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Intimazione di pagamento: illegittima per l’intero

La Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità di una intimazione di pagamento emessa per l’intero importo di un debito fiscale, mentre era ancora pendente un ricorso contro l’avviso di accertamento. L’ordinanza chiarisce che, in tali circostanze, l’amministrazione finanziaria può richiedere solo un terzo della somma totale, in applicazione dell’art. 15 del d.p.r. n. 602/1973. La sentenza impugnata, che aveva respinto il ricorso del contribuente, è stata quindi annullata con rinvio.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Intimazione di pagamento: quando è legittima la richiesta del Fisco?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per i contribuenti: i limiti della riscossione in pendenza di un ricorso tributario. La questione centrale riguarda la legittimità di una intimazione di pagamento che richiede il saldo totale di un debito, nonostante l’atto impositivo originario sia ancora oggetto di contestazione e sia stata disposta una sospensione cautelare. Questa pronuncia chiarisce i confini dell’azione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, offrendo importanti tutele al contribuente.

I Fatti di Causa

Un contribuente si vedeva recapitare una intimazione di pagamento per un importo superiore a 3,8 milioni di euro. Tale somma corrispondeva all’intero ammontare richiesto in un precedente avviso di accertamento. Tuttavia, il contribuente aveva già impugnato tale avviso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente, la quale aveva concesso la sospensione cautelare della riscossione.

Nonostante la sospensiva e la pendenza del giudizio, l’Agenzia delle Entrate Riscossione procedeva a notificare l’intimazione per l’intera somma. Il contribuente impugnava anche questo nuovo atto, sostenendo che, in pendenza di ricorso, l’amministrazione potesse riscuotere al massimo un terzo dell’importo contestato. Sia la CTP che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) rigettavano le sue ragioni, spingendolo a ricorrere in Cassazione.

I limiti alla riscossione e la validità dell’intimazione di pagamento

Il motivo di ricorso si fondava sulla violazione di specifiche norme tributarie, tra cui l’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973. Questa disposizione stabilisce chiaramente che, in caso di ricorso contro un avviso di accertamento, le imposte corrispondenti agli imponibili accertati sono iscritte a ruolo, ma la riscossione è limitata a un terzo dell’importo totale in attesa della decisione della corte di primo grado.

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente la tesi del contribuente. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: sebbene l’intimazione di pagamento non sia un atto esecutivo in senso stretto (come un pignoramento), e quindi la sua notifica non sia di per sé bloccata da un’ordinanza di sospensione, essa resta un atto della procedura di riscossione. Come tale, deve rispettare i limiti quantitativi imposti dalla legge.

Le motivazioni dell’ordinanza

La Corte ha specificato che l’atto di intimazione era ‘viziato in proprio’ proprio perché richiedeva il pagamento dell’intero importo e non del solo terzo consentito dalla normativa. La pendenza del giudizio sull’avviso di accertamento era una circostanza pacifica e nota all’amministrazione. Di conseguenza, l’azione di riscossione avrebbe dovuto essere contenuta entro i limiti previsti per le situazioni di contenzioso pendente.

La decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto il ricorso del contribuente ‘vanamente proposto’ contro un atto privo di esecutività, è stata giudicata errata. La Cassazione ha ribadito che l’interesse del contribuente a contestare un atto illegittimo sussiste a prescindere dalla sua natura esecutiva, soprattutto quando questo intima il pagamento di somme non dovute secondo le regole della riscossione provvisoria.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della CTR, rinviando la causa a un nuovo collegio per una nuova decisione che dovrà attenersi al principio di diritto enunciato. Questa ordinanza rafforza un principio di garanzia fondamentale per i contribuenti: durante un contenzioso, il potere di riscossione dell’amministrazione finanziaria non è assoluto, ma è limitato dalla legge per bilanciare le esigenze dell’erario con il diritto di difesa del cittadino. Un’intimazione di pagamento che ignora tali limiti è illegittima e può essere annullata, proteggendo il contribuente da richieste di pagamento sproporzionate prima che la legittimità della pretesa fiscale sia stata accertata in via definitiva.

È possibile ricevere una intimazione di pagamento per l’intero importo di un debito fiscale se l’avviso di accertamento è stato impugnato?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in pendenza di impugnazione dell’avviso di accertamento, la riscossione può avere ad oggetto solo un terzo della somma, come previsto dall’art. 15 del d.p.r. n. 602/1973.

L’intimazione di pagamento è considerata un atto esecutivo che non può essere emesso se c’è una sospensione cautelare?
Secondo l’ordinanza, l’intimazione di pagamento non è di per sé un atto esecutivo. Pertanto, la sua notifica non è impedita da un’ordinanza di sospensione. Tuttavia, essa deve rispettare i limiti di legge sull’importo riscuotibile in pendenza di giudizio.

Qual è la conseguenza di un’intimazione di pagamento che richiede l’intera somma anziché il terzo dovuto in pendenza di ricorso?
Un’intimazione di pagamento che viola l’art. 15 del d.p.r. n. 602/1973, richiedendo l’intero importo anziché il terzo, è viziata e quindi illegittima. Può essere validamente impugnata e annullata dal giudice tributario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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