
11.3 Il che, del resto, è conforme al fatto che l’art. 11, comma 2, del d. lgs. n. 546 del 1992 riguarda la rappresentanza processuale dell’Agente della riscossione, ossia la capacità e alla legittimazione a stare in giudizio dell’organo che rappresenta l’ente, laddove la difesa tecnica è disciplinata dal successivo art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992. Se, pertanto, la rappresentanza processuale può essere assunta da un delegato a sottoscrivere l’atto difensivo (Cass., 14 ottobre 2015, n. 20628), questa delega può essere conferita anche a un avvocato del libero foro, in considerazione del fatto che l’attribuzione all’agente della riscossione della capacità di stare in giudizio direttamente o mediante la struttura sovraordinata non esclude la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, ai sensi dell’art. 12 del d.gs. n. 546 del 1992 (Cass., 15 ottobre 2018, n. 25625 e, più di recente, Cass., 15 febbraio 2021, n. 3864).
11.4 La sentenza impugnata, affermando che la costituzione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione a mezz o dell’avvocato del libero foro, doveva ritenersi valida e pienamente legittima, con conseguente ammissibilità della costituzione dell’Ente di riscossione , è conforme ai principi suesposti.
Il quinto motivo è inammissibile, poiché il vizio di omessa pronuncia, che può determinare la nullità della sentenza, non è configurabile in ordine alle eccezioni pregiudiziali di rito, come è quella in esame, ma solo rispetto al mancato esame di questioni di merito (Cass., 6 ottobre 2020, n. 21376; Cass., 15 aprile 2019, n. 10422; Cass., 11 ottobre 2018, n. 25154).
12.1 Il motivo è pure infondato perché la Corte di Giustizia di secondo grado si è espressamente pronunciata (non vi è, dunque, alcuna omessa pronuncia) affermando che ≪ Con il quarto motivo è stata eccepita l’inammissibilità della costituzione in giudizio della controparte, stante, nella procura alle liti dimessa telematicamente dall’Agente della Riscossione, l’insanabile assenza di alcuna asseverazione di conformità all’originale mediante sottoscrizione del procuratore con firma digitale. Replica la A.E. Risc. che la procura alle liti depositata nel fascicolo del primo grado di giudizio è originale informatico, sottoscritto digitalmente sia dal Dott. COGNOME che, per autentica, dal difensore Avv. NOME COGNOME come agevolmente riscontrabile tramite la verificazione del relativo file. Essendo il documento esemplare originale (e non una copia), nessuna asseverazione di conformità è necessaria. La Corte rileva anche in questo caso l’infondatezza del motivo di appello, sia per quanto indicato dalla parte resistente, sia perché la eccezione circa la mancata asseverazione della conformità all’originale non può essere generica, come di seguito esposto con riguardo al quinto motivo di appello ≫ (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
12.2 Il motivo è, in ultimo, pure infondato, in quanto, come si rileva a pag. alle pagine 12 -16 del controricorso, l’appellante ha tempestivamente prodotto in giudizio copia della procura speciale conferita al dott. NOME COGNOME dal cui contenuto, trascritto, in particolare, alle pagine 15 e 16, emerge, l’attribuzione al medesimo del potere di « conferire e revocare mandati ad avvocati… attribuendo loro tutti i necessari poteri per l’espletamento delle singole azioni e procedure », a cui poi ha fatto seguito il conferimento all’Avv. NOME COGNOME della procura alle liti per la costituzione nel giudizio di appello proposto dalla società contribuente.
Il sesto motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza perché, in mancanza di trascrizione delle impugnate cartelle e degli
atti interruttivi nel corpo del ricorso, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto degli atti rispetto a quanto asserito dalla contribuente; ciò che comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone appunto la certa conoscenza del tenore degli atti di cui si discute (Cass., 29 luglio 2015, n. 16010).
13.1 Questo principio, al quale si intende dare continuità, è stato ribadito più di recente da questa Corte, che ha affermato che ≪ In tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso ≫ (Cass., 6 novembre 2019, n. 28570; Cass., 19 dicembre 2022, n. 37170, in motivazione).
13.2 Rilevano, inoltre, due ulteriori profili di inammissibilità della censura formulata, sia perché censura un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sia perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, avendo i giudici di secondo grado affermato, come già i giudici di primo grado, che « Nel caso di specie non vi è stata una contestazione specifica e circostanziata ma un generico e onnicomprensivo, e quindi inammissibile, ‘disconoscimento’ della conformità agli origin ali di tutte le copie di documenti prodotte dalla resistente, senza indicazione di alcuna circostanza che possa far ritenere plausibile un difetto di corrispondenza fra originali e copie » e che « Nell’impugnare un atto notificato, quindi, il contribuente può contestare la regolarità della notifica di quello immediatamente precedente, ma se l’atto immediatamente precedente è stato regolarmente notificato e non
impugnato, si verifica una preclusione rispetto alla possibilità di contestare pretesi vizi di ulteriori atti notificati anteriormente a quello precedente. In altre parole, se viene notificata una intimazione di pagamento precedente a quella impugnata (come avvenuto nel caso di specie), non può essere contestata, in sede di impugnazione della seconda intimazione di pagamento, la esistenza o validità della notifica Appare pertanto irrilevante l’esame di tutte le argomentazioni espresse dalla parte appellante e dalla resistente con riguardo alla notifica delle cartelle di pagamento. Dovendosi peraltro condividere quanto affermato dalla CTP sulla circostanza che le attestazioni contenute nelle relate di notifica fanno ». La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, poi, con specifico riferimento, alle intimazioni di pagamento n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA, notificate mediante pec, rispettivamente, in data 10 marzo 2016 e 28 ottobre 2016, ha ribadito che in ordine alla necessità che, in ordine alle eccezioni formulate dalla la fosse generica dei rilievi sulla invalidità della notifica degli atti della riscossione a mezzo PEC (cfr. pagine 8 e 9 della sentenza impugnata).
Ciò, peraltro, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte e parziali o le riproduzioni per estratto, rilasciate nella forma prescritta da pubblici ufficiali che ne sono depositari e sono debitamente autorizzati, fanno piena prova solo per quella parte dell’originale che riproducono gli atti depositati in corso di causa da parte dell’Ufficio non possono essere considerati come semplici scritture, bensì copie conformi all’originale sia dell’avviso di » (Cass., 5 novembre 2024, n. 28373). È stato pure precisato che il disconoscimento deve essere circostanziato e non generico e indicare i delle pregresse cartelle esattoriali. fede fino a querela di falso società appellante, doveva essere ribadita la necessità che contestazione della conformità di copie all’originale non e l’infondatezza 13.3 secondo cui, « ai sensi dell’art. 2718 cod. civ., le copi letteralmente », con la conseguenza che « ricevimento della cartella di pagamento che dell’estratto di ruolo
documenti specifici che si contestano e gli aspetti che a parere del ricorrente sono difformi dall’originale, allegando idonea prova (Cass. 2 settembre 2016, n. 17526; Cass. 13 maggio 2021, n. 12794). Inoltre, il disconoscimento della conformità all’originale della copia disciplinato dall’art. 2719 cod. civ. richiede che tale disconoscimento sia effettuato, a pena di inefficacia, mediante dichiarazione che evidenzia in modo chiaro e univoco il documento che si intende contestare e gli aspetti differenziali rispetto all’originale, essendo poi rimesso al giudice l’accertamento di detta conformità attraverso le prove offerte in giudizio, comprese le presunzioni, a differenza di quanto si verifica per il disconoscimento della scrittura privata ex art. 215, comma 1, n. 2, c.p.c., che, in mancanza di verificazione, ne impedisce l’utilizzabilità (Cass., 18 marzo 2025, n. 7167; Cass., 7 ottobre 2024, n. 26200).
13.4 Ancora secondo il costante insegnamento di questa Corte « In tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova, il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio non incide in alcun modo sulla validità della iscrizione a ruolo del tributo, poiché si tratta di atto interno e privo di autonomo rilievo esterno, trasfuso nella cartella da notificare al contribuente » (Cass., 7 settembre 2018, n. 21844; Cass., 12 gennaio 2021, n. 237).
13.5 Costituisce, poi, ius receptum il principio per cui, in mancanza di una sanzione espressa (e quindi diversamente dall’avviso di accertamento, che a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui
delegato), opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, sicché, atteso il principio di tassatività delle nullità, tale sanzione non può trovare applicazione (Cass., 31 ottobre 2018, n. 27871); inoltre, la Corte ha chiarito che « in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacché l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione » (Cass., 31 dicembre 2015, n. 26053; Cass., 29 agosto 2018, n. 21290); in conclusione, « il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio -al pari della mancanza di sottoscrizione della cartella di pagamento, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana -non incide in alcun modo sulla validità dell’iscrizione a ruolo del tributo » (cfr. Cass., 3 ottobre 2016, n. 19761, nonché Corte Costituzionale n. 117 del 21 aprile 2000, secondo cui costituisce «diritto vivente» il principio in base al quale « l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene » (Cass., 24 luglio 2018, n. 19587).
13.6 Deve, pure, precisarsi che in tema di notificazione di atti amministrativi tributari, e non di notificazione di atto giudiziario, non trova applicazione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 10 gennaio 2020, n. 299, secondo cui «In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento
e del Consiglio dei 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di un atto giudiziario eseguito dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla l. n. 124 del 2017 » e che « In tema di notificazioni a mezzo posta di atti impositivi, per effetto dell’art. 4 del d.lgs. n. 261 del 1999 e succ. modif., è valida la notifica compiuta – nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione attuata col d.lgs. n. 58 del 2011 e quella portata a pieno compimento dalla l. n. 124 del 2017 – tramite operatore postale privato in possesso dello specifico titolo abilitativo costituito dalla “licenza individuale” di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 261 cit., configurandosi l’ipotesi di inesistenza della notificazione in casi assolutamente residuali » (Cass., 20 luglio 2020, n. 15360 e, più di recente, Cass., 22 luglio 2021, n. 21011); inoltre, « In tema di notificazioni a mezzo posta, nel regime posteriore all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017, è nulla la notifica di un atto processuale effettuata per il tramite di un operatore di posta privata sprovvisto della licenza individuale relativa allo svolgimento del servizio di recapito postale, in quanto solo il rilascio del titolo abilitativo comporta la soggezione a un regime giuridico particolare, fonte di conferimento di diritti, ma anche di assunzione di obblighi specifici » (Cass., 25 marzo 2024, n. 7978).
13.7 Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato che, in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la maggiore rigidità del sistema delle
notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC e che la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo la notifica raggiunto lo scopo senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazion e (Cass., Sez. U., 18 maggio 2022, n. 15979; Cass., 28 settembre 2018, n. 23620) e che l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI -Pec appare testualmente riferito al destinatario della notifica, mentre con riguardo al notificante è previsto unicamente l’u tilizzo « di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi» , con il conseguente corollario che « la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato articolo 3 bis della legge n. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve la notificazione e siffatta diversità di trattamento normativo, non configura alcuna disparità di trattamento; le prescrizioni che inerisco no all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’indirizzo di p.e.c. inserito, diversamente da quanto accade per il mittente » (cfr. Cass. , 3 luglio 2023, n. 18684, citata, in motivazione). 14. Il settimo motivo, relativo all’eccepita prescrizione quinquennale del credito erariale, è inammissibile perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, nella parte in cui, sul presupposto della corretta notificazione della intimazione di pagamento
e delle sottese cartelle e della regolare notifica degli avvisi di intimazione di pagamento allegati al fascicolo di primo grado, ha rilevato che per calcolare il termine di prescrizione occorreva considerare l’ultimo atto notificato prima di quello impugn ato, nel caso di specie le intimazioni di pagamento, notificate nel 2016 e il preavviso di iscrizione notificato nel 2018 (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
14.1 Inoltre, mette conto rilevare che « Il credito erariale per la riscossione dell’imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo) è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all’art. 2948 c.c., n. 4, “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivo”. Crediti di imposta sono, in via generale, soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 c.c., a meno che la legge disponga diversamente (come, ad esempio, la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, per i contributi previdenziali) e, in particolare i crediti IRPEF e IVA sono soggetti alla prescrizione decennale » (Cass., 19 febbraio 2025, n. 4385; Cass., 29 novembre 2023, n. 33213).
15. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara la cessazione della materia del contendere con riferimento alla cartella n. NUMERO_CARTA; alla cartella n. 09720110201700574000 , fatta eccezione per l’ importo residuo di euro 237,54 oltre oneri accessori; alla cartella n. NUMERO_CARTA, fatta eccezione per l’importo residuo di 264,00 , oltre oneri accessori; alla cartella n. NUMERO_CARTA fatta eccezione per l’ importo residuo di euro 264,00 oltre oneri accessori; alla cartella n. NUMERO_CARTA fatta eccezione per l’ importo residuo di euro 290,40, oltre oneri accessori.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2025.