Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2713 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2713 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
Avviso di accertamento -plusvalenza -elusione fiscale -interposizione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.7460/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato, in Roma, INDIRIZZO presso lo studio di quest’ultima
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, N. 4954/2015, depositata il 22/09/2015; udita la relazione svolta nella pubblica udienza del l’11 dicem bre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; NOME sentiti l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente e l’ Avv. dello Stato COGNOME per l’Agenzia delle entrate.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, a seguito del processo verbale di constatazione del 28 giugno 2012, sottoscritto da NOME COGNOME notificava a quest’ultimo un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione, per l’anno 2007, ed ai fini Irpef ed addizionali, maggiori redditi, derivanti dalla plusvalenza realizzata a seguito della cessione di azioni della Eurofly s.p.a. ed applicava la sanzione per infedele dichiarazione ex art. 1, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997.
1.1. La rettifica della dichiarazione dei redditi di cui all’avviso di accertamento avveniva ai sensi dell’art. 37 d.P.R. n. 600 del 1973 sul presupposto che il reddito derivante dalla plusvalenza della compravendita di azioni della RAGIONE_SOCIALE fosse imputabile alla persona fisica dell’COGNOME che ne era l’amministratore delegato, sebbene la titolarità della azioni fosse della RAGIONE_SOCIALE, società di capitali portoghese, iscritta nel registro delle imprese della Zona Fra nca di Madeira. L’Ufficio riteneva che detta società fosse stata costituita per svolgere ed implementare le attività estere dell’Angioletti. Rilevava, infatti, la seguente sequenza di atti: nel 2004 veniva costituita la RAGIONE_SOCIALE, interamente controllata dal l’Angioletti, beneficiando del regime fiscale favorevole della Zona Franca di Madeira; nel corso del 2005 l’RAGIONE_SOCIALE acquisiva dalla RAGIONE_SOCIALE 298.380 azioni di nuova emissione, cedute a titolo gratuito, del valore
nominale di un euro ciascuna, che venivano successivamente conferite da quest’ultimo alla RAGIONE_SOCIALE; questa, a propri volta, in data 15 settembre 2005, acquistava altre 368.212 azioni della Eurofly dal socio unico della stessa al prezzo di euro 775.000,00 e, dunque, per il valore nominale di euro 2,105 ciascuna; successivamente alla quotazione della RAGIONE_SOCIALE nel mercato telematico azionario gestito da Borsa Italia spa la RAGIONE_SOCIALE vendeva parte delle azioni, realizzando per il 2007 una plusvalenza di euro 2.818.948 cui conseguiva un maggior reddito pari al 40 per cento, di euro 1.127.594,00. nel 2008 la RAGIONE_SOCIALE veniva «chiusa» con accredito degli attivi di liquidazione sul conto svizzero dell’Angioletti, fiscalmente residente in Lugano dal 21 novembre 2007.
L’Ufficio riteneva che la plusvalenza realizzata con la cessione delle azioni della RAGIONE_SOCIALE fosse imputabile al reddito dell’COGNOME in quanto l’intero pacchetto azionario era a lui riconducibile; che, inoltre, poiché si era in presenza di una partecipazione qualificata, in quanto superiore al 5 per cento, la stessa era assoggettata ad imposizione fiscale come reddito diverso e, pertanto, con l’applicazione dell’aliquota del 40 per cento; che, invece, l’COGNOME, servendosi dell’interposizione della COGNOME aveva posto in essere una strategia evasiva.
Il contribuente impugnava entrambi gli atti impositivi.
La C.t.p., in via preliminare, rilevava che il contribuente aveva dimostrato di aver stabilito la sua residenza in Svizzera dalla data del 9 maggio 2007. Nel merito accoglieva il ricorso rilevando che l’Ufficio non aveva dimostrato in capo all’COGNOME il possesso del reddito e che aveva errato nel determinare la plusvalenza.
Avverso detta sentenza spiegava appello l’Ufficio ed appello incidentale il contribuente.
La C.t.r. accoglieva l’appello dell’Ufficio e confermava la legittimità dell’avviso di accertamento. R iteneva che la documentazione prodotta dall’COGNOME al fine di dimostrare l’effettività della residenza in
Svizzera, paese black list, non era idonea a superare la presunzione di cui all’art. 2, comma 2 -bis t.u.i.r. Nel merito riteneva provato il possesso del reddito in capo all’COGNOME e correttamente quantificata la plusvalenza.
Avverso detta sentenza ricorre il contribuente e l’Agenzia delle entrate resiste a mezzo controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ,. la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2, comma 2bis , t.u.i.r. e degli artt. 2697, 2699 e 2727 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non fosse stata fornita idonea prova della residenza in Svizzera atta a superare la presunzione di cui all’art. 2, comma 2 -bis t.u.i.r.
Osserva che la C.t.r. ha errato a) nel ritenere che la prova richiesta dall’art. 2 comma 2 -bis cit. sia finalizzata a dimostrare l’effettività del trasferimento di residenza in Svizzera, laddove invece, la prova richiesta è quella che documenti il luogo in cui il soggetto abbia il più stretto collegamento e gestisca abitualmente i suoi interessi; b) per non aver tratto dal permesso di dimora e dall’iscrizione all’AIRE la prova della residenza in Svizzera; c) per non aver dedotto dalla ulteriore documentazione prodotta la prova presuntiva che Lugano era il luogo in cui aveva il più stretto collegamento e gestiva abitualmente i suoi interessi
Il motivo è complessivamente inammissibile.
2.1. Non è controverso che nel 2007 la Svizzera fosse Stato avente un regime fiscale privilegiato, individuato come tale dal relativo decreto del Ministro delle finanze del 4 maggio 1999, quindi incluso nella c.d. black list . Pertanto, a norma dell’ art. 2, comma 2 -bis , t.u.i.r., la
persistente residenza nel territorio nazionale del contribuente era oggetto di presunzione legale relativa, che trasferiva al medesimo l’onere di provare l’insussistenza di alcuno dei criteri di collegamento dettati dal comma 2 della stessa disposizione, ovvero, nel caso di specie, che nell’anno qui controverso egli non avesse avuto nel territorio dello Stato «il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile», ma risiedesse effettivamente nello Stato nel quale era emigrato.
2.2. Questa Corte ha già precisato che alle fattispecie sostanziali antecedenti al primo gennaio 2024 non si applica la modifica dell’art. 2, comma 2bis, cit. di cui all’art. 1 d.lgs. n. 209 del 2023. Tanto vale in particolare, nel caso di specie, per quanto riguarda il concetto di «domicilio», atteso che prima della modifica apportata dall’art. 1 d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, l’art. 2, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986 mutuava espressamente i concetti di residenza e domicilio dal codice civile (« han no nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.»), mentre ora limita tale rinvio alla sola residenza , fornendo nel contempo un’autonoma definizione del domicilio (Cass. 18/07/2024, n. 19843).
Si è, altresì, aggiunto che il domicilio -del quale l’art. 2, co. 2, t.u.i.r. vigente ratione temporis , non forniva una definizione, rinviando al codice civile – coincide con il centro degli affari e degli interessi vitali della persona, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi; non rivestono ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento (Cass. n. 19843 del 2024).
2.3. Ciò posto, la C.t.r. ha in primo luogo rilevato che le condizioni fissate dall’art. 2, comma 2 -bis, cit. -e cioè l’iscrizione nell’anagrafe
della popolazione residente o il domicilio o la residenza a sensi del codice civili -si pongono in via alternativa e che la disgiuntiva «o» si riferisce al domicilio o alla residenza effettivi, avendo l’iscrizione anagrafica funzione di pubblicità dichiarativa. Di seguito ha motivato sulle ragioni per le quali non vi era prova che la residenza effettiva fosse in Svizzera ed ha puntualmente analizzato la documentazione prodotta dal contribuente per vincere la presunzione, evidenziando che tutti gli elementi addotti potevano al più portare a ritenere che l’interessato «frequentava la Svizzera» ma non che vi aveva la residenza effettiva.
La C.t.r., pertanto, si è attenuta ai principi sopra esposti, in quanto, facendo riferimento alla mancanza di prova della residenza effettiva in Svizzera, ha chiaramente escluso che il contribuente avesse provato l’in sussistenza di alcuno dei criteri di collegamento con l’Italia dettati dal comma 2 (ovvero, come detto, che nel 2007 non aveva in Italia né il domicilio né la residenza, secondo la definizione di cui all’art. 43 cod. civ.).
2.4. Il ricorrente, in realtà, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza
per violazione degli artt. 112, cod. proc. civ. e dell’art 60, d.P.R. n. 600 del 1973 cit.
Assume che il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi in merito alla questione relativa alla nullità o inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento , ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, così incorrendo nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Osserva che l’Agenzia delle entrate aveva notificato l’avviso di accertamento il 19 novembre 2012 mediante utilizzo del servizio postale presso l’indirizzo del proprio commercialista che, invece, l’Ufficio avrebbe dovuto notificare l’atto impositivo e l’atto sanzionatorio, ai sensi del comma 4 dell’art. 60 cit., presso l’indirizzo svizzero del contribuente, risultante dai registri AIRE, essendo conseguentemente inesistente la notifica eseguita pre sso l’indirizzo italiano del suo commercialista. Aggiunge che, anche ritenendo che l’atto fosse stato notificato in un luogo che presentava un collegamento con l’COGNOME, cionondimeno la sanatoria ex art. 156 cod. proc. civ. per raggiungimento dello scopo non poteva attribuire validità ad un avviso di accertamento divenuto illegittimo ai sensi dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 per il decorso del termine, scaduto il 31 dicembre 2012.
Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli art. 60, e 43, d.P.R. n. 600 del 1973.
In via subordinata rispetto al secondo motivo per l’ipotesi in cui si ritenesse che la questione relativa alla notifica fosse stata oggetto di rigetto implicito – censura la sentenza impugnata per non aver rilevato che, mancando una valida elezione di domicilio, l’Ufficio avrebbe dovuto notificare l’atto impositivo e l’atto sanzionatorio, ai sensi del comma 4 dell’art. 60 cit., presso l’indirizzo svizzero del contrib uente,
risultante dai registri AIRE, essendo conseguentemente inesistente la notifica eseguita presso l’indirizzo italiano del suo commercialista. Ribadisce che, anche ritenendo che l’atto fosse stato notificato in un luogo che presentava un collegamento con l’COGNOME, cionondimeno la notifica risulterebbe affetta da nullità insanabile in quanto la sanatoria ex art. 156 cod. proc. civ. per raggiungimento dello scopo non opera rispetto agli atti impositivi, illegittimi ai sensi dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 19 73 per il decorso del termine per l’accertamento.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono entrambi infondati.
5.1. In primo luogo, va richiamato l’orientamento consolidato di questa Corte per il quale, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153). E’ stato , quindi, ritenuto che «non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto.» (Cass. 04/06/2019, n. 1525).
5.2. La sentenza impugnata dà conto, riportando il contenuto dell’all’appello dell’Agenzia delle entrate, dell’espressa confutazione del motivo originario di ricorso del contribuente riguardante la pretesa
inesistenza (o nullità insanabile) della notifica dell’avviso di accertamento. Pertanto, nell’accogliere l’appello dell’Amministrazione sotto il profilo del merito, deve intendersi che abbia implicitamente rigettato il motivo.
5.3. Deve altresì, escludersi sia il vizio della notifica sia che l’Ufficio sia incorso in decadenza.
5.3.1. Il contribuente ha proposto ricorso averso l’atto impositivo in data 5 febbraio 2013 ovvero quando il termine di decadenza dalla potestà impositiva – pari ad otto anni dalla data del 31 dicembre 2008 in virtù del c.d. raddoppio dei termini – non era ancora decorso.
Va data continuità al principio di diritto per il quale l’applicazione alle notifiche degli avvisi di accertamento delle norme del processo civile, in base all’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, comporta quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle relative sanatorie, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare l’ eventuale nullità della notificazione dell’atto impositivo, per raggiungimento dello scopo, ex art. 156 cod. proc. civ. Tale sanatoria determina soltanto il venir meno dell’interesse del destinatario a denunciare lo specifico vizio, ma non esplica alcun effetto sui requisiti di validità ed esistenza dell’avviso di accertamento, non potendo, quindi, impedire il decorso del termine di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio della potestà impositiva, qualora, però, quest’ultimo sia maturato precedentemente al fatto sanante (Cass. 24/08/2018, n. 21071, Cass. 15/01/2024, n. 654, Cass. 12/05/2011, n. 10455)
5.3.2. Quanto al termine di decadenza, va rilevato che alla fattispecie in esame, in cui l’avviso di accertamento era del 16 ottobre 2012, si applica -stante il regime transitorio dettato dall’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2015 -la disciplina dei termini di accertamento di cui all’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 57, comma 3,
(commi inseriti dall’art. 37 commi 24, e 25 d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, in vigore dal 4 luglio 2006), i quali prevedono che, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, i termini di cui ai commi precedenti (cioè, in caso di presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, nonché, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il termine del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata) sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.
La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia e non dipende dal suo accertamento in concreto. L’istituto presuppone la sussistenza dell’obblig o di presentazione della denuncia penale, a prescindere dall’esito del procedimento, e nonostante l’eventuale estinzione del reato per archiviazione, rilevando solo l’astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime c.d. del doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass. 15/09/2022 n. 27250). Nello stesso senso si è aggiunto che il raddoppio dei termini, rilevando unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, opera nonostante l’eventuale prescrizione del reato (Cass. 11/04/2017, n. 9322).
5.3.3. Nella fattispecie in esame, la contestazione mossa al contribuente già con il p.v.c. implicava una fattispecie di reato rilevante ai fini del raddoppio dei termini e la medesima è rimasta tale nel successivo avviso di accertamento.
Con il quarto motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1 t.u.i.r. e dell’art 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 cit.
C ensura la sentenza impugnata per averlo ritenuto l’effettivo possessore del reddito derivante dalla plusvalenza realizzata. Assume che incombeva all’Ufficio provare che la «titolarità giuridica effettiva» delle azioni della RAGIONE_SOCIALE fosse propria, e non della RAGIONE_SOCIALE. Osserva che le azioni, pacificamente, appartenevano a quest’ultima; che la circostanza che si trattasse di società unipersonale, totalmente partecipata, era irrilevante; che non era mai stato contestato il fatto storico della «concreta operatività» della stessa; che spettava all’Agenzia dare prova specifica dei fatti dimostrativi dell’abuso di diritto; che detta fattispecie non poteva ravvisarsi esclusivamente nella costituzione di una società portoghese, né nella sua localizzazione nella zona franca di Madeira. Assume che la CRAGIONE_SOCIALE avrebbe errato nel ravvisare la preordinazione dell’operazione in quanto ciò presupponeva la prova che la società, nel 2004, fosse stata costituita con la certezza della successiva acquisizione e vendita delle azioni RAGIONE_SOCIALE, della sua quotazione in Borsa e dell’incremento di valore; che tanto, invece, trovava smentita nei patti parasociali.
7 . Con il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 cit. e degli artt. 2697 e 2727 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto «plausibile» che il conferimento e l’intestazione delle azioni alla RAGIONE_SOCIALE fossero il mezzo per sottrarle alla tassazione, così violando le regole della prova presuntiva; per non aver operato alcuna valutazione critica dei fatti rilevanti dai quali desumere il fatto ignoto del possesso del reddito. Evidenzia che, al contrario, le circostanze della costituzione della società nel 2004, del conferimento nella società delle proprie
partecipazioni e dell’acquisto di altre, della quotazione in Borsa, dei flussi di cassa presso i conti esteri, rendevano più probabile che il possesso del reddito fosse proprio in capo alla società. Conclude, per l’effetto, affermando che non vi era prova del possesso e che l’operazione non era abusiva.
8 . Con il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 67 e 68 t.u.i.r.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto corretta la quantificazione della plusvalenza di cui all’atto di accertamento e per aver rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dal contribuente, non risultava che le azioni cedute dall’Eurofly, asser itamente costituenti una retribuzione in natura, fossero state soggette a ritenuta alla fonte. Assume che la C.t.r. ha erroneamente considerato corretta detta ricostruzione, sebbene le indagini eseguite sulle banche dati dell’anagrafe tributaria si riferivano all’anno di imposta 2005, diverso da quello in cui la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) come da sua dichiarazione, aveva effettuato i versamenti delle ritenute d’acconto relative alle azioni assegnate all’RAGIONE_SOCIALE, ovvero negli anni 2006 e 2007. Osserva che nella quantificazione si sarebbe dovuto tener conto che dall’attestazione della RAGIONE_SOCIALE, che aveva operato come sostituto d’imposta risultava il versamento delle ritenute. Assume che tale documento era stato trascurato dal giudice.
9 . Con il settimo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5 d.l . 28 giugno 1990, n. 167 e dell’art. 17 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
Critica la sentenza impugnata per non avere rilevato che, in applicazione del principio del favor rei , conseguente all’entrata in vigore della legge 6 agosto 2013, n. 97, la sanzione amministrativa tributaria avrebbe dovuto essere rideterminata.
10. Il quarto ed il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati restando assorbiti gli ulteriori motivi.
10.1. Va in primo luogo ribadito che l’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 – ai sensi del quale sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona – non esaurisce la sua portata esclusivamente all’ipotesi della simulazione relativa, nell’ambito della quale può comprendersi anche l’interposizione fittizia, ma si estende anche a manovre elusive costituite da operazioni effettive e reali, come quella contestata al contribuente. Pertanto, è pienamente valido l’accertamento con il quale il Fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto (nella specie la Singins), quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che questi ne è l’effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale.
L’art. 37, terzo comma, cit., oltre a riferirsi a qualsiasi ipotesi di interposizione, non presuppone un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale, potendo l’elusione attuarsi anche mediante operazioni effettive e reali (Cass. 27/04/2021, n. 11055). La funzione della norma è quella di evitare che il contribuente, che venga individuato come effettivo possessore del reddito altrui, si sottragga al prelievo, nascondendo all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali. La rilevanza dell’effettivo possesso del reddito, rispetto alla sua titolarità formale, sancisce la prevalenza della sostanza sulla forma (Cass. 17/02/2022, n. 5276).
10 .2. In ordine al riparto dell’onere probatorio, l’art. 37, terzo comma, cit., prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria, rappresentato da l possesso effettivo di un reddito «per interposta persona». Quanto alla prima parte della norma, la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che nella prova per presunzioni non occorra che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza.
10.3. Sempre con riferimento alla prova presuntiva, va rilevato che il ricorrente denuncia il difetto di sussunzione degli elementi indiziari nell’ambito della fattispecie legale di cui all’art. 2729 cod. civ. e la conseguente fallacia dell’esito del ragionamento inferenziale svolto dalla C.t.r.; ciò è consentito in sede di legittimità, in quanto, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta.» (Cass. 16/11/2018, n. 2963). E’ quindi ammissibile denunciare in questa sede la violazio ne di legge che si realizza quando il giudice del merito « abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cio è̀ , sotto la previsione dell’art. 2729 cod. civ., fatti privi
dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erronea mente applicata alla “fattispecie concreta”.» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, in motivazione).
10.4. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi.
Infatti, in diritto ha correttamente rilevato che, ai fini della fattispecie di cui all’art. 37 cit., non è rilevante la distinzione tra interposizione fittizia e reale e che occorre dimostrare, anche tramite presunzioni, che il contribuente è l’effettivo possessore del reddito, anche se per interposta persona. Tuttavia, al momento di sussumere la fattispecie concreta in quella astratta, non ha fatto buon governo dei principi in materia di prova e, in particolare, relativi alla prova presuntiva.
In primo luogo, ha confermato l’accertamento, affermando che la ricostruzione della Guardia di Finanza era «plausibile», esprimendo, quindi un giudizio di credibilità dei fatti mentre avrebbe dovuto valutare se i medesimi potevano ritenersi provati. In secondo luogo, si è limitata a rilevare che la plusvalenza aveva arricchito il patrimonio personale dell’COGNOME come risultava dalle sue stesse ammissioni, non avendo questi negato che le azioni della RAGIONE_SOCIALE gli erano state cedute quale corrispettivo in natura per le sue prestazioni lavorative e che la RAGIONE_SOCIALE era da lui interamente partecipata. Trattasi, tuttavia, di una mera constatazione di per sé non determinante. La sentenza impugnata, invece, non esamina in maniera adeguata l’esistenza di elementi presuntivi (esposti nel controricorso dell’Amministrazione) atti a corroborare quella preordinazione delle diverse attività puntualmente descritte i atti, non soltanto con riferimento al profilo cronologico ma anche a quello teleologico, poste in essere d all’COGNOME, direttamente o tramite il soggetto interposto, di cui, oltre che unico socio, era anche
Amministratore, allo scopo di evadere l’imposta dovuta sulle plusvalenze realizzate.
Ne consegue, in accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso -dichiarato inammissibile il primo, rigettati il secondo ed il terzo ed assorbiti gli altri -la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, rigettati il secondo ed il terzo ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 11 dicembre 2024.