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Interposizione fittizia: no detrazione IVA

L’Agenzia delle Entrate ha contestato la detrazione IVA a una società, sostenendo che fosse coinvolta in uno schema di interposizione fittizia per aggirare i limiti sulle importazioni di energia. La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione del giudice di merito, ha riaffermato il principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Se un’entità viene utilizzata come intermediario fittizio per scopi fraudolenti, l’IVA correlata non è detraibile, a prescindere dalla regolarità formale di fatture e pagamenti.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interposizione fittizia e detrazione IVA: la Cassazione fa chiarezza

Con la recente sentenza n. 15957/2025, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale in materia fiscale: la detrazione dell’IVA in presenza di una interposizione fittizia. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale del diritto tributario: la sostanza economica di un’operazione prevale sempre sulla sua forma giuridica. Anche se un’operazione appare formalmente ineccepibile, con fatture regolari e pagamenti tracciati, il diritto alla detrazione IVA può essere negato se alla base vi è un meccanismo fraudolento.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società energetica. Secondo l’Amministrazione finanziaria, questa società, controllata da un’altra grande azienda del settore, era stata utilizzata come intermediario fittizio per aggirare i limiti quantitativi sull’importazione di energia elettrica da fonti non rinnovabili.

In pratica, la società controllante, una volta raggiunto il limite massimo di importazione, cedeva formalmente l’energia dall’estero alla propria controllata. Quest’ultima, priva di una reale struttura operativa, reimmetteva l’energia sul mercato italiano. L’obiettivo non era tanto l’evasione dell’IVA, quanto l’elusione di una normativa di settore che imponeva l’acquisto di costosi “certificati verdi” superata una certa soglia di importazione. L’Agenzia delle Entrate ha quindi contestato la legittimità della detrazione dell’IVA assolta dalla società interposta, ritenendo le operazioni soggettivamente inesistenti.

La decisione dei giudici di merito

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado avevano dato ragione al contribuente. Secondo i giudici di merito, le operazioni erano lecite: le imposte erano state regolarmente versate, la società interposta aveva conseguito un utile e svolgeva anche altre attività commerciali. Inoltre, ritenevano che, per negare la detrazione, fosse necessaria la prova di una vera e propria “frode IVA”, non essendo sufficiente una mera interposizione fittizia. Questa visione, tuttavia, si è rivelata troppo formale e limitata.

L’analisi della Cassazione sulla interposizione fittizia

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza d’appello e delineando principi di grande importanza. Gli Ermellini hanno evidenziato l'”errore di prospettiva” dei giudici di merito. Questi ultimi si erano fermati a un’analisi superficiale e formale della vicenda, senza cogliere la reale natura fraudolenta dello schema complessivo.

La Suprema Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha ribadito che il diritto alla detrazione dell’IVA è subordinato all’effettiva realizzazione di un’operazione economica. Un’operazione simulata o posta in essere all’interno di un disegno fraudolento non può generare alcun diritto alla detrazione, poiché manca il collegamento con un’attività economica reale e tassabile.

La prevalenza della sostanza sulla forma

Il punto centrale della decisione è che non rileva tanto la regolarità formale delle fatture o l’esistenza giuridica della società interposta. Ciò che conta è la sostanza dell’operazione. Nel caso di specie, la creazione e l’utilizzo della società controllata non avevano altra funzione se non quella di aggirare una norma imperativa. L’intera catena di cessioni era, quindi, viziata da una finalità fraudolenta, che ne determinava la natura simulata ai fini fiscali. Di conseguenza, l’IVA versata in questo contesto non era detraibile.

L’errore nella valutazione della prova presuntiva

La Cassazione ha anche censurato il modo in cui i giudici di merito hanno valutato le prove. Essi hanno ignorato gli elementi indiziari portati dall’Ufficio (come l’assenza di una struttura operativa della società interposta e lo scopo elusivo dell’intera manovra), valorizzando invece elementi irrilevanti ai fini della detraibilità IVA, come il pagamento delle imposte o il conseguimento di un profitto. La prova presuntiva, ricorda la Corte, richiede una valutazione complessiva e logica di tutti gli indizi, non una loro analisi atomistica e parziale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di tutelare il principio di neutralità dell’IVA, che non può essere strumentalizzato per avallare operazioni abusive o fraudolente. Quando un soggetto economico pone in essere un’operazione non per una reale esigenza commerciale, ma con l’unico scopo di ottenere un vantaggio fiscale o di aggirare normative imperative, tale operazione non può beneficiare delle tutele previste dal sistema IVA, come il diritto alla detrazione. L’interposizione fittizia, in questo contesto, è stata qualificata come parte integrante di una frode più ampia, idonea a giustificare il disconoscimento del diritto alla detrazione.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce che l’interposizione fittizia di un soggetto in una catena di transazioni, finalizzata ad aggirare norme imperative, rende l’operazione simulata e priva di sostanza economica. Di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA non può sorgere, anche se le fatture sono formalmente corrette e l’imposta è stata versata. Questa decisione rappresenta un importante monito per le imprese: la pianificazione fiscale deve sempre basarsi su valide ragioni economiche e non può mai tradursi in costruzioni artificiose volte a eludere la legge.

Quando un’operazione è considerata una interposizione fittizia ai fini fiscali?
Un’operazione è considerata una interposizione fittizia quando un soggetto viene inserito in una transazione non per reali esigenze economiche, ma come schermo o intermediario per conto di un altro soggetto, al fine di raggiungere un risultato altrimenti illecito o per ottenere un vantaggio indebito, come aggirare una normativa imperativa.

La detrazione dell’IVA è ammessa se le fatture sono regolari ma l’operazione è parte di uno schema fraudolento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolarità formale (fatture, pagamenti) non è sufficiente. Se l’operazione è inserita in un meccanismo fraudolento, come una interposizione fittizia per aggirare la legge, viene considerata simulata nella sostanza. Di conseguenza, non sorge alcun diritto alla detrazione dell’IVA.

Quali elementi deve valutare il giudice per accertare una frode basata su indizi?
Il giudice non deve limitarsi a considerare isolatamente i singoli elementi, ma deve procedere a una valutazione complessiva e combinata di tutti gli indizi (prova presuntiva). Deve analizzare la logica economica dell’intera operazione, lo scopo perseguito dalle parti e la presenza di elementi anomali (es. mancanza di una struttura aziendale adeguata) per accertare se gli indizi, nel loro insieme, forniscano una prova valida e concordante della frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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