Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34382 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34382 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
affermato che l’efficacia vincolante della sentenza di cassazione con rinvio, presupponendo il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato enunciato il principio di
diritto ivi affermato, viene meno quando quella disciplina sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens (così, Cass. n. 2466/2023, che richiama Cass. n. 1995/2015, Cass. n. 23169/2006).
Consegue a tanto che nella fattispecie in esame il principio di diritto, cui si è uniformata la Commissione regionale nell’accogliere integralmente l’appello erariale avverso la sentenza di primo grado, non può essere applicato per le seguenti considerazioni.
Questa Corte sul tema in questione ha chiarito e ribadito che:
l’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017, prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto intrinseco, senza far riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali e l’amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile;
l’art. 1, comma 1084, della legge n. 145/2018 ha stabilito che l’art. 1, comma 87, lettera a ), della legge n. 205/2017 costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, d.P.R. n. 131/1986;
la sentenza della Corte Costituzionale n. 158/2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084, della legge n. 145/2018, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto,
senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali;
-secondo il Giudice delle leggi, il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di ‘imposta d’atto’ dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico; per altro verso, un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10bis della legge n. 212/2000 e consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea);
la sentenza della Corte Costituzionale n. 39/2021 ha avuto modo di tornare sulla sollevata questione di legittimità costituzionale della nuova formulazione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1989, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dichiarandola manifestamente infondata con specifico riguardo all’efficacia retroattiva della disposizione interpretativa; secondo il Giudice delle leggi, infatti, si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un
intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema;
in tale prospettiva, la Corte costituzionale ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta all’art. 1, comma 87, lett. a ), nn. 1 e 2, della legge n. 205/2017, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avendo riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente; inoltre, la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei «motivi imperativi di interesse generale» desumibili dall’art. 6 della Convenzione europea per salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione e non viceversa;
adeguandosi a tale interpretazione, anche questa Corte ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extratestuali, poiché la nuova versione dell’art. 20 d.P.R. cit., dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi (cfr., su tali principi, tra le tante, Cass. n. 4315/2021 e Cass. n. 4319/2021, Cass. n. 9065/2021, Cass. n. 14318/2021 e Cass. n. 14342/2021, Cass. n. 25601/2021; Cass. n. 29620/2021 e Cass. n. 29623/2021,
Cass. n. 35220/2021, Cass. n. 38003/2021 e Cass. n. 38005/2021, Cass. 590/2022; Cass. n. 715/2022, Cass. n. 16482/2022 e Cass. n. 16483/2022, Cass. n. 34901/2023);
– va aggiunto, per completezza, che, in risposta al rinvio pregiudiziale del Giudice di legittimità alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione «se gli artt. 5, numero 8, della direttiva n. 77/388/CEE e 19 della direttiva n. 2006/112/CE ostino ad una disposizione nazionale come l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, modificato dall’art. 1, comma 87, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che impone all’Amministrazione finanziaria di qualificare l’operazione intercorsa tra le parti esclusivamente sulla base degli elementi testuali contenuti nel contratto con divieto del ricorso ad elementi extratestuali (ancorché essi siano oggettivamente esistenti e provati), derivandone la preclusione assoluta per l’Amministrazione finanziaria di provare che la prestazione economica, integrante una cessione d’azienda, in sé indissociabile, è stata in realtà artificialmente scomposta in una pluralità di prestazioni – le plurime cessioni dei beni -, con il conseguente riconoscimento della detrazione IVA in assenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione Europea» (cfr. Cass. n. 10283/2022), il Giudice eurounitario ne ha dichiarato la manifesta irricevibilità, «non avendo il giudice del rinvio esposto in modo sufficiente sotto quale profilo l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 8, della sesta direttiva e dell’articolo 19 della direttiva IVA sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 20 del TUR, la Corte non può valutare in quale misura una risposta alla questione sollevata sia necessaria per consentire a tale giudice di decidere» (Corte Giust., 21 dicembre 2022, causa C-250/2022, RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Entrate);
Dunque, non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1084, della legge n. 145/2018, ritenendo applicabile l’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti.
Risulta, infatti, pacifico che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (così, da ultimo, Cass. n. 6094/2024 , che richiama Cass., Sez. Un., n. 9941/2009, Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, nn. 18565, 18566, 18567, 18568, 18569, 18570, 18571, 18572, 18573, 18574, 18575, 18576, 18577, 18578, 18579, 18580, 18581 e 18582).
Consegue da quanto precede che la sentenza impugnata si pone in sopravvenuto contrasto con i principi enunciati, laddove ha ritenuto di poter interpretare le varie operazioni sopra illustrate in base alla precedente versione dell’art. 20 TUR nella loro sostanziale unitarietà, individuando nella sequela di atti una fattispecie a formazione progressiva di cessione di immobili.
Dalle complessive considerazioni sopra svolte deriva, come rilevato dalla Procura Generale, che il termine decadenziale per la rettifica e la riliquidazione dell’imposta di registro da parte dell’Ufficio decorreva (non dall’ultimo atto riqualificato del 14 settembre 2003, ma) dalla data di registrazione dell’atto di conferimento degli immobili (eseguita nel mese di marzo 2002), il che rende palese come l’avviso di liquidazione, emesso nel mese di settembre 2007, sia intervenuto dopo lo spirare del termine di decadenza fissato in tre anni dall’art. 76, comma 2, d.P.R. n. 131/1986 e pure dopo il quinquennio, anche a voler solo ipotizzare l’operatività della sospensione biennale prevista dall’art. 11, comma 1, della legge n. 289/2002, prospettiva questa che l’adita Corte, con la pronuncia n. 1011/2018 sopra riepilogata, aveva, in realtà, ritenuto di applicare alla fattispecie in rassegna, qualificando l’imposta come complementare alla luce dell’ulteriore attività interpretativa compiuta dall’Ufficio in ordine alla complessiva operazione negoziale posta in essere dalle parti tramite il collegamento tra i più atti stipulati, secondo un’opzione che, per le ragioni sopra esposte, non è ora più consentita.
Alla luce delle considerazioni svolte il ricorso va, quindi, accolto e la sentenza impugnata cassata.
Non solo; non essendo necessari accertamento in fatto, la causa va decisa nel merito, accogliendo l’originario ricorso proposto dai contribuenti ed annullando l’avviso di liquidazione impugnato.
I sopravvenuti interventi normativi e del giudice delle leggi, su cui si basata la presente decisione, inducono a compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso proposto dai contribuenti ed annulla l’avviso di liquidazione impugnato.
Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 settembre