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Interposizione fittizia: quando la società è uno schermo

La Corte di Cassazione ha confermato un avviso di accertamento a carico di un medico professionista, ritenendo che la società a lui riconducibile fosse un mero schermo giuridico. Questo caso di interposizione fittizia ha portato alla riattribuzione del reddito societario direttamente al professionista, in quanto effettivo possessore dello stesso. La Corte ha stabilito che la prova dell’effettivo possesso del reddito, anche tramite presunzioni, è sufficiente per riallineare la tassazione alla sostanza economica, superando l’apparenza formale.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interposizione fittizia: La Cassazione conferma la tassazione sul professionista e non sulla società-schermo

L’utilizzo di una società per gestire la propria attività professionale è una pratica comune, ma quali sono i limiti per non incorrere in un accertamento fiscale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito i contorni dell’interposizione fittizia, un meccanismo attraverso cui il Fisco può superare lo schermo societario e tassare il reddito direttamente in capo al professionista che ne è l’effettivo dominus. Questo principio, fondato sulla prevalenza della sostanza sulla forma, è cruciale per professionisti e imprenditori.

I Fatti del Caso: Schermo Societario per un Medico Professionista

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un medico specializzato in ortopedia. L’Ufficio contestava al professionista di aver eluso il Fisco, facendo transitare gran parte dei suoi compensi professionali attraverso una società a responsabilità limitata. I soci di questa società erano lo stesso medico, la moglie e il figlio.

Secondo l’accertamento, la società era un mero schermo giuridico, un intermediario fittizio creato al solo scopo di beneficiare di un regime fiscale più vantaggioso, eludendo la progressività dell’IRPEF che avrebbe colpito il professionista come persona fisica. La Commissione Tributaria Regionale aveva già confermato la legittimità dell’atto impositivo, ritenendo che l’Agenzia avesse fornito prove adeguate a dimostrare che la società era, appunto, uno schermo. Il contribuente ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sulla interposizione fittizia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando in toto la validità dell’accertamento. I giudici hanno stabilito che i motivi di ricorso erano infondati, ribadendo i principi consolidati in materia di interposizione fittizia ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. 600/1973. La Suprema Corte ha sottolineato come l’obiettivo della norma sia quello di riallineare l’imposizione fiscale alla reale situazione economica, imputando i redditi non al titolare formale, ma a colui che ne è l’effettivo possessore.

La Prova del Possesso Effettivo

Il punto cardine della decisione è la distinzione tra titolarità formale ed effettivo possesso del reddito. La Cassazione ha chiarito che l’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria non riguarda la dimostrazione degli elementi costitutivi dell’interposizione, ma la prova che il soggetto accertato sia l’effettivo possessore del reddito. Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. Ciò che conta, ai fini tributari, è che il professionista (l’interponente) disponga delle risorse della società (l’interposto) uti dominus, ovvero come se ne fosse il proprietario.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto che la sentenza di secondo grado avesse correttamente applicato questi principi. Le motivazioni si fondano su diversi elementi chiave:

1. Assenza di una reale funzione economica della società: È stato accertato che la società non svolgeva compiti specifici diversi dalle prestazioni professionali del medico. Non agiva come una vera società di servizi, poiché la struttura, i mezzi e il personale necessari per gli interventi medici erano messi a disposizione dalla clinica dove il professionista operava.

2. Vantaggio fiscale indebito: La Corte ha evidenziato come lo schema societario avesse permesso al contribuente di eludere la progressività della tassazione IRPEF, evitando l’applicazione dell’aliquota massima, che all’epoca era del 43%. Questo vantaggio fiscale è stato considerato un elemento centrale per qualificare l’operazione come elusiva.

3. Prevalenza della sostanza sulla forma: La decisione ribadisce con forza il principio secondo cui la realtà economica deve prevalere sull’apparenza giuridica. L’indagine non deve concentrarsi sulla natura fittizia della titolarità del reddito, ma sull’effettività dell’esercizio del possesso di tale reddito, a prescindere da chi ne sia il titolare formale.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito a tutti i professionisti che utilizzano strutture societarie per la loro attività. La legittimità di tali strutture non viene messa in discussione, ma è subordinata alla loro effettiva e autonoma funzione economica. Una società non può essere una semplice ‘cassaforte’ o un intermediario per fatturare prestazioni che sono, nella sostanza, esclusivamente personali. Per evitare contestazioni di interposizione fittizia, è fondamentale che la società abbia una propria struttura organizzativa, svolga un ruolo concreto e non sia unicamente uno strumento per ottenere un risparmio fiscale altrimenti indebito. La sentenza conferma che il Fisco ha il potere di guardare oltre lo schermo societario e di tassare la ricchezza dove essa viene effettivamente prodotta e posseduta.

Quando una società usata da un professionista è considerata un caso di interposizione fittizia?
Secondo la Corte, una società è considerata un’interposizione fittizia quando funge da mero ‘schermo giuridico’, non avendo compiti specifici diversi dalle prestazioni del professionista e quando quest’ultimo rimane l’effettivo possessore del reddito, controllando le risorse della società ‘uti dominus’.

È necessario dimostrare un intento fraudolento da parte del contribuente per configurare l’interposizione?
No, la sentenza chiarisce che non è necessario un comportamento fraudolento. È sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di uno strumento giuridico legittimo, come una società, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale corretto.

Qual è la prova che l’Agenzia delle Entrate deve fornire per contestare un’interposizione fittizia?
L’Agenzia delle Entrate deve dimostrare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente accertato è l’effettivo possessore del reddito, nonostante questo sia formalmente intestato a un altro soggetto (la società). La prova si concentra sulla relazione di controllo che il contribuente esercita sulla fonte del reddito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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