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Intimazione di pagamento: è sempre impugnabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18835/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di riscossione. Un’intimazione di pagamento è sempre un atto autonomamente impugnabile, anche quando segue un accertamento già esecutivo. La Corte ha chiarito che tale atto non ha una mera funzione informativa, ma individua il soggetto e cristallizza la somma da riscuotere, potendo ledere la posizione di chi, come nel caso di specie, viene indicato come debitore per la prima volta. Rifiutare l’impugnabilità violerebbe il diritto di difesa. Il caso riguardava il legale rappresentante di un’associazione sportiva a cui era stato notificato un atto di intimazione per debiti tributari di anni in cui non ricopriva tale carica.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Intimazione di pagamento: la Cassazione conferma che è sempre impugnabile

Con l’ordinanza n. 18835 del 10 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale nel diritto tributario moderno: la natura e l’impugnabilità dell’intimazione di pagamento emessa a seguito di un “accertamento esecutivo”. La pronuncia stabilisce che questo atto non è una mera formalità, ma un provvedimento autonomamente lesivo e, pertanto, sempre appellabile dal contribuente, garantendo così il pieno diritto alla difesa.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica per le annualità 2007 e 2008. L’Ufficio aveva disconosciuto il regime fiscale agevolato, contestando la natura commerciale dell’attività svolta. A seguito di un giudizio di primo grado parzialmente favorevole all’ente impositore, l’Agenzia notificava due intimazioni di pagamento all’attuale legale rappresentante dell’associazione, chiedendogli il pagamento delle somme in qualità di “obbligato solidale”.

Tuttavia, il legale rappresentante non ricopriva tale carica negli anni d’imposta oggetto di accertamento. Egli impugnava quindi le intimazioni, sostenendo di non essere il soggetto passivo del debito. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il suo appello, rilevando inoltre che, nel frattempo, altre sentenze di secondo grado avevano annullato gli accertamenti presupposti, riconoscendo la legittimità del regime agevolato per l’associazione. L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sull’impugnabilità dell’intimazione di pagamento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, enunciando un principio di diritto di notevole importanza. Il motivo centrale del ricorso dell’Agenzia si basava sull’idea che, con l’introduzione dell’accertamento esecutivo (o atto “impo-esattivo”), l’intimazione di pagamento avesse perso la sua natura di atto autonomamente impugnabile, degradando a mero atto informativo.

La Suprema Corte ha smentito questa tesi, chiarendo che l’intimazione di pagamento mantiene una sua funzione essenziale e una sua autonoma capacità lesiva.

Il Ruolo dell’Intimazione di Pagamento nel Sistema “Impo-Esattivo”

Anche se l’accertamento è di per sé titolo esecutivo, l’intimazione successiva non è un atto superfluo. La sua funzione, secondo la Corte, è quella di “aggiornare” e “cristallizzare” l’efficacia esecutiva dell’atto presupposto. In particolare, essa definisce l’esatta “misura” della pretesa esecutiva in un dato momento, tenendo conto dell’andamento del contenzioso e delle norme sull’esecuzione frazionata (ad esempio, la riscossione di una frazione del debito in pendenza di giudizio).

La Tutela del Contribuente e l’intimazione di pagamento

Il punto più qualificante della decisione riguarda la tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.). La Corte ha osservato che l’intimazione è il primo, e talvolta unico, atto attraverso cui un soggetto può essere informato di essere considerato debitore. Questo è particolarmente vero quando, come nel caso di specie, l’atto di accertamento originario non menzionava il soggetto come coobbligato.

Negare la possibilità di impugnare l’intimazione significherebbe lasciare il destinatario senza tutela, in balia di una possibile erronea indicazione del debitore da parte dell’amministrazione. Pertanto, il contribuente che riceve un’intimazione di pagamento ha il diritto di contestarla sia per vizi propri, sia per contestare la sua stessa qualità di debitore o l’entità della pretesa, in relazione all’atto presupposto.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su una lettura sistematica e costituzionalmente orientata delle norme processuali tributarie. L’efficacia esecutiva di un atto, pur essendo originaria, viene modulata e “ridimensionata” dall’instaurazione di un giudizio. L’intimazione di pagamento agisce come anello di congiunzione tra l’esecutività astratta del titolo e l’esigibilità concreta e attuale della pretesa. Essa circoscrive e cristallizza l’importo dovuto nei limiti dell’eseguibilità frazionata (art. 68 D.Lgs. 546/1992), assumendo così una “carica autonomamente lesiva”.

Inoltre, la necessaria coincidenza tra il debitore individuato nel titolo e quello attinto dall’intimazione è un presupposto fondamentale. Se vi è una discrasia, come nel caso in esame, il soggetto raggiunto dall’intimazione deve potersi difendere impugnando l’atto che per primo lo lede concretamente. Di conseguenza, il primo motivo di ricorso dell’Agenzia è stato dichiarato infondato, rendendo inammissibile il secondo motivo relativo alla responsabilità solidale, poiché la decisione di merito era già fondata sull’annullamento a monte degli atti impositivi.

Conclusioni

La pronuncia della Cassazione riafferma un baluardo di civiltà giuridica: nessun atto che impone un pagamento può sfuggire al sindacato giurisdizionale. Anche nell’era dell’efficienza e della semplificazione della riscossione, con l’introduzione degli atti impo-esattivi, l’intimazione di pagamento non perde il suo status di atto impugnabile. Essa rappresenta un momento di garanzia fondamentale, consentendo al contribuente di contestare la pretesa prima che si trasformi in esecuzione forzata, specialmente quando viene chiamato a rispondere di un debito per la prima volta.

Un’intimazione di pagamento emessa dopo un accertamento esecutivo è un atto che si può impugnare?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’intimazione di pagamento è un atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, anche quando fa seguito a un accertamento già dotato di efficacia esecutiva.

Perché è possibile impugnare l’intimazione di pagamento se l’accertamento è già esecutivo?
È possibile perché l’intimazione non ha una funzione meramente informativa. Al contrario, essa individua concretamente il soggetto contro cui si procederà e cristallizza l’importo esatto da riscuotere in quel momento. Se un soggetto viene indicato come debitore per la prima volta in questo atto, deve avere il diritto di contestare tale qualità per non violare il suo diritto di difesa.

Qual è la funzione specifica dell’intimazione di pagamento nel sistema degli atti impo-esattivi?
La sua funzione è quella di raccordare l’efficacia esecutiva dell’accertamento con lo stato del contenzioso. In pratica, “aggiorna” la misura della pretesa esigibile in base alle norme sulla riscossione frazionata in pendenza di giudizio e conferma il soggetto destinatario dell’esecuzione, assumendo così una propria e autonoma carica lesiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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