Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9192 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9192 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3449/2017 R.G. proposto da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO – controricorrente – avverso la sentenza n. 843/16 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, depositata in data 28/6/2016;
udita la relazione della causa svolta dal dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del l’11 dicembre 2024;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi l’ Avvocato NOME COGNOME per il contribuente e l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate;
Fatti di causa
Con separati ricorsi radicati davanti alla C.T.P. di Asti, NOME COGNOME (d’ora in poi, anche ‘il contribuente’ ) impugnò le intimazioni di pagamento T7LIPPN000502013 per l’anno 2008 e T7LIPPN000562013 per l’anno 2007, con cui l’Agenzia delle Entrate lo aveva invitato a provvedere al pagamento delle somme dovute in esito alle sentenze della C.T.P. di Asti n. 99/1/13, depositata il 7/11/2013 con riguardo all’accertamento dell’anno d’imposta 2008, e n. 130/2/2013, depositata il 28/11/2013, con riguardo all ‘accertamento dell’anno d’impost a 2007. Nel contraddittorio con l’Ufficio, la C.T.P. di Asti, riuniti i ricorsi, li rigettò.
Disposta la correzione di errori materiali da cui era affetta la sentenza, il contribuente propose appello e la C.T.R., nel contraddittorio con l’Ufficio, confermò la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d’appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il primo dei quali articolato in più profili.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il Sostituto P.G., nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta.
Il contribuente ha depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., applicabili al rito tributario in forza del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 36 comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546 del 1992 applicabile alla sentenza di secondo grado ad effetto del disposto di cui all’art. 61 d.lgs. n. 546 del 1992, norme che impongono al giudice di enunciare motivazione a suffragio della decisione, art. 111 comma 6 Cost. che dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati nonché violazione dell’art. 112 c.p.c. che impone al giudice di pronunciarsi sulle domande proposte dalle parti’ , il contribuente si duole che la C.T.R. non avrebbe dato risposta alle censure, mosse avverso la sentenza di primo grado, relative ai presupposti del procedimento di correzione degli errori materiali attivato dall’Ufficio .
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1. La sentenza d’appello risponde adeguatamente alle censure del contribuente relative al procedimento di correzione degli errori materiali. Dà atto che la sentenza originaria conteneva imprecisioni solo formali, ininfluenti al fine della sostanziale decisione del merito e che correttamente la C.T.P. le aveva emendate.
Con riferimento, poi, alla circostanza che la sentenza di primo grado originariamente depositata non faceva alcun riferimento all’altra causa riunita, la C.T.R. ha adeguatamente spiegato che tra le cause riunite vi era connessione oggettiva e soggettiva, sostanziale identità di causae petendi e di difese spiegate, sicché non si era trattato di una omessa pronuncia ma solo di una omissione materiale dell’indicazione degli estremi della causa riunita.
1.1.2. Il motivo è infondato anche quanto al profilo di censura relativo alle condizioni di esigibilità delle sanzioni amministrative tributarie , con riferimento all’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000.
Nell’ultima parte della sentenza impugnata, prima del dispositivo, la C.T.R. spiega, in maniera sintetica ma comprensibile, i motivi per i quali erano da respingersi le censure avverso l’irrogazione delle sanzioni, affermando che il contribuente non aveva ancora dimostrato di aver effettuato alcun pagamento degli importi intimati né di aver già subito una condanna penale per gli stessi fatti.
Si tratta di una risposta che pone la sentenza al riparo sia dalla censura di vizio di motivazione apparente, sia dalla censura di omessa pronuncia.
1.1.3. E’ in ammissibile il terzo dei profili di censura in cui è articolato il primo motivo di ricorso.
In particolare, il contribuente si duole della contraddittorietà della sentenza d’appello nella parte in cui, ricostruendo la normativa vigente, da un lato, afferma che, nel caso in cui sia impugnato un avviso di accertamento esecutivo, non è prevista la notificazione di ulteriori atti di intimazione qualora gli importi pretesi dall’amministrazione non siano modificati all’esito del giudizio; dall’altro , afferm a, nonostante che nel caso di specie all’esito dei giudizi di merito gli importi contenuti negli avvisi di accertamento non siano stati modificati, che le intimazioni di pagamento siano correttamente motivate e rispettino i requisiti di legge.
Tuttavia, il contribuente non ha alcun interesse a dolersi del fatto che l’amministrazione gli abbia notificato un atto (intimazione di pagamento) che non gli doveva necessariamente essere notificato.
L’amministrazione , anche seguendo la prospettazione difensiva del contribuente, ha riconosciuto a quest’ultimo una garanzia aggiuntiva, notificandogli una intimazione di pagamento invece di procedere direttamente con la procedura di riscossione forzata, sicché, sotto tale profilo, il contribuente non ha nulla di cui dolersi.
1.1.4. Il quarto profilo del primo motivo di ricorso è parimenti infondato.
Con esso il contribuente si lamenta, in sostanza, che la C.T.R. non si sarebbe pronunciata circa la nullità degli atti di intimazione per mancata indicazione degli elementi necessari al computo degli interessi, indicati solamente nella cifra fissa finale.
Senonché, derivando gli atti di intimazione da atti di accertamento esecutivi, l’indicazione dei criteri di computo degli interessi va ricercata in essi, non negli atti derivati.
Peraltro, questa Corte, a Sezioni Unite, ha recentemente chiarito che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo (Cass., Sez. U Sentenza n. 22281 del 14/07/2022, Rv. 665273 – 01).
Nel caso di specie, dunque, mutatis mutandis , bastava che gli atti di intimazione richiamassero i criteri di computo degli interessi contenuti negli atti impositivi a monte, con quantificazione degli ulteriori accessori.
1.1.5. Infine, è infondato il profilo di censura relativo all’aggio di riscossione.
La sentenza impugnata, riportata per stralcio nello stesso ricorso, affronta adeguatamente la questione della determinazione e della debenza dell’aggio di riscossione .
Peraltro, questa Corte ha già statuito la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa alle norme che disciplinano l’aggio esattoriale ( Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1311 del 19/01/2018, Rv. 646917 – 03).
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘ Erroneità della sentenza per violazione di norma di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) di cui all’art. 21 d.lgs. n. 74 del 2000 che indica come nel caso in cui per lo stesso fatto siano intervenute irrogazione di sanzione amministrativa e denuncia penale la sanzione amministrativa si rende esigibile solamente in esito alla pronuncia di decreto di archiviazione o all’intervenuta pronuncia di sentenza irrevocabile di assoluzione o proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto addossando così alla parte, in violazione del disposto dell’art. 2697 c.c., un onere probatorio non esistente e non necessario , violazione dell’art. 5 del Trattato istitutivo dell’Unione europea e Protocollo 2 del Trattato dell’Unione’ , il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che, al fine di paralizzare l’esigibilità delle sanzioni, egli avrebbe dovuto dimostrare ‘ di aver effettuato il pagamento degli importi intimati ovvero di aver subito una condanna penale per gli stessi fatti’ .
Sostiene il contribuente che, pacifica la pendenza di un giudizio penale per gli stessi fatti posti a base dell’irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie, non sarebbe stato onere suo provare di essere stato condannato penalmente per la commissione di quei fatti, al fine di eccepire l’ineseguibilità delle sanzioni tributarie, ma sarebbe stato onere dell’amministrazione provare l’emissione del provvedimento di archiviazione o di una sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che escluda la rilevanza
penale del fatto quale elemento costitutivo dell’eseguibilità della sanzione.
2.1. Il motivo è infondato.
In seguito all’emanazione del d.lgs. n. 87 del 2024, il comma 2 dell’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000 è stato così riformulato: ‘le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato non sono eseguibili nei confronti di soggetti diversi da quelli indicati dall’art. 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 21-bis e 21-ter. I termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi’ .
Orbene, la richiamata disposizione è entrata in vigore il 29 giugno 2024, con la conseguenza che nella fattispecie di causa, non avendo il contribuente nemmeno dedotto l’esistenza, alla data dell’udienza pubblica, di una sentenza dibattimentale assolutoria perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso, con il corollario, e x art. 21-bis, del travolgimento delle sanzioni amministrative irrogate dall’ufficio, trova applicazione l’art. 21 -ter, che prevede un rapporto tra i due tipi di sanzione, amministrativa e penale, fondato non sulla loro alternatività (applicata la sanzione penale, non può eseguirsi la sanzione amministrativa), ma sulla loro applicazione congiunta, purché coordinata e tesa ad irrogare al soggetto un trattamento sanzionatorio complessivamente adeguato e proporzionato alla gravità e offensività dell’unico fatto materiale commesso ( ‘Quando, per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di
propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva’ ).
In altre parole, qualora, alla data di entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, non sia stata irrogata con provvedimento definitivo alcuna sanzione nei confronti del soggetto, né penale, né amministrativa, l’autorità pubblica per prima chiamata a irrogare la sanzione di sua competenza non è condizionata dall’obbligo di determinare il trattamento sanzionatorio coordinandolo con la diversa sanzione precedentemente irrogata da un’altra autorità pubblica.
Orbene, all’udienza pubblica il contribuente non ha né dedotto né tantomeno documentato di aver riportato una condanna penale irrevocabile per gli stessi fatti per i quali gli era stata irrogata la sanzione amministrativa ancora sub iudice , con la conseguenza che nessun coordinamento l’Agenzia delle Entrate, in sede di irrogazione della sanzione di sua spettanza, o i giudici tributari di merito, in sede di controllo giurisdizionale della legittimità della stessa, dovevano operare tra il trattamento sanzionatorio amministrativo ed un supposto precedente trattamento sanzionatorio penale.
Peraltro, anche qualora si voglia considerare la formulazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000 anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 87 del 2024, deve rilevarsi che questa Corte (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21694 del 08/10/2020) ha già avuto occasione di statuire che ciò che resta condizionato dall’esito del giudizio penale non è il procedimento di irrogazione o di determinazione delle sanzioni amministrative tributarie, ma solo la concreta ‘esecuzione’ delle stesse, affidata all’agente della riscossione.
Orbene, le intimazioni di pagamento impugnate non rappresentano ancora l’inizio del procedimento di riscossione, non essendo state le stesse ancora affidate all’agente della riscossione, ai sensi dell’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘ Erroneità della sentenza per violazione di norma di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) di cui all’art. 29 comma 1 lett. a) L. n. 78 del 2010’ , il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, in pretesa violazione di legge, non ha riconosciuto l’illegittimità delle intimazioni di pagamento in quanto emesse in assenza dei presupposti di cui all’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010.
Esse, infatti, sono state emesse dall’Agenzia delle Entrate nonostante che la C.T.P., respingendo il ricorso del contribuente, non avesse modificato gli importi contenuti negli avvisi di accertamento.
3.1. Il motivo è infondato.
N essuna norma vieta all’amministrazione di notificare una intimazione di pagamento nel caso in cui in esito al giudizio tributario contro gli avvisi di accertamento esecutivi non vi sia una rideterminazione degli importi da questi portati: il fatto che l’amministrazione sia obbligata all’emissione delle intimazioni solo se nel corso del giudizio tributario il complessivo debito tributario del contribuente sia stato rideterminato non esclude la facoltà, per l’amministrazione, di notificare un’intimazione di pagamento anche nel caso in cui non ve ne sarebbe bisogno, in quanto il giudizio tributario sull’avviso di accertamento non ne ha rideterminato gli importi.
4. Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna COGNOME NOME al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro settemila per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, l’ 11 dicembre 2024 e, previa