Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24799 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24799 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 9567-2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE snc DI COGNOME RAGIONE_SOCIALE c.f. 02051820690, in persona del legale rappresentante p.t., COGNOME NOME c.f. DLTMNN75C61E435J, COGNOME Alfredo , c.f. DLTLRD78B13A485N –
Intimati della sentenza n. 785/03/2017 della Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo , depositata il 21 settembre 2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 luglio 2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza e dal ricorso si evince che l’Agenzia delle entrate notificò alla società e ai suoi due soci distinte intimazioni di pagamento, dell’importo di € 3.856,41 a titolo d’imposte e sanzioni , dovute in forza della sentenza n.
Intimazione di pagamento -Requisiti
880/05/2014. Gli intimati impugnarono gli atti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Chieti, che con sentenza n. 140/05/2016 li respinse. Gli appelli con cui gli intimati insistevano nelle loro ragioni, previa riunione dei procedimenti, furono invece accolti dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo con sentenza n. 785/03/2017.
Il giudice d’appello ha affermato che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, anche per gli atti esecutivi come le intimazioni di pagamento, non è sufficiente il richiamo all’avviso d’accertamento e alla sentenza tributaria, dovendosi al contrario esplicitare in modo chiaro l’iter logico -giuridico che ha portato alla determinazione della pretesa, ossia i presupposti di fatto, le motivazioni delle operazioni aritmetiche e la normativa applicata. Ha avvertito che nel caso di specie l’appellante era intimata a pagare € 3 .856,41, a titolo di imposte e sanzioni, laddove nella tabella riepilogativa delle somme dovute era riportato l’importo delle sole sanzioni, pari ad € 3.562,00 , oltre spese di notifica e di aggio e senza nulla dire sui presupposti di fatto e di diritto. Nessuna utilità aveva poi il richiamo alla sentenza, che si era limitata a rideterminare le imposte, senza alcun riferimento alle sanzioni.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sulla base di tre motivi. La società e i soci, nonostante la rituale notifica del ricorso, sono rimasti intimati.
All’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve intanto preliminarmente osservarsi che la controversia verte su avvisi d’intimazione emessi in riferimento ad un credito fiscale esecutivo parziale, a seguito di una sentenza di primo grado.
Con il primo motivo l ‘ufficio si è doluto della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. Il giudice d’appello avrebbe posto un problema mai rilevato dalle parti, ossia la pretesa contraddizione di importi da pagare, riportati in punti distinti dell’atto impugnato, e la mancata statuizione in sentenza sulle sanzioni.
Con il secondo motivo la violazione dell’art. 29, comma 1, lett. g), d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, nonché degli artt. 25, commi 2
e 2bis, d.P.R. n. 602 del 1973, e 1 e 6, d.m. n. 321 del 1999, in relazione
RGN 9567/2018
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto della disciplina richiamata e del dato che l’intimazione di pagamento sottostà alle medesime regole e riferimenti previsti per la cartella di pagamento.
Con il terzo motivo ha lamentato l’omesso esame di fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. La commissione regionale non si sarebbe avveduta che le tabelle degli atti di intimazione riportavano analiticamente le voci a titolo di sanzioni, interessi o aggi, così da comporre importi apparentemente disallineati.
Il primo motivo è inammissibile, per difetto di specificità, poiché denuncia una extrapetizione della decisione impugnata, senza offrire al collegio da dove poter desumere il carattere di novità delle questioni trattate, né potendo chiedersi a questo collegio una lettura generale degli atti dei precedenti gradi di giudizio per poter verificare la fondatezza o meno della doglianza.
Il secondo motivo è fondato e trova accoglimento.
La giurisprudenza di legittimità ha in materia affermato che l’avviso di intimazione di pagamento non ha natura di atto impositivo in senso sostanziale, sicché – ove l’accertamento sottostante sia stato ritualmente notificato con la cartella di pagamento recante i criteri per la determinazione del calcolo degli interessi attraverso parametri predeterminati ex lege – il contribuente si trova nelle condizioni di conoscere non solo i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, ma anche, quantomeno per implicito, la decorrenza, la misura e il tasso degli interessi, in quanto tutti elementi determinabili ex lege , rispetto ai quali competerà al debitore provare l’eventuale errore di calcolo (Cass., 9 marzo 2025, n. 6288; 23 ottobre 2024, n. 27504; cfr. anche 19 aprile 2024, n. 10692; 9 novembre 2018, n. 28689).
D’altronde, proprio in tema di cartella di pagamento, era stato già chiarito che la regola generale secondo cui essa, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto
dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati -la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo (Sez. U, 14 luglio 2022, n. 22281; cfr. anche Cass., Sez. T, 16 ottobre 2023, n. 28742).
Nel caso di specie è incontestato che le intimazioni seguivano ad altrettanti avvisi d’accertamento e ad una pronuncia che, per quanto desumibile dalla sentenza impugnata, aveva rideterminato, in riduzione, le pretese erariali. Ciò non esclude allora che le intimazioni per cui è causa contenessero dati riconducibili agli atti presupposti, con conseguente agevole riconteggio delle singole voci, fossero esse a titolo di imposte o di sanzioni, o ancora di interessi e aggio.
La Commissione tributaria regionale ha deciso disattendendo i principi di diritto applicabili in materia.
L’accoglimento del secondo motivo assorbe il terzo.
In conclusione il ricorso trova accoglimento.
La sentenza va dunque cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Abruzzo, che, in diversa composizione, oltre che provvedere alla liquidazione delle spese di causa, esaminerà le ragioni d’appello , tenendo conto dei principi di diritto enunciati da questa Corte.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di II grado d ell’Abruzzo , cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025