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Interposizione fittizia: la Cassazione detta le regole

Un contribuente ha utilizzato una società portoghese per gestire una plusvalenza derivante dalla cessione di azioni. L’Agenzia delle Entrate ha contestato l’operazione come un caso di interposizione fittizia finalizzata all’evasione fiscale. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione d’appello, specificando che l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire prove presuntive gravi, precise e concordanti per dimostrare che il contribuente è l’effettivo possessore del reddito. Non è sufficiente che il giudice ritenga la ricostruzione del Fisco semplicemente ‘plausibile’.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interposizione Fittizia: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

L’utilizzo di società estere per ottimizzare il carico fiscale è una pratica diffusa, ma quando sconfina nell’elusione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di interposizione fittizia, fornendo chiarimenti cruciali sull’onere della prova che grava sull’Amministrazione Finanziaria. La Corte ha stabilito che non basta una ricostruzione ‘plausibile’ dei fatti, ma servono prove concrete, basate su presunzioni gravi, precise e concordanti.

Il Caso: Plusvalenza da Azioni e Società Estera

I fatti al centro della controversia riguardano un manager che, dopo aver ricevuto gratuitamente un cospicuo pacchetto di azioni dalla società per cui lavorava, le ha conferite in una società di capitali portoghese da lui stesso costituita e interamente controllata, con sede nella zona franca di Madeira. Successivamente, questa società ha venduto le azioni, realizzando un’ingente plusvalenza. I proventi della liquidazione della società portoghese sono infine confluiti su un conto svizzero intestato al manager.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo l’intera operazione un artificio per evadere le imposte sulla plusvalenza, ha emesso un avviso di accertamento, imputando il reddito direttamente alla persona fisica del manager. Secondo il Fisco, la società portoghese era solo uno schermo, un soggetto interposto per nascondere il reale possessore del reddito.

La Decisione della Cassazione sull’Interposizione Fittizia

Dopo due gradi di giudizio con esiti opposti, la questione è giunta in Cassazione. I giudici di legittimità hanno accolto i motivi di ricorso del contribuente relativi alla prova dell’interposizione, cassando la sentenza d’appello e rinviando il caso a un nuovo esame.

La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero errato nel validare l’accertamento fiscale. In particolare, la decisione d’appello si era limitata a definire ‘plausibile’ la ricostruzione della Guardia di Finanza e a constatare l’arricchimento del contribuente, senza però esaminare in modo critico e adeguato gli elementi presuntivi necessari a dimostrare la preordinazione elusiva dell’intera operazione.

La Prova della Residenza all’Estero e la Notifica

Nel corso del giudizio, il contribuente aveva sollevato anche questioni relative alla sua residenza fiscale (trasferita in Svizzera, all’epoca paese black list) e a vizi di notifica dell’atto impositivo. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo sulla residenza, in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità. Ha inoltre rigettato le doglianze sulla notifica, affermando che la proposizione del ricorso sana qualsiasi vizio e che, in ogni caso, il termine per l’accertamento non era scaduto.

Le Motivazioni: Il Principio della Prova Presuntiva

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi dell’articolo 37 del D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 2729 del Codice Civile, che disciplinano l’imputazione di redditi a soggetti interposti e la prova per presunzioni. La Cassazione ha ribadito che il Fisco può certamente utilizzare presunzioni per dimostrare che il titolare formale di un reddito è diverso da quello effettivo. Tuttavia, questo potere non è illimitato.

Il giudice tributario non può assumere un ruolo passivo, limitandosi a giudicare ‘credibile’ la tesi dell’accusa. Al contrario, ha il dovere di valutare attivamente se gli indizi forniti (i fatti noti) siano ‘gravi, precisi e concordanti’. Questo significa che gli elementi devono essere seri, non vaghi, e convergenti nel dimostrare, con un elevato grado di probabilità, il fatto ignoto, ovvero che l’intera operazione era stata architettata sin dall’inizio con il solo scopo di eludere l’imposta.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva omesso questa analisi critica, non esaminando in modo adeguato gli elementi che potevano corroborare la tesi della preordinazione (profili cronologici, teleologici, ecc.), finendo per applicare in modo errato le regole sulla prova presuntiva.

Le Conclusioni: Implicazioni per Contribuenti e Fisco

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale del diritto tributario: la prevalenza della sostanza sulla forma deve essere rigorosamente provata. Per l’Amministrazione Finanziaria, ciò significa che non è sufficiente sospettare un’operazione elusiva; è necessario costruire un solido quadro probatorio, basato su elementi oggettivi e convergenti, in grado di superare il vaglio critico del giudice.

Per i contribuenti, la decisione sottolinea che, sebbene le operazioni di pianificazione fiscale internazionale siano lecite, devono essere supportate da una reale sostanza economica. La creazione di società estere prive di una concreta operatività e utilizzate al solo fine di beneficiare di regimi fiscali più favorevoli espone a un alto rischio di contestazioni. La sentenza, in definitiva, traccia una linea più netta tra pianificazione fiscale legittima e interposizione fittizia, imponendo al giudice un ruolo attivo e garantista nel valutare le prove fornite dal Fisco.

Quando una società estera può essere considerata un’interposizione fittizia per il Fisco?
Quando viene dimostrato, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente ne è l’effettivo possessore del reddito e che la società è stata utilizzata come schermo per eludere l’applicazione del regime fiscale nazionale. La norma si applica sia a operazioni di simulazione (interposizione fittizia) sia a manovre elusive con operazioni reali (interposizione reale).

È sufficiente che la ricostruzione del Fisco sia ‘plausibile’ per provare l’interposizione fittizia?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice non può limitarsi a considerare ‘plausibile’ la tesi dell’accertamento. Deve invece valutare attivamente se gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria possiedono i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge per poter fondare una prova presuntiva.

Cosa succede se un avviso di accertamento viene notificato a un indirizzo sbagliato?
Secondo la sentenza, la proposizione del ricorso da parte del contribuente ha l’effetto di sanare l’eventuale nullità della notificazione per raggiungimento dello scopo. Questa sanatoria non impedisce il decorso del termine di decadenza se questo è già maturato prima del fatto sanante. Tuttavia, nel caso specifico, i termini non erano ancora decorsi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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