Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9185 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9185 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 23118/2023 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli uffici di quest ‘ ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME , nato a Sant’Antimo (NA) il 2 settembre 1965 e residente in Chioggia (VE), al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ EMAIL ‘) ;
-controricorrente – n. 23118/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 28 gennaio 2025
Tributi – IVA, IRAP
e
IRPEF
–
Intimazione
di
pagamento.
nonché
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Roma, alla INDIRIZZO
– intimata –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania n. 2650/2023, pubblicata il 24 aprile 2023;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del controricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
lette le note scritte depositate dal P.G., nella persona della dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso ;
FATTI DI CAUSA
1.- Il contribuente COGNOME, pur non avendo impugnato l’avviso di accertamento a lui notificato, ricorreva avverso l ‘ intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA lamentando la nullità della stessa per insussistenza del presupposto impositivo, per intervenuta decadenza dal potere di agire dell’Agenzia delle Entrate e per carenza di adeguata motivazione. Si opponeva, infine, alla riscossione delle sanzioni di cui all’accertamento non ritenendole irrogabili nei suoi confronti.
Mentre l’Agenzia delle Entrate – Riscossione rimaneva contumace, l’Agenzia delle Entrate resisteva in giudizio osservando che l’avviso di accertamento, propedeutico all’opposto provvedimento era stato regolarmente notificato in data 3 aprile 2018, come confermato peraltro dalla stessa parte ricorrente e incontrovertibilmente accertato, stante l’operatività del principio di non contestazione; pertanto, essendosi definita la pretesa erariale contenuta in quel provvedimento, legittima era la richiesta di pagamento di cui alla contestata intimazione.
In proposito, l’amministrazione finanziaria sottolineava come il contribuente avrebbe dovuto sollevare esclusivamente questioni attinenti
ai vizi di forma dell’intimazione di pagamento, ai sensi di quanto disposto dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, il quale prevede la possibilità di discutere della legittimità e della fondatezza della pretesa tributaria solo ove non sia stato regolarmente notificato l’atto prodromico.
Nel caso di specie, il pregresso accertamento era stato correttamente notificato. L’opposta intimazione, inoltre, secondo la prospettazione dell’amministrazione finanziaria, risultava sufficientemente motivata in quanto conteneva tutti gli elementi idonei ad evidenziare le ragioni per le quali era stata emessa.
La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 5917/10/2019, rigettava il ricorso del contribuente. All’uopo, i giudici di prime cure constatavano la regolarità della notificazione dell’avviso di accertamento e la conseguente definitività dello stesso per omessa impugnazione e così motivavano: « Osserva il Collegio che il ricorso deve essere rigettato perché la parte resistente ha dato prova di aver regolarmente notificato l’avviso di accertamento n. TF7020200275, notificato in data 03.04.2018 e resosi definitivo per mancata impugnazione. Esso costituisce fondamento dell’atto di intimazione pure esso impugnato. Non vi è quindi alcuna decadenza della pretesa azionata. I motivi di merito sono assorbiti in considerazione della definitività dell’avviso di accertamento non impugnato. Il ricorso deve essere rigettato. Spese compensate per giusti motivi. ».
2.- La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, investita dall ‘ appello proposto dal contribuente, con la sentenza oggetto dell ‘ odierna impugnazione, lo accoglieva parzialmente, dichiarando la responsabilità del contribuente solo nella misura del 3% (tre percento), quale socio accomandante titolare di detta quota della società RAGIONE_SOCIALE
In particolare, il contribuente aveva lamentato: 1) la violazione degli artt. 42 e 43 d.P.R. 600 del 19 73, in quanto l’avviso di accertamento non gli era stato notificato quale (ex) socio della cessata società RAGIONE_SOCIALE
ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 e l’avviso di intimazione sarebbe stato il primo atto attraverso cui egli era venuto a conoscenza della pretesa tributaria; 2) la violazione sia del menzionato art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, che del l’art. 2313 del c.c. , sostenendo, inoltre, che la propria responsabilità avrebbe dovuto essere limitata, quale socio accomandante, alla propria quota di partecipazione pari al 3% (tre percento) del capitale sociale ex art. 2313 c.c..
A sostegno dell ‘ adottata pronuncia, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado rilevava, per quanto di interesse in questa sede, che: « nell’anno 2018 l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Caserta emetteva l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO in capo alla società RAGIONE_SOCIALE di Aprileo Giulio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 39, comma 2 e 41 bis DPR 600/73, accertando il maggior reddito della stessa sulla scorta delle risultanze del PVC redatto dalla Guardia di Finanza -Compagnia di Caserta il 19.06.2016, in prosecuzione dell’attività ispettiva avviata dalla Guardia di Finanza di Milano in seno al procedimento penale n. 37/2013. In data 03.04.2018 del predetto avviso di accertamento societario era notiziato anche l’odierno appellante, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, socio accomandante al 3% della accertata RAGIONE_SOCIALE con una quota del valore di nominali € 300,00 e quest’ultimo in data 18.05.2018 proponeva istanza di accertamento con adesione in relazione all’atto societario, istanza rigettata dall’Amministrazione Finanziaria di Caserta per ‘mancanza di legittimazione’ in capo all’odierno ricorrente dacché ‘l’oggetto del contraddittorio e della conseguente definizione è rappresentato innanzitutto dalla posizione della società e della associazione e, subordinatamente, dalle quote di reddito imputabili a ciascun socio o associato secondo il principio della trasparenza fissato dall’art. 5 TUIR’. Con successivo avviso di accertamento notificato il 30.08.2018, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Venezia recuperava in capo all’appellante il maggior reddito da partecipazione come accertato in capo alla società RAGIONE_SOCIALE tempestivamente impugnato. In data 29.07.2019,
Agenzia Entrate Riscossione – Agente per la Riscossione di Caserta notificava al sig. COGNOME l’intimazione n. NUMERO_CARTA ingiungendo il pagamento della complessiva somma di € 754.147,79 dovuta dalla società RAGIONE_SOCIALE per imposta e sanzioni. Così ricostruita la vicenda in punto di fatto evidenzia la Corte come nessun comportamento omissivo possa essere imputato all’odierno appellante relativamente all’avviso di accertamento emesso da Agenzia delle Entrate nei confronti della società, avendo lo stesso formulato una istanza di accertamento per adesione rigettato dall’AF per difetto di legittimazione passiva. Nel merito poi non è in contestazione la circostanza che l’appellante sia socio accomandante della RAGIONE_SOCIALE con una quota pari al 3% dell’intero capitale sociale. L’appellante, peraltro, proprio quale socio accomandante di una società in accomandita semplice, risponde del debito tributario gravante sulla società solo ed esclusivamente nei limiti della propria quota ai sensi dell’art. 2313 c.c., norma di carattere generale che non subisce deroghe od eccezioni. L’appellante pertanto risponde nei limiti della propria quota di partecipazione quale socio accomandante della RAGIONE_SOCIALE (dunque nella misura del 3%) e risponde anche per le sanzioni. Ciò in applicazione del principio secondo cui “Il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato al socio ai fini dell’IRPEF, giusta il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5, in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 46. Tale principio si applica anche al socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tale specie di soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti; la sanzione non viene, quindi, irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dal D.lgs. n. 472 del 1997, art. 5, consistendo, nel suo caso, la colpa nell’omesso o
insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320 c.c., u.c.’. (Cass. Ordinanza n. 16116 del 28 giugno 2017). In conclusione, l’appello va accolto ed in riforma della impugnata sentenza va dichiarata la responsabilità dell’appellante solo nella misura del 3%, quale socio accomandante titolare di detta quota della ‘RAGIONE_SOCIALE ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, l ‘ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo.
4.- Il contribuente ha resistito con controricorso e ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c..
5.L’Agenzia delle Entrate – Riscossione è rimasta intimata.
6.Il Pubblico Ministero ha depositato note scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo, l ‘ amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 c.p.c..
Sostiene, in particolare, che la decisione dei giudici di secondo grado avrebbe violato l’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere inammissibilmente travalicato la definitività per mancata impugnazione dell’avviso di accertamento n. TF7020200275, regolarmente notificato al contribuente, in ordine alla responsabilità di soci, amministratore e liquidatore, ivi contestata ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973.
Infatti, in presenza di regolare notificazione dell’atto presupposto della impugnata intimazione, sarebbe stato onere del contribuente impugnare tempestivamente l’avviso di accertamento, notificatogli personalmente, al fine di vedere riconosciuta la propria estraneità rispetto alla responsabilità per debiti tributari della s ocietà di cui all’atto impositivo.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, tralasciando e non osservando due principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico,
quali quello di certezza del diritto e quello di non contestazione, si sarebbe spinta a valutare la legittimità e la fondatezza di un provvedimento cristallizzato dalla rinuncia di controparte ad agire in giudizio a difesa dei propri diritti ed interessi. Ciò avrebbe condotto la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado a travalicare l’ambito del suo sindacato il cui oggetto ben definito era ed è solo ed unicamente l’intimazione di pagamento opposta dal ricorrente, cosicché l’organo giurisdizionale avrebbe violato il preciso contenuto dell’articolo 19 d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, al comma 3, prevede e concede la possibilità di impugnare soltanto per vizi propri gli atti di riscossione basati su provvedimenti impositivi pregressi e ormai divenuti inoppugnabili.
Ancora, secondo la prospettazione dell’amministrazione finanziaria ricorrente, il contribuente COGNOME, la cui posizione è parificabile a quella del convenuto nel processo civile, in quanto l’avviso di accertamento funge, tra l’altro, da provocatio ad opponendum , non solo non avrebbe mai contestato la notificazione dell’accertamento societario avvenuta nei suoi confronti a mani proprie in data 3 aprile 2018, ma l ‘avrebbe pacificamente ammessa alle pagg. 1, 3, 6 e 8 del ricorso di primo grado, riprodotte nelle pagg. 5 e 6 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità. La regolarità della notificazione suddetta sarebbe stata rilevata anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, nella motivazione della sentenza di primo grado (anch’essa riprodotta nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, a pag. 7).
L’amministrazione finanziaria ricorrente evidenzia, ancora, che la definitività dell’avviso di accertamento a vrebbe rappresentato, di fatto, uno sbarramento alla possibilità di impugnare per vizi non propri l’atto di intimazione, come, del resto, chiarito dalla giurisprudenza di legittimità.
Infine, sempre alla stregua della prospettazione della ricorrente, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., entrando nel merito della responsabilità del contribuente e limitandola alla sua quota societaria, trattandosi di questione mai dedotta
dal contribuente, nell’ambito del giudizio di primo grado instaurato mediante il suo ricorso avverso l’atto di intimazione impugnato.
2.- La censura è pienamente fondata.
Ed invero, risulta incontroverso che al contribuente venne notificato in data 3 aprile 2018 l’ avviso di accertamento ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 e che lo stesso non venne impugnato nei termini di legge, così acquisendo definitività. La circostanza emerge, in tutta la sua evidenza, sia dalle parti del ricorso proposto in primo grado del contribuente e trascritte nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (alle pagg. 5 e 6 di quest’ultimo) , sia dalla motivazione della sentenza di primo grado (anch’essa trascritta nel corpo del ricorso per cassazione proposto dall’amministrazione finanziaria , alla pag. 7), nonché dalla motivazione della sentenza oggetto dell’odierna impugnazione. Peraltro, è appena il caso di evidenziare come tale avviso di accertamento, oltre ad essere stato, in parte, trascritto nelle pagg. 9-12 del ricorso per cassazione, risulti altresì essere stato prodotto, nel presente giudizio di legittimità, sia dalla ricorrente che dal controricorrente, in allegato ai rispettivi atti processuali. La disamina diretta di tale provvedimento, del resto, risulta pienamente consentita a questa Corte regolatrice, atteso che, con il ricorso per cassazione è stato denunciato un ‘ error in procedendo ‘ (cfr., all’uopo, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 20716 del 13 agosto, 2018, Rv. 65001502, secondo cui « Quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto. »).
Risulta pertanto evidente come qualsivoglia questione relativa al predetto atto impositivo (e, cioè, all’avviso di accertamento notificato il 3 aprile 2018) fosse assolutamente preclusa in sede di impugnazione dell’ intimazione di pagamento, secondo il fermo principio della non
impugnabilità, se non per vizi propri, di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato. Invero, questa Corte regolatrice ha affermato che: « l ‘ intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all’art. 19, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’intimazione predetta (cfr., con riguardo a cartella di pagamento facente seguito ad avviso di accertamento divenuto definitivo, tra le altre, Cass. n. 16641 del 29/07/2011 e Cass. n. 8704 del 10/04/2013). » (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 23046 del l’11 novembre 2016, non massimata).
Inoltre, come del resto evidenziato anche nelle conclusioni del Procuratore Generale, la possibilità di pronunciare su questioni attinenti all’intimazione di pagamento deve essere valutata pur sempre alla stregua di quelle che erano state le ragioni di contestazione prospettate dal contribuente con il ricorso in primo grado.
Orbene, la questione della limitazione della responsabilità del contribuente entro i limiti della propria partecipazione societaria risulta essere stata prospettata dal contribuente solo in sede di giudizio d ‘ appello.
Ciò è quanto può agevolmente desumersi dalla lettura e disamina della sentenza impugnata, in cui si dà atto che la ragione di impugnazione della sentenza di primo grado risiedeva proprio nella mancata limitazione della responsabilità entro la quota di partecipazione.
In particolare, dalla sentenza impugnata si desume come il contribuente, con il ricorso di primo grado, avesse dedotto la « mancata notifica degli atti prodromici e nel merito l’insussistenza della pretesa ».
Tale ricostruzione del ‘ thema decidendum ‘ corrisponde, peraltro, a quanto risulta riprodotto nel ricorso per cassazione (cfr., all’uopo, pagg. 1-2), in cui viene espressamente chiarito che il contribuente, con l’originario ricorso in primo grado, aveva contestato: a) la mancanza del presupposto impositivo; b) la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere impositivo; c) la carenza di motivazione.
Peraltro, la suddetta ricostruzione del ‘ thema decidendum ‘ risulta riscontrata anche da quanto evidenziato dallo stesso contribuente COGNOME, a pag. 6 del proprio controricorso depositato nell’ambito del presente giudizio di legittimità .
In altri termini, il predetto contribuente, mediante l’ impugnazione dell’ intimazione di pagamento, non aveva in alcun modo prospettato alcun profilo di doglianza in ordine all ‘il legittimità di tale atto per mancata correlazione alla limitazione di responsabilità derivante dalla sua quota di partecipazione alla società RAGIONE_SOCIALE quale socio accomandante.
La circostanza, quindi, che era stato acclarato che il contribuente aveva ricevuto la notificazione dell’avviso di accertamento sopra più volte menzionato, profilo immediatamente ammesso mediante il ricorso di primo grado (cfr., all’uopo, sempre la parte di tale ricorso riprodotta a pag. 5 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità), avrebbe dovuto indurre la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado a limitare
il giudizio solo entro gli specifici profili su cui il ricorso si era basato e, cioè, l ‘ eventuale decadenza dal potere impositivo e la carenza di motivazione.
Solo su questi, infatti, si era pronunciata la sentenza di primo grado.
La questione relativa alla limitazione della responsabilità ha quindi costituito un ‘indebita estensione del ‘ thema decidendum ‘ da parte del giudice d’appello , poiché involgente una doglianza non fatta valere dal contribuente con il ricorso da questi proposto in primo grado e che, conseguentemente, non aveva avuto ingresso in tale giudizio con la domanda introduttiva avanzata da COGNOME.
Sotto tale profilo, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania non avrebbe potuto pronunciarsi sulla questione, sebbene essa rientrasse nei motivi d ‘ appello formulati dal contribuente, in quanto essa costituiva, senza dubbio alcuno, una domanda nuova.
Palese, dunque, l a violazione dell’art. 112 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza impugnata, con cui la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado ha ritenuto di poter sindacare il merito della pretesa impositiva di cui all’intimazione di pagamento nei confronti di Terracciano Antimo, riducendola nei limiti della quota di partecipazione del contribuente alla società RAGIONE_SOCIALE in quanto socio accomandante di quest’ultima , nonostante nell’ambito del giudizio di primo grado la deduzione di tale questione fosse radicalmente mancata.
3.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva dunque l’accoglimento del ricorso.
4.Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può senz’altro decisa nel merito con il rigetto del l’originario ricorso del contribuente COGNOME.
6.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del controricorrente e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, invece, in ragione dell’andamento del giudizio, motivi idonei a giustificare l’integrale compensazione delle spese relative ai gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente COGNOME; dichiara interamente compensate le spese relative ai gradi di merito; condanna il controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 8.000,00 (euro ottomila/00), oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,