Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14445 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14445 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3105/2022 R.G. proposto da :
DI NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Sinagra INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente-
CONTRO
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore
-intimata-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA della C.T.R. della SICILIA- SEZ.STACC. di MESSINA n. 5695/2021 depositata il 15/06/2021 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME NOME COGNOME impugna la sentenza della C.T.R. della Sicilia, sez. stacc. di Messina, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza della C.T.P. di Messina di rigetto del ricorso per l’annullamento della cartella esattoriale relativa alla tassa automobilistica per l’anno 2015.
La C.T.R., dichiarata preliminarmente l’inammissibilità dei motivi di appello contenuti nella memoria di replica, ha ritenuto inammissibile la doglianza relativa alla nullità della notifica dell’avviso di accertamento, per essere la medesima stata effettuata a mezzo del servizio di posta privata, in quanto non formulata con il ricorso introduttivo, conseguentemente ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione, essendo la pretesa divenuta definitiva, a seguito della mancata impugnazione dell’atto. Richiamando la giurisprudenza di legittimità ha escluso la nullità della notificazione della cartella a mezzo pec. Parimenti
ha rigettato la dedotta nullità dell’atto di intervento dell’Agenzia delle Entrate, in quanto portatrice di interesse giuridicamente rilevante e qualificato.
L’Agenzia delle Entrate si costituisce al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME NOME COGNOME formula quattro motivi di impugnazione.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e l’omesso esame della censura relativa alla condanna alle spese del primo grado di giudizio. Rileva che la C.T.R. ha dichiarato l’inammissibilità del motivo, affermando che esso era stato proposto solo con la memoria illustrativa del 5 maggio 2021, benché nelle conclusioni dell’atto di appello fosse richiesto di ‘riformare la sentenza impugnata anche in merito alle spese condannando Riscossione RAGIONE_SOCIALE ed Agenzia delle Entrate di Messina alle spese dei due gradi di giudizio’.
Con il secondo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 14 del d. lgs. 546 del 1992 e dell’art. 39 del d. lgs. 112 del 1999. Assume che sin dal primo grado di giudizio il ricorrente aveva dedotto la nullità dell’atto di intervento dell’Agenzia delle Entrate, essendo l’intervento adesivo dipendente riservato, nel processo tributario alle parti private, ai sensi dell’art. 14 d. lgs. 546 del 1992, mentre l’art. 39 del d. lgs. 112 del 1999 stabilisce l’onere del concessionario di chiamare in causa l’ente creditore, quando la lite non riguardi esclusivamente la validità degli atti esecutivi, dovendo, in mancanza rispondere delle conseguenze della lite.
La nullità dell’intervento dell’Agenzia delle Entrate comporta l’inutilizzabilità della documentazione dalla stessa prodotta.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5 del d.l. 953 del 1982, come modificato dall’art. 3 del d.l. 2 del 1986, conv. nella l. 60 del 1986. Osserva che l’inutilizzabilità della documentazione prodotta dall’Agenzia delle Entrate determina la mancata prova della notificazione dell’atto presupposto alla cartella impugnata, con conseguente prescrizione della tassa automobilistica per l’anno 2015.
Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. condannato il contribuente al pagamento delle spese di lite anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, nonostante essa non fosse validamente costituita in giudizio, e nonostante entrambi i contraddittori fossero costituiti con propri funzionari.
Vanno innanzitutto esaminati, in ordine logico, il secondo ed il terzo motivo, che debbono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Per affrontare il nodo interpretativo sottoposto, occorre muovere dall’art. 39 d. lgs. 112/1999 -rubricato ‘Chiamata in causa dell’ente creditore’ -laddove si prevede che ‘Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite’.
La disposizione contiene un precetto che riguarda l’onere della chiamata imposto al concessionario, per le ipotesi in cui i motivi di impugnazione riguardino, in via mediata, il merito della pretesa tributaria -e non solo od anche gli atti esecutivi- da cui discendono alcuni corollari.
Ed in particolare:
-il legittimato passivo, quando sia posto in discussione il fondamento del credito erariale, è l’ente impositore, (cfr. Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412, in motivazione).
-la citazione del concessionario in luogo dell’ente titolare della pretesa tributaria non comporta la declaratoria di inammissibilità della domanda (da ultimo ex multis : Sez. 6 – 5, n. 3955 del 18/02/2020; Sez. 6 – 5, n. 97 del 08/01/2015) essendo, al contrario, previsto che il primo resti soggetto alle conseguenze della lite, qualora ometta di provvedere alla chiamata in causa dell’ente impositore.
-fra Ente impositore e concessionario non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario, posto che il contribuente è indifferente ai rapporti di responsabilità intercorrenti fra l’uno e l’altro (ancora: Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412, in motivazione; Sez. 5, n. 2803 del 09/02/2010); tanto è vero che la disposizione, prevedendo la soggezione del secondo alla conseguenze della lite, in assenza della chiamata del primo, ne ammette l’omissione, benché si tratti del legittimato passivo.
-l’assenza del litisconsorzio necessario implica l’insussistenza del dovere del giudice di disporre d’ufficio la chiamata dell’ente impositore (Sez. 6-5, n. 3955 del 18/02/2020, nello stesso senso Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412).
-l’agente della riscossione non necessita di alcuna autorizzazione del giudice per chiamare in causa l’ente impositore, in quanto la chiamata di cui all’art. 39 d. lgs. 112/1999 assume la natura di litis denuntatio , posto che essa ‘è preordinata a rendere edotto l’ente creditore della pendenza della lite e dei motivi di ricorso, così da consentirgli, ove lo ritenga opportuno, di intervenire volontariamente nel giudizio in corso, per spiegare le proprie difese in relazione ai vizi dell’atto al medesimo imputabili’ (Sez. 6 -5, n. 16685 del 21/06/2019).
In definitiva ‘L’azione può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore’ (cfr. Sez. U., Sentenza n. 16412 del 25/07/2007, in motivazione).
Cionondimeno, la conseguenza delle premesse appena svolte non può essere, come sembra pretendere il ricorrente, l’inammissibilità dell’intervento dell’ente impositore, laddove il concessionario non abbia adempiuto al dovere di chiamarlo.
L’ente impositore è, invero, il titolare della pretesa tributaria messa in discussione e non può ritenersi che egli abbia la facoltà di intervenire se chiamato, ma non possa farlo se il concessionario non abbia provveduto, ai sensi dell’art. 39 d. lgs. 112/1999, a denunciare la lite.
La previsione secondo la quale laddove il concessionario non provveda alla chiamata dell’ente impositore ‘risponde delle conseguenze della lite’ inerisce esclusivamente al rapporto fra il primo ed il secondo ed all’estensione all’ente impositore degli effetti del giudicato formatosi nei confronti dell’agente della riscossione, indipendentemente dalla litis denuntiatio (Sez. 5, Ordinanza n. 14566 del 26/05/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 31476 del 03/12/2019), e non autorizza ad escludere la legittimità dell’intervento volontario del legittimato passivo (ente impositore) che, a prescindere dalla sua chiamata in causa, sia venuto a conoscenza della lite.
La chiamata in causa, infatti, ha quale scopo la sollecitazione della parte chiamata all’intervento e non è pensabile che chi non è sollecitato, non possa autonomamente svolgere quelle stesse difese che avrebbe potuto svolgere se lo fosse stato, tanto più se si tratta del legittimato passivo della pretesa e se il giudicato
formatosi fra le parti originarie gli sia comunque esteso, indipendentemente dalla sua partecipazione al giudizio, come accade nell’ipotesi configurata dall’art. 39 d. lgs. 112/1999.
D’altro canto, se, da un lato, l’art. 39 cit. si pone come eccezione al disposto dell’art. 14, commi 1 e 2 d. lgs. 546/1992 -che regola l’intervento nel processo tributario ed impone la partecipazione al giudizio di tutte le parti su cui possono riverberarsi gli effetti giuridici della pronuncia rispetto all’oggetto del ricorso- perché ammette che il legittimato passivo-ente impositore possa essere sostituito dall’agente della riscossione, quando questi non provveda alla chiamata, sul primo ricadendo in ogni caso l’efficacia del giudicato. Dall’altro, la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 14 cit. secondo la quale ‘Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso’ va ritenuta applicabile anche all’ente impositore, non potendo dubitarsi che sia parte ‘del rapporto tributario controverso’.
E’ chiaro, nondimeno, che l’intervento volontario soggiace alle decadenze e preclusioni già formatesi in giudizio, nel momento in cui l’intervento viene spiegato, secondo il disposto dell’art. 268, comma 2 cod. proc. civ., applicabile al processo tributario ai sensi dell’art. 1, comma 2 d. lgs. 546/1992.
Si pone, infatti, l’obbligo per l’interventore di accettare il processo nello stato in cui si trova al momento della sua costituzione, in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie, non essendo consentito -ove sia già intervenuta la relativa preclusione- dedurre nuove prove costituende o produrre documenti. Siffatto divieto, tuttavia, opera solo sul piano probatorio e non coinvolge quello assertivo, in quanto attività coessenziale all’intervento stesso ( ex multis:
Sez. 2, Sentenza n. 1859 del 25/01/2018, Sez. 1, Sentenza n. 25798 del 22/12/2015; Sez. 3, Sentenza n. 11681 del 26/05/2014; cfr. in tema di processo tributario: Sez. 3, Sentenza n. 25620 del 14/12/2016).
Questo quadro assume nel rito tributario una connotazione particolare, avuto riguardo alla natura del processo, che, in quanto diretto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato. Sicché il giudice tributario non può estendere la propria indagine all’esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall’ufficio, ma rispetto a quelle non incontra se non il limite dei motivi di impugnazione.
Come chiarito da questa Corte, peraltro, ‘Nel processo tributario, in cui è ammessa la produzione di nuovi documenti in appello, è consentito alla parte, rimasta contumace in primo grado, produrre per la prima volta nel secondo grado l’originale dell’atto impositivo notificato (e di cui era contestata dal contribuente l’avvenuta notifica), costituendo tale produzione una mera difesa, volta alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte, e riguardando il divieto di proporre eccezioni nuove, di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, unicamente le eccezioni in senso stretto. (Cass. Sez. 5, 26/05/2021, n. 14567). Ciò non può che valere anche nel caso in cui l’ente impositore sia intervenuto -come nel caso di specie- nel corso del primo grado di giudizio, ancorché successivamente al formarsi delle preclusioni, ed ancorché la prova della notificazione riguardi gli atti presupposti all’atto impugnato, trattandosi, in ogni caso, di una mera difesa rispetto al thema decidendum cristallizzato con la proposizione dei motivi di ricorso.
Il secondo ed il terzo motivo debbono, dunque, ritenersi infondati.
Il primo motivo è assorbito.
Il quarto motivo è assorbito, salvo che per il rilievo riguardante la liquidazione delle spese in favore dell’ente di riscossione e dell’Agenzia delle Entrate, in quanto assistiti in giudizio da propri funzionari.
Siffatta ultima doglianza è infondata.
Questa Sezione ha, anche recentemente, precisato che ‘Nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo. (Cass. Sez. 5, 10/01/2024, n. 1019; Cass. Sez. 5, 11/10/2021, n. 27634; Cass. Sez. 5, 17/09/2019, n. 23055).
Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.
Nulla in punto spese, in assenza di attività difensiva della resistente.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025