Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2708 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2708 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
Avviso di accertamento -plusvalenza -elusione fiscale interposizione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.7457/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato, in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio di quest’ultima ,
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO, è domiciliata ex lege,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, N. 4955/2015 depositata il 22/09/2015; udita la relazione svolta nella pubblica udienza del l’11 dicem bre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME; dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso; Alberto sentiti l’AVV_NOTAIO per il ricorrente e l’ AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO per l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
FATTI DI CAUSA
L ‘RAGIONE_SOCIALE , a seguito del processo verbale di constatazione del 28 giugno 2012, sottoscritto da NOME COGNOME, notificava a quest’ultimo : a) un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione, per l’anno 2006, ed ai fini Irpef ed addizionali, maggiori redditi derivanti dalla plusvalenza realizzata a seguito della cessione di azioni della RAGIONE_SOCIALE ed applicava la sanzione per infedele dichiarazione ; b) un atto di contestazione per l’omessa indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi del medesimo anno RAGIONE_SOCIALE di sponibilità detenute all’estero in violazione del d.l. n. 167 del 1990 ,con applicazione RAGIONE_SOCIALE conseguenti sanzioni.
1.1. La rettifica della dichiarazione dei redditi di cui all’avviso di accertamento avveniva ai sensi dell’art. 37 d.P.R. n. 600 del 1973 sul presupposto che il reddito derivante dalla plusvalenza della compravendita di azioni della RAGIONE_SOCIALE fosse imputabile alla persona fisica dell’COGNOME, che ne era l’amministratore delegato, sebbene la titolarità della azioni fosse della RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) società di capitali portoghese, iscritta nel registro RAGIONE_SOCIALE imprese della Zona Franca di Madeira. L’Ufficio riteneva che detta società fosse stata costituita per svolgere ed implementare le attività estere dell’COGNOME. Rilevava in merito la seguente sequenza di atti: nel 2004 veniva costituita la RAGIONE_SOCIALE,
interamente controllata dall’RAGIONE_SOCIALE , beneficiando del regime fiscale favorevole della Zona Franca di Madeira; nel corso del 2005, l’RAGIONE_SOCIALE acquisiva dalla RAGIONE_SOCIALE 298.380 azioni di nuova emissione, cedute a titolo gratuito, del valore nominale di un euro ciascuna, che venivano su ccessivamente conferite da quest’ultimo alla RAGIONE_SOCIALE; quest a, a propri volta, in data 15 settembre 2005, acquistava altre 368.212 azioni della RAGIONE_SOCIALE, dal socio unico della stessa, al prezzo di euro 775.000,00 e, dunque, per il valore nominale di euro 2,105 ciascuna; successivamente alla quotazione della RAGIONE_SOCIALE nel mercato telematico azionario gestito da RAGIONE_SOCIALE, la COGNOME vendeva parte RAGIONE_SOCIALE azioni, realizzando per il 2006 una plusvalenza di euro 539.387,00 cui conseguiva un maggior reddito pari al 40 per cento, di euro 215.755,00 (seguiva la plusvalenza realizzata nel 2007 di euro 2.818.984 e un maggior reddito di 1.127.594,00 oggetto di successivo avviso di accertamento); nel 2008 la RAGIONE_SOCIALE veniva «chiusa», con accredito degli attivi di liquidazione sul con to svizzero dell’COGNOME, fiscalment e residente in Lugano dal 21 novembre 2007.
L’Ufficio riteneva che la plusvalenza realizzata con la cessione RAGIONE_SOCIALE azioni della RAGIONE_SOCIALE fosse imputabile al reddito dell’COGNOME in quanto l’intero pacchetto azionario era a lui riconducibile; che, inoltre, poiché si era in presenza di una partecipazione qualificata, in quanto superiore al 5 per cento, la stessa era assoggettata ad imposizione fiscale come reddito diverso e, pertanto, con l’applicazione dell’aliquota del 40 per cento; che, invece, l’COGNOME, servendosi dell’interposizione della COGNOME, aveva posto in essere una strategia evasiva.
1.2. Quanto all’atto di contestazione , l’Ufficio riteneva che tutta l’operazione rilevasse anche sotto il profilo della normativa sul monitoraggio dei movimenti di capitale, da e verso l’estero , di cui al d.l. n. 167 del 1990 convertito dalla legge n. 227 del 1990.
Il contribuente impugnava entrambi gli atti impositivi,
La C.t.p., riuniti i ricorsi, li accoglieva nel merito rilevando che l’Ufficio non aveva dimostrato in capo all’COGNOME il possesso del reddito e che aveva errato nel determinare la plusvalenza.
Avverso detta sentenza spiegava appello principale l’U fficio ed appello incidentale il contribuente.
La C.t.r. accoglieva l’appello dell’Ufficio e confermava la legittimità di entrambi gli atti. In via preliminare riteneva che gli atti impositivi fossero stati correttamente notificati e che l’Ufficio non fosse incorso in decadenza. Nel merito riteneva provato il possesso del reddito in capo all’COGNOME e correttamente quantificata la plusvalen za.
Avverso detta sentenza ricorre il contribuente e l’RAGIONE_SOCIALE resiste a mezzo controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 1, commi 131 e 132 legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che l’Amministrazione fosse decaduta dal potere impositivo e muove plurime censure.
Con la prima assume che alla fattispecie si applichi la modifica di cui all’art. 1, comma 131, legge n. 208 del 2015 che ha abrogato la disciplina re lativa al raddoppio dei termini; per l’effetto, deduce che il termine di decadenza, relativamente all’anno 2007 , era spirato il 31 dicembre 2011 mente l’avviso di accertamento era stato notificato il 14 dicembre 2012.
In via subordinata, ove ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 1, comma 132, legge cit. rileva che la denuncia avrebbe dovuto essere
inoltrata prima AVV_NOTAIO spirare del termine, mentre nella fattispecie l’informativa di reato era successiva.
Infine, rileva che il giudice di appello, secondo entrambe le discipline, avrebbe dovuto rilevare la decadenza, atteso che l’informativa di reato era stata confezionata con intento strumentale.
Il motivo è infondato.
2.1. In via preliminare deve individuarsi la disciplina applicabile alla fattispecie.
L’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 57, comma 3, (commi inser iti dall’art. 37 commi 24, e 25 d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, in vigore dal 4 luglio 2006), prevedono che, in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, i termini di cui ai commi precedenti (cioè, in caso di presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, nonché, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata) sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.
Su detta disciplina è intervenuto dapprima il d.lgs. 5 agosto 2015 n. 128 e successivamente la legge 2 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità del 2016).
L’art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 128 del 2015, modificando le precedenti disposizioni di cui agli artt. 43 cit. e 57 cit., dispone -a decorrere dalla sua entrata in vigore e, quindi, dal 2 settembre 2015 -che il raddoppio dei termini può operare solo ove la denuncia sia stata presentata nei termini ordinari.
Il successivo comma 3, detta, una disciplina transitoria in virtù della quale sono comunque fatti salvi gli effetti: 1) degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’RAGIONE_SOCIALE fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto 2) deglii inviti a comparire o dei processi verbali di constatazione notificati o formalmente conosciuti dal contribuente entro la medesima data, sempre che la notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria sia avvenuta entro il 31 dicembre 2015.
Successivamente, l’art. 1, commi 130 e 131, legge n. 208 del 2015 ha sostituito integralmente le disposizioni di cui agli artt. 43 cit. e 57 cit. prevedendo un termine di accertamento più lungo rispetto a quello ordinario precedente ed eliminando la previsione del raddoppio in caso di denuncia penale. I nuovi termini di decadenza sono stati rispettivamente fissati al
Il comma 132 AVV_NOTAIO stesso art. 1 legge n. 208 del 2015 ha previsto, anch’esso, un regime transitorio così articolato: Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione
della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni.»
2.2. La questione del rapporto tra i due regimi transitori è stata già risolta da questa Corte la quale ha precisato, con giurisprudenza consolidata, che: a) il conflitto tra le due norme è solo apparente e che il regime transitorio di cui alla legge n. 208 del 2015 (ovvero il secondo regime transitorio) per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016, riguarda solo le fattispecie non regolate dal regime transitorio dettato dal d.lgs. n. 128 del 2015 (primo regime transitorio); b) la funzione del regime transitorio di cui all’art. 1, comma 132, legge n. 208 del 2015 è solo quella di regolare le fattispecie della lex anterior in considerazione della successione di leggi nel tempo e, quindi, di disciplinare diversamente il precedente regime ordinario (non anche quello transitorio sopra esposto) del raddoppio dei termini di accertamento, previsto dal d.lgs. n. 128 del 2015 (regime in forza del quale il raddoppio dei termini ordinari di 4 o 5 anni, a seconda che sia stata presentata o no la dichiarazione) opera solo se la denuncia penale da parte dell’Amministrazione finanziaria –
espressione che, a tali fini, deve ritenersi comprensiva anche della Guardia di finanza -sia presentata o trasmessa entro la suddetta scadenza ordinaria dei termini (Cass.16/12/2016, n. 26037).
2.3. P oiché nella fattispecie in esame l’avviso di accertamento è stato notificato il 14 dicembre 2012 e l’atto con contestazione il 16 ottobre 2012 viene in considerazione la prima disciplina transitoria dettata dal l’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015, (non modificato dalla legge n. 208 del 2015) il quale, come detto ha stabilito che «sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’RAGIONE_SOCIALE fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto».
2.4. Ciò posto, il raddoppio dei termini -come detto previsto per l’Irpef dall’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e per l’Iva e dall’art . 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 – consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche sopra citate, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia e non dipende dal suo accertamento in concreto. L’istituto presuppone la sussistenza dell’obbligo di presentazione della denuncia penale, a prescindere dall’esito del procedimento, e nonostante l’eventuale estinzione del reato per archiviazione, rilevando solo l’astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime c.d. del doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass. 15/09/2022 n. 27250). Nello stesso senso si è aggiunto che il raddoppio dei termini, rilevando unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di
denuncia penal e, opera nonostante l’eventuale prescrizione del reato (Cass. 11/04/2017, n. 9322).
2.5. Questa Corte ha chiarito, altresì, che ciò non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine ordinario fissato dalla legge, dovendo, al contrario, essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale RAGIONE_SOCIALE disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Tuttavia, si è osservato che la ratio sottesa all’istituto del raddoppio dei termini, di natura essenzialmente procedimentale, è quella di dare all’Ufficio un tempo maggiore per gli accertamenti nei casi più gravi in cui gli elementi emersi presentino rilievo penale; che la possibilità che, proprio ad esito di quegli accertamenti e del contraddittorio endoprocedimentale, le iniziali emergenze vengano ridimensionate e l’atto imposi tivo si fondi su elementi privi di rilievo penale, non può certamente implicare, a posteriori, il venir meno dei presupposti di applicazione del termine più lungo, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un tempo più ampio (Cass. 14/07/2023, n. 20409).
2.6. Nella fattispecie in esame, la contestazione mossa al contribuente già con il p.v.c. implicava una fattispecie di reato rilevante ai fini del raddoppio dei termini e la medesima è rimasta tale nel successivo avviso di accertamento; ne consegue che la circostanza che la denuncia di reato – non necessaria secondo la ricostruzione della disciplina sopra riportata – sia stata inoltrata solo successivamente all’avviso di accertamento è fatto del tutto irrilevante che non implica alcun uso strumentale della stessa.
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 60 e 43 d.P.R. n. 600 del 1973 cit.
Censura la sentenza impugnata per non aver rilevato che, mancando una valida elezione di domicilio, l’Ufficio avrebbe dovuto notificare l’atto impositivo e l’atto sanzionatorio, ai sensi del comma 4 dell’art. 60 cit., presso l’indirizzo svizzero del contribuente, risultante dai registri AIRE, essendo conseguentemente inesistente la notifica eseguita presso l’indirizzo italiano del suo commercialista. Aggiunge che, anche ritene ndo che l’atto sia stato notificato in un luogo che presentava un collegamento con l’ COGNOME, cionondimeno la notifica risulterebbe affetta da nullità insanabile in quanto la sanatoria ex art. 156 cod. proc. civ. per raggiungimento AVV_NOTAIO scopo non opera rispetto agli atti impositivi, il legittimi ai sensi dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 per il decorso del termine per l’accertamento scaduto in data 31 dicembre 2011
Il motivo è infondato.
4.1. Il contribuente ha proposto ricorso avverso gli atti impositivi impugnati rispettivamente in data 1 gennaio 2013 e 22 febbraio 2013, ovvero quando il termine di decadenza dalla potestà impositiva – pari ad otto anni dalla data del 31 dicembre 2007 in virtù del c.d. raddoppio dei termini la cui legittimità è stata confermata con il rigetto del primo motivo – non era ancora decorso.
4.2. Ciò posto, va data continuità al principio di diritto per il quale l’applicazione alle notifiche degli avvisi di accertamento RAGIONE_SOCIALE norme del processo civile, in base all’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, comporta quale logica necessità, l’applicazione del regime RAGIONE_SOCIALE nullità e RAGIONE_SOCIALE relative sanatorie, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare l ‘ eventuale nullità della notificazione dell’atto impositivo, per raggiungimento AVV_NOTAIO scopo, ex
art. 156 cod. proc. civ. Tale sanatoria determina soltanto il venir meno dell’interesse del destinatario a denunciare lo specifico vizio, ma non esplica alcun effetto sui requisiti di validità ed esistenza dell’avviso di accertamento, non potendo, quindi, impedire il decorso del termine di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio della potestà impositiva, qualora, però, quest’ultimo sia maturato precedentemente al fatto sanante (Cass. 24/08/2018, n. 21071, Cass. 15/01/2024, n. 654, Cass. 12/05/2011, n. NUMERO_DOCUMENTO)
5 . Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 t.u.i.r. e dell’art 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 cit.
Il contribuente censura la sentenza impugnata per averlo ritenuto l’effettivo possessore del reddito derivante dalla plusvalenza realizzata. Assume che incombeva all’Ufficio provare che la «titolarità giuridica effettiva» RAGIONE_SOCIALE azioni della RAGIONE_SOCIALE fosse propria, e non della RAGIONE_SOCIALE. Osserva che le azioni, pacificamente, appartenevano a quest’ultima ; che la circostanza che si trattasse di società unipersonale, totalmente partecipata, era irrilevante; che non era mai stato contestato il fatto storico della «concreta operatività» della stessa; che spettava all’RAGIONE_SOCIALE dare prova specifica dei fatti dimo s trativi dell’abuso di diritto; che detta fattispecie non poteva ravvisarsi esclusivamente nella costituzione di una società portoghese, né nella sua localizzazione nella zona franca di Madeira. Assume che la C.t.r. avrebbe errato nel ravvisare la preordinazione dell’operazione , in quanto ciò presupponeva la prova che la società, nel 2004, fosse stata costituita con la certezza della successiva acquisizione e vendita RAGIONE_SOCIALE azioni RAGIONE_SOCIALE, della sua quotazione in RAGIONE_SOCIALE e dell’ incremento di valore; che tanto, invece, trovava smentita nei patti parasociali.
6 . Con il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art .
37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 cit. e degli artt. 2697 e 2727 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto «plausibile» che il conferimento e l’intestazione RAGIONE_SOCIALE azioni alla RAGIONE_SOCIALE fossero il mezzo per sottrarle alla tassazione, così violando le regole della prova presuntiva; per non aver operato alcuna valutazione critica dei fatti rilevanti dai quali desumere il fatto ignoto del possesso del reddito. Evidenzia che, al contrario, le circostanze della costituzione della società nel 2004, del conferimento nella società RAGIONE_SOCIALE proprie parte cipazioni e dell’acquisto di altre, della quotazione in RAGIONE_SOCIALE, dei flussi di cassa presso i conti esteri, rendevano più probabile che il possesso del reddito fosse proprio in capo alla società. Conclude, per l’effetto, affermando che non vi era prova del possesso e che l ‘ operazione non era abusiva.
Con il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 67 e 68 t.u.i.r.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto corretta la quantificazione della plusvalenza di cui all’atto di accertamento e per aver rilevato che non risultava che le azioni cedutegli dall’RAGIONE_SOCIALE , asseritamente costituenti una retribuzione in natura, fossero state soggette a ritenuta alla fonte. Assume che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe erroneamente considerato corretta detta ricostruzione, sebbene le indagini eseguite sulle banche dati dell’anagrafe tributaria si riferi ssero all’anno di imposta 2005 , diverso da quello in cui la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) come da sua dichiarazione, aveva effettuato i versamenti RAGIONE_SOCIALE ritenute d’acconto relative alle azioni assegnate, ovvero negli anni 2006 e 2007. Osserva che nella quantificazione si sarebbe dovuto tener conto che dall’attestazione della RAGIONE_SOCIALE, che aveva operato come
sostituto d’imposta , risultava il versamento RAGIONE_SOCIALE ritenute. Rileva che tale documento era stato trascurato dal giudice.
8 . Con il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5 d.l 28 giugno 1990, n. 167 e dell’art. 17 d.lgs . 18 dicembre 1997, n. 472.
Con una prima censura critica la sentenza impugnata per non avere rilevato che, in applicazione del principio del favor rei , conseguente all’entrata in vigore della legge 6 agosto 2013, n. 97, la sanzione amministrativa tributaria avrebbe dovuto essere rideterminata.
Con una seconda censura critica la sentenza impugnata per non aver rilevato che l’Ufficio non avrebbe potuto irrogare in due atti distinti – avviso di accertamento e atto di contestazione – le sanzioni.
Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati, restando assorbiti gli ulteriori motivi.
9.1. Va in primo luogo ribadito che l’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 – ai sensi del quale sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona – non esaurisce la sua portata esclusivamente all’ipotesi della simulazione relativa, nell’ambito della quale può comprendersi anche l’interposizione fittizia, ma si estende anche a manovre elusive costituite da operazioni effettive e reali, come quella contestata al contribuente. Pertanto, è pienamente valido l’accertamento con il quale il Fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto (nella specie la RAGIONE_SOCIALE), quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che questi ne è l’effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale.
L’art. 37, terzo comma, cit., oltre a riferirsi a qualsiasi ipotesi di interposizione, non presuppone un comportamento fraudolento da
parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale, potendo l’elusione attuarsi anche mediante operazioni effettive e reali (Cass. 27/04/2021, n. 11055). La funzione della norma è quella di evitare che il contribuente, che venga individuato come effettivo possessore del reddito altrui, si sottragga al prelievo ricorrendo a interposizioni negoziali. La rilevanza dell’effettivo p ossesso del reddito, rispetto alla sua titolarità formale, sancisce la prevalenza della sostanza sulla forma (Cass. 17/02/2022, n. 5276).
9 .2. In ordine al riparto dell’onere probatorio, l’art. 37, terzo comma, cit., prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria, rappresentato da l possesso effettivo di un reddito «per interposta persona». Quanto alla prima parte della norma, la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che nella prova per presunzioni non occorra che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza.
9.3. Sempre con riferimento alla prova presuntiva, va rilevato che il ricorrente denuncia il difetto di sussunzione degli elementi indiziari nell’ambito della fattispecie legale di cui all’art. 2729 cod. civ. e la conseguente fallacia dell’esito del ragionamento inferenziale svolto dalla C.t.r.; ciò è consentito in sede di legittimità, in quanto, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è
censurabile in base all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla previsione (Cass. 16/11/2018, n. 2963). E’ quindi ammissibile denunciare in questa sede la violazione di legge che si realizza quando il giudice del merito « abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cio è̀ , sotto la previsione dell’art. 2729 cod. civ., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erroneamente applicata alla “fattispecie concreta”». (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, in motivazione).
9.4. La RAGIONE_SOCIALE non si è attenuta a questi principi.
Infatti, in diritto ha correttamente rilevato che, ai fini della fattispecie di cui all’art. 37 cit., non è rilevante la distinzione tra interposizione fittizia e reale e che occorre dimostrare, anche tramite presunzioni, che il contribuente è l’effettivo possessore del reddito, anche se per interposta persona. Tuttavia, al momento di sussumere la fattispecie concreta in quella astratta, non ha fatto buon governo dei principi in materia di prova e, in particolare, relativi alla prova presuntiva.
In primo luogo, ha confermato l’accertamento , affermando che la ricostruzione della Guardia RAGIONE_SOCIALE era «plausibile», esprimendo, quindi un giudizio di credibilità dei fatti mentre avrebbe dovuto valutare se i medesimi potevano ritenersi provati secondo i criteri propri della prova presuntiva. In secondo luogo, si è limitata a rilevare che la plusvalenza aveva arricchito il patrimonio personale dell’COGNOME , come risultava dalle sue stesse ammissioni, non avendo questi negato
che le azioni della RAGIONE_SOCIALE gli erano state cedute quale corrispettivo in natura per le sue prestazioni lavorative e che la RAGIONE_SOCIALE era da lui interamente partecipata. Trattasi, tuttavia, di una mera constatazione di per sé non determinante. La sentenza impugnata, invece, non esamina in maniera adeguata l’esistenza di elementi presuntivi (esposti nel controricorso dell’ Amministrazione) atti a corroborare quella preordinazione RAGIONE_SOCIALE diverse attività puntualmente descritte in atti, non soltanto con riferimento al profilo cronologico ma anche a quello teleologico, poste in essere dall’COGNOME, direttamente o tramite il soggetto interposto, di cui, oltre che unico socio, era anche Amministratore , allo scopo di evadere l’imposta dovuta sulle plusvalenze realizzate.
10. Ne consegue, in accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo e assorbiti gli altri, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e del quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo e assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 11 dicembre 2024.