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Interposizione fittizia: le presunzioni bastano

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che, per dimostrare un’operazione di interposizione fittizia volta all’evasione fiscale, l’Amministrazione Finanziaria può basarsi su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Il caso riguardava un phone center che avrebbe utilizzato una società estera come schermo per acquistare traffico telefonico senza versare l’IVA. La Corte ha cassato la decisione di merito che richiedeva una prova documentale specifica, affermando che il giudice deve valutare l’intero quadro indiziario fornito dall’Agenzia Fiscale. Il processo è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interposizione fittizia: la Cassazione conferma la validità delle presunzioni

Con la sentenza n. 13986 del 20 maggio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: la prova dell’interposizione fittizia. Questo meccanismo, spesso utilizzato per finalità elusive, vede un soggetto interporsi in un rapporto economico per mascherare il reale beneficiario. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: per l’Amministrazione Finanziaria è sufficiente fornire un quadro di presunzioni gravi, precise e concordanti per sostenere l’accusa, senza la necessità di una prova documentale diretta e inconfutabile.

Il caso: un phone center e l’accusa di evasione IVA

I fatti traggono origine da un avviso di accertamento notificato al titolare di un’impresa individuale operante nel settore dei phone center. Secondo l’Agenzia Fiscale, il contribuente aveva acquistato traffico telefonico da un fornitore nazionale, ma aveva fittiziamente interposto una società con sede nelle Filippine. Quest’ultima riceveva le fatture dal fornitore nazionale senza l’applicazione dell’IVA, consentendo al contribuente di acquistare il servizio a un prezzo inferiore e di evadere l’imposta. Oltre all’evasione IVA, l’Amministrazione contestava anche maggiori ricavi non dichiarati ai fini IRPEF e IRAP.

Il percorso giudiziario e l’errore della Commissione Regionale

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dato ragione all’Agenzia Fiscale, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello del contribuente. Il giudice di secondo grado aveva ritenuto insufficienti gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione, tra cui il mancato svolgimento di un’effettiva attività da parte della società estera e il rapporto di coniugio tra il contribuente e la legale rappresentante di tale società. Secondo la CTR, l’unico elemento di prova idoneo a svelare la presunta interposizione fittizia sarebbe stato un documento specifico che, ai sensi della normativa sull’IVA monofase nel settore delle telecomunicazioni (art. 74 d.P.R. 633/72), il fornitore nazionale avrebbe dovuto rilasciare, indicando il soggetto passivo che aveva assolto l’imposta.

L’interposizione fittizia secondo la Suprema Corte: l’analisi del ricorso

L’Amministrazione Finanziaria ha impugnato la sentenza della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il secondo motivo, assorbendo il terzo e rigettando il primo.

La valutazione delle prove presuntive

Il cuore della decisione risiede nell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia lamentava la violazione delle norme in materia di prova per presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c. e art. 39 d.P.R. 600/73). La Cassazione ha censurato l’operato della CTR per aver completamente eluso il suo dovere di valutare gli indizi presentati. Il giudice di merito, infatti, si era limitato ad affermare l’assoluta necessità di un ulteriore e specifico elemento probatorio (il documento del fornitore), senza analizzare, né singolarmente né nel loro complesso, le presunzioni fornite dall’ufficio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha chiarito che l’accertamento tributario, sia per le imposte dirette che per l’IVA, può legittimamente fondarsi su presunzioni semplici, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti. Il giudice tributario ha il compito di valutare in primo luogo gli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione. Solo se questi elementi raggiungono la soglia probatoria richiesta, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che dovrà fornire elementi contrari per smontare la tesi accusatoria.

Nel caso di specie, la CTR ha commesso un duplice errore. In primo luogo, ha dimostrato di non aver compreso la contestazione dell’Amministrazione, che non verteva sull’applicazione del regime monofase dell’IVA, bensì sull’esistenza di un meccanismo elusivo basato sull’interposizione fittizia di un soggetto estero. In secondo luogo, e di conseguenza, ha erroneamente preteso una prova documentale specifica, ignorando completamente gli indizi forniti, come la sostanziale inoperatività della società filippina e i legami familiari tra le parti. Così facendo, il giudice d’appello ha di fatto negato la validità della prova presuntiva, in palese contrasto con i principi consolidati in materia.

Le Conclusioni: l’importanza degli indizi nell’accertamento fiscale

La sentenza riafferma con forza un principio cardine del contenzioso tributario: la prova per presunzioni è uno strumento pienamente legittimo a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare fenomeni elusivi complessi come l’interposizione fittizia. Il giudice di merito non può sottrarsi al suo compito di analizzare l’intero quadro indiziario, ma deve valutarlo attentamente per verificare se, nel complesso, esso costituisca una prova logica e coerente dell’illecito contestato. La decisione della Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio per un nuovo esame che tenga conto di questi imprescindibili principi.

Un accertamento fiscale può basarsi solo su presunzioni?
Sì, la giurisprudenza costante afferma che un accertamento tributario può fondarsi su presunzioni semplici, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti. Non è richiesta una prova ‘certa’ da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Cosa deve fare il contribuente di fronte a un accertamento basato su presunzioni?
Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, l’onere della prova si inverte. Spetta quindi al contribuente fornire la prova contraria per dimostrare l’infondatezza della pretesa fiscale.

In un caso di interposizione fittizia, è necessaria una prova documentale specifica per dimostrare l’inganno?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che è un errore pretendere una specifica prova documentale. Il giudice ha il dovere di valutare tutti gli elementi indiziari forniti dall’ufficio (come la struttura societaria, i legami tra le parti, l’operatività effettiva dei soggetti coinvolti) per decidere se, nel loro complesso, provano l’esistenza dell’interposizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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