Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32142 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32142 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
Oggetto: diniego definizione agevolata; accertamenti IRES, IRAP, IVA
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 4397/2020 proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
-ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, n. 1087/2018, pronunciata il 15 giugno 2018 e depositata il 17 ottobre 2018, non notificata;
sul ricorso iscritto al n. R.G. 7066/2023 proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
-ricorrente principale-
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con la quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1106/2022, pronunciata il 26 aprile 2022 e depositata il 27 settembre 2022, non notificata
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 novembre 2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, per la causa R.G. 7066/2023, l’accoglimento del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale; e, per la causa R.G. 4397/2020, l’accoglimento del primo e terzo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo, con declaratoria d’inammissibilità del ricorso incidentale;
udita l’avv. NOME COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine da una duplice attività di verifica svolta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, di seguito, per brevità, PIM). La prima, svoltasi tra il gennaio ed il marzo 2009, conclusasi con processo verbale di constatazione, riguardante le annualità tra il 2004 ed il 2006, la seconda, svoltasi nel 2011, concernente le annualità 2006, 2007 e 2008.
Esse sfociarono in complessivi dieci avvisi di accertamento per IRES, IVA ed IRAP ed altro, tutti impugnati dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Vicenza.
Il nucleo centrale comune a tutti gli atti impositivi riguarda i rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e la società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) di cui RAGIONE_SOCIALE possiede, quale consolidante, il controllo totalitario.
L’Agenzia delle entrate, anche a seguito dell’assunzione di informazioni dall’Autorità fiscale lussemburghese, ha ritenuto, sulla
base di una serie di indizi, che Atlantic avesse natura di mero soggetto interposto, non avendo Atlantic alcuna autonomia rispetto alla sua controllante totalitaria PIM. In particolare -secondo l’Ufficio – PIM, ricorrendo al credito bancario, finanziava con le risorse così ottenute le proprie controllate italiane, quindi deliberava aumenti di capitale di Atlantic che sottoscriveva non in denaro, ma cedendo ad Atlantic i crediti verso le proprie controllate derivanti dai finanziamenti succitati.
In tal modo, NOME diveniva creditrice delle controllate di PIM, che le versavano gli interessi, dedotti dal proprio imponibile; NOME, quindi, riversava a PIM gli interessi sotto forma di dividendi basati sull’utile costituito dai versamenti degli interessi da parte delle controllate di PIM. Quest’ultima, poi, usufruiva della tassazione agevolata di tali dividendi nella misura del 5% secondo la participation exemption di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), laddove NOME finiva con scontare in Lussemburgo imposte su detti utili in misura pressoché irrisoria, consentendole la legge lussemburghese di contabilizzarli come costi di esercizio e di dedurli quindi fiscalmente.
Ciò determinava, quindi, per l’Ufficio, che i redditi di Atlantic, quale soggetto meramente interposto, avrebbero dovuto essere imputati come ricavi di PIM, in applicazione dell’art. 37, comma 3, TUIR, a ciò conseguendo anche la ripresa a tassazione ai fini IVA in ragione degli artt. 10 e 19 del d.P.R. n. 633/1972.
Un secondo rilievo, riferito invece alle sole annualità dal 2007 al 2009, fu elevato in relazione alla contestata indeducibilità dell’accantonamento delle somme destinate a trattamento di fine mandato degli amministratori, venendo negata dall’Ufficio la deducibilità dei costi suddetti sia sul presupposto che gli amministratori della società non fossero collaboratori continuativi e coordinati, ma liberi professionisti svolgenti le loro funzioni di amministratori della società sulla base di un mero contratto di opera, sia in ragione del fatto
che, secondo l’Ufficio, detti accantonamenti erano manifestamente eccessivi ed economicamente ingiustificati e quindi indeducibili per difetto di inerenza.
Un terzo rilievo, riferito al solo anno 2007, riguardò la ritenuta non deducibilità di minusvalenza derivante da un contratto di opzione intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; infine per gli anni 2008 e 2009 furono disconosciuti altri costi dichi arati, relativi, per l’anno 2008 a spese di pubblicità, canoni di leasing ed autovetture, per l’anno 2009 a spese di pubblicità.
Solo per l’anno 2008 l’Ufficio accolse l’istanza di PIM, ex art. 40 -bis , comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 di computare le perdite del consolidato non utilizzate in diminuzione dei maggiori imponibili derivanti dall’attività di accertamento.
I ricorsi, previa loro riunione, furono accolti parzialmente dalla CTP di Vicenza.
Per quanto qui ancora di interesse, sul primo rilievo la CTP, pur ritenendo Atlantic società interposta, osservava che proprio l’impossibilità per Atlantic di corrispondere a PIM dividendi giustificasse che i redditi da imputare a PIM fossero pari a quanto riversato da Atlantic a PIM dedotti i costi di esercizio sopportati da Atlantic, ciò determinando la rideterminazione nel quantum nella pretesa in oggetto.
Sul secondo rilievo relativo alla contestata deducibilità degli accontamenti sul TFM degli amministratori la CTP confermò la legittimità della ripresa, così come quella riferita alla minusvalenza in relazione al succitato menzionato contratto di opzione.
La sentenza di primo grado fu oggetto, per le statuizioni di reciproca soccombenza, da entrambe le parti, di appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) del Veneto, che, con sentenza n. 1087/18 del 17 ottobre 2018, non notificata, in parziale riforma della
sentenza impugnata, respinse l’appello dell’Agenzia delle entrate, accogliendo l’appello della PIM limitatamente al capo di sentenza concernente la contestata interposizione fittizia di Atlantic, ritenendo gli atti impositivi nulli per difetto di previo contraddittorio in relazione al disposto dell’art. 37 bis , comma 4, del d.P.R. n. 600/1973 applicabile ratione temporis , e affermando l’illegittimità della ripresa a tassazione in relazione alla contestata indeducibilità degli accantonamenti sul TFM degli amministratori, confermando nel resto, quindi, l’impugnata sentenza.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso principale per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste PIM con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi (il primo qualificato come principale, il secondo come motivo di ricorso incidentale condizionato).
Nella proposizione del ricorso principale l’Agenzia delle entrate ha specificato che esulano dall’impugnazione le questioni di cui agli avvisi di accertamento n. T6508MO03856/2012 per IRES 2006 e n. T650EMO00879 per IRES 2009, oggetto di definizione agevolata.
Ancora controversa tra le parti è invece la questione se possa ritenersi la parziale estinzione del giudizio limitatamente alle questioni riferite all’avviso di accertamento n. T650EMO00877/2013 per IRES relativa all’anno 2008, rispetto al quale è intervenuto diniego di definizione agevolata da parte dell’Amministrazione finanziaria , per ritenuto mancato versamento del dovuto, sulla domanda proposta dalla società ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 136/2018, successivamente al deposito della sentenza pronunciata dalla CTR in grado di appello ed in pendenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione; diniego di definizione agevolata che, notificato successivamente alla proposizione del ricorso principale per cassazione da parte dell’Agenzia delle entrate,
è stato impugnato dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Vicenza, che accolse il ricorso, annullando integralmente il diniego di definizione agevolata.
Detta sentenza fu impugnata dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) del Veneto che, con sentenza n. 1106/22 depositata il 27 settembre 2022, non notificata, accolse parzialmente l’appello, rideterminando l’importo ri tenuto dovuto per la definizione agevolata.
Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle entrate ricorre quindi per cassazione in forza di quattro motivi, cui resiste la società con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un motivo.
In prossimità dell’odierna udienza pubblica di discussione fissata per detti giudizi il Procuratore Generale ha rassegnato in ciascun giudizio conclusioni scritte alle quali si è riportato.
La società ha depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I due giudizi vanno riuniti, dovendo essere previamente esaminato il ricorso, iscritto al n. R.G. 7066/2023, dell’Amministrazione finanziaria, avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza della C TR del Veneto n. 1106/2022, nella parte in cui ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate che aveva lamentato l’erroneità della decisione del giudice di primo grado, in primo luogo perché affetta da error in procedendo , essendosi la CTP ritenuta competente a decidere sul ricorso della contribuente avverso il diniego di definizione agevolata, recante il n. T65 000629/2019, ex art. 6, comma 12, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla 17 dicembre 2018,n. 136, con riferimento all’avviso di accertamento n. T650EMO00877/2013 per IRES relativa all’anno 2008.
Con il primo motivo di ricorso, infatti, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 12, del
d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2018, n. 136; 7, comma 2, lett. c) della l. 27 luglio 2000, n. 212; 5, comma 5, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c ., nella parte in cui la decisione impugnata ha confermato la decisione della CTP di Vicenza che si era ritenuta competente a statuire sul diniego di definizione agevolata in esame, respingendo l’eccezione dell’Ufficio che aveva sostenuto la competenza della Corte di cassazione, atteso che, quando fu notificato il diniego di definizione agevolata, era già pendente il ricorso per cassazione dell’Amministrazione iscritto al n. R.G. 4397/2020, avente, tra gli altri, ad oggetto anche il summenzionato avviso di accertamento che la società intendeva definire ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018.
In sostanza la CTR ha affermato che, essendo stata la società vittoriosa nel giudizio conclusosi con la precedente sentenza del medesimo organo giurisdizionale n. 1087/12018, non avendo interesse a proporre impugnazione per mezzo di ricorso per cassazione, laddove fosse sopravvenuto diniego all’istanza di definizione agevolata nelle more formulata ex art. 6, comma 10, del d.l. n. 119/2018, legittimamente la relativa impugnazione avrebbe dovuto essere proposta dinanzi alla CTP indicata nel diniego quale giudice dell’eventuale impugnazione.
2.1. Il motivo è fondato.
L’art. 6, comma 12, del d.l. n. 119/2018, così come convertito dalla l. n. 136/2018, per quanto qui rileva, stabilisce che il diniego alla definizione agevolata va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali ed esso è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia.
Orbene, nella fattispecie in esame è pacifico che -depositata in data 17 ottobre 2018 la sentenza n. 1087/2018 della CTR del Veneto
relativa anche all’avviso di accertamento CODICE_FISCALE per IRES relativa all’anno 2008, per il quale la contribuente ha fatto istanza di definizione agevolata – al tempo della notifica del diniego da parte dell’Amministrazione in data 11 febbraio 2020 era già pendente il ricorso per cassazione proposto dall’Ufficio avverso la sentenza medesima, nel quale, peraltro, la società aveva proposto le proprie difese con controricorso e ricorso incidentale notificato alla controparte pubblica in data 26 febbraio 2020.
2.2. Ne consegue che secondo l ‘art. 6, comma 12, del citato d.l. n. 119/2018 -neppure in effetti menzionato nella sentenza impugnata -il ricorso avverso il diniego di definizione agevolata avrebbe dovuto essere proposto dalla società dinanzi a questa Corte Suprema, a nulla rilevando che sia stato notificato il ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle entrate prima del diniego di definizione agevolata, essendo sufficiente ad attribuire alla competenza del giudice di legittimità la pendenza del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, sempre che il diniego sia stato notificato, come senz’altro avvenuto nella fattispecie, entro il termine perentorio del 31 luglio 2020.
2.3. L’accoglimento del ricorso RG 7066/2023 in relazione alla questione preliminare in rito di cui al primo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata, con l’ulteriore conseguenza che, stante la competenza della Corte a giudicare anche nel merito in unico grado sulle ragioni addotte dall’Amministrazione a sostegno del notificato diniego di definizione agevolata (cfr. Cass. sez. 5, 14 settembre 2021, n. 24652) -assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso principale ed il motivo di ricorso incidentale avverso la sentenza della CTR del Veneto -col quale ultimo la contribuente lamentava la nullità della sentenza impugnata per manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione, ovvero motivazione perplessa o
incomprensibile nella parte in cui l’appello dell’Ufficio è stato parzialmente accolto, determinandosi l’importo dovuto per la definizione agevolata nel 15% di euro 226.792,45, pari ad euro 34.018,86 -va esaminato previamente il ricorso della contribuente avverso il diniego di definizione agevolata originariamente proposto dalla società dinanzi al giudice tributario (CTP di Vicenza).
Detto ricorso è infondato.
2.4. La società ha impugnato il provvedimento di diniego di definizione agevolata sulla base del seguente unico motivo: «iolazione dell’art. 40 bis del d.P.R. n. 600/1973 , dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018 e dell’art. 10 l. n. 21 2/2000 cosiddetto statuto dei diritti del contribuente», deducendo che, nel caso di specie, nulla doveva essere versato, in quanto l’imposta (IRES) virtuale, come determinata in euro 453.806,38 con comunicazione prot. 2013/133054 del 13 dicembre 2013, corre lata alle perdite d’impr esa utilizzate con il modello IPEC a scomputo del maggiore imponibile accertato, superava di gran lunga l’importo da versarsi per la definizione agevolata pari ad euro 226.792,45, deducendo che il proprio assunto trovava conforto nella Risoluzione n. 165 del 28 maggio 2019 dell’Agenzia dell’entrate, con riferimento a fattispecie ritenuta dalla ricorrente assimilabile a quella oggetto di esame in questa sede.
2.4.1. Nella fattispecie in esame, l’Amministrazione finanziaria ha motivato il diniego di definizione agevolata rilevando la mancanza del versamento dell’importo dovuto; sebbene, infatti, nella domanda di definizione agevolata della lite fosse indicato come versato in pendenza del giudizio l’importo dovuto pari ad euro 226.792,45, nulla in realtà risultava essere stato versato in pendenza di giudizio.
2.4.2. Tale circostanza di fatto è pacifica; in effetti, la società ha assunto che detto importo dovesse considerarsi ‘virtualmente’ versato perché l’IRES virtuale, secondo l’aliquota del 27,5% sulle perdite
pregresse per euro 1.650.205,00 computate in diminuzione del maggior imponibile accertato, era pari ad euro 453.806,38, ciò che, a giudizio della società, assorbiva quanto dovuto (euro 226.792,45) per ottenere la definizione agevolata.
Tale argomentazione, tuttavia, come correttamente evidenziato dall’Amministrazione anche specificamente nel proprio terzo motivo di ricorso avverso la decisione della CTR del Veneto n. 1106/22, si pone in contrasto con il disposto dell’art. 6, commi 1 e 2 del d.l. n. 119/2018, che, ai fini della definizione agevolata, prende in considerazione esclusivamente il maggior tributo accertato nell’atto impositivo impugnato e l’esito della controversia in primo e in secondo grado , di modo che il dovuto ai fini della definizione agevolata avrebbe dovuto essere effettivamente versato nella misura del 15% sull’importo dell’imponibile rettificato in euro 910.388,22 in seguito alla richiesta dalla società di computare ai sensi dell’art . 40 bis, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 le perdite pregresse non utilizzate, cui doveva aggiungersi l’importo della maggiore imposta dovuta non contestata con il ricorso introduttivo.
2.4.3. Ciò, del resto, è in linea con quanto specificamente indicato nella dell’Agenzia delle entrate n. 6/E del 2019, par. 5.3; posto, infatti, che in conseguenza dell’utilizzazione in diminuzione dell’imponibile originariamente accertato delle perdite pr egresse risulta pur sempre una maggior imposta accertata rispetto a quanto dichiarato, il tenere conto nuovamente delle perdite pregresse (nella forma dell’imposta virtuale ad essa riferibile) ai fini della quantificazione del dovuto per la definizione agevolata della controversia significherebbe far valere due volte le perdite medesime, in contrasto con quanto previsto dal citato art. 6, commi 1 e 2 del d.l. n. 119/2018.
2.4.4. Il ricorso della società avverso il diniego di definizione agevolata è pertanto infondato, non avendo la stessa versato quanto dovuto a tal fine ed incorrendo pertanto in decadenza ai fini della fruizione dell’agevolazione.
Venendo all’esame del giudizio iscritto al n. R.G. 4397/2020, con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate denuncia «iolazione e falsa applicazione degli artt. 32, 33, 37, c.3, 37 bis , 39, 42 d.P.R. 29.9.1973, n. 600; 52, c. 6, d.P.R. 26.10.1972, n. 633, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.» , con riferimento al capo della sentenza n. 1087/18, con il quale la CTR del Veneto ha accolto l’appello della società avverso la pronuncia di primo grado relativamente alla ripresa a tassazione basata sull’interposizione fittizia di Atlantic, avendo affer mato il giudice tributario d’appello che pur non sussistendo dubbi circa tale interposizione fittizia l’Ufficio avrebbe dovuto procedere secondo il contraddittorio preventivo come disciplinato dall’art. 37 bis , comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, richiedendo previamente chiarimenti alla contribuente in ordine all’ipotizzato abuso del diritto , assegnando a tal fine il termine di sessanta giorni e redigendo infine processo verbale di constatazione.
3.1. La ricorrente principale lamenta che la CTR – male interpretando un passo del proprio ricorso in appello col quale si replicava all’avverso ricorso , rilevandosi che, anche a voler configurare nella fattispecie un abuso del diritto, ciò non sarebbe stato incompatibile col rilievo di un’interposizione fittizia contestata sulla base dell’art. 37 , comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 con riferimento ai rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e la società lussemburghese Atlantic -abbia ricondotto la contestazione ad una fattispecie di abuso del diritto, che secondo la norma vigente ratione temporis di cui all’art. 37 bis, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, richiedeva l’espletamento del contraddittorio preventivo nelle forme previste dalla citata norma.
3.2. In realtà -sul punto espressamente debbono in parte qua condividersi le conclusioni del Pubblico Ministero -il meccanismo delineato nella contestazione dell’Ufficio è propriamente quello di un fenomeno di evasione fiscale, pur realizzato mediante un artificio, ricondotto all’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 60 0/1973, a mente del quale, «n sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo titolare per interposta persona».
L’interposizione fittizia della società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE, della quale RAGIONE_SOCIALE ha il controllo totalitario, porta, secondo la pretesa impositiva dell’Ufficio, a ricostruire i relativi rapporti in questi termini: a) RAGIONE_SOCIALE finanzia le proprie controllate in Italia con crediti ottenuti dalla banche; b) RAGIONE_SOCIALE cede ad Atlantic i crediti verso le controllate italiane che ha finanziato, attraverso aumenti di capitale sottoscritti con la cessione dei crediti; c) le società italiane versano ad Atlantic gli interessi passivi che avrebbero dovuto versare in origine a PIM; d) la percezione degli interessi genera un utile in capo ad Atlantic sotto fo rma di dividendi, esclusi dalla tassazione a norma dell’art. 89, comma 2 TUIR e dalla c.d. Direttiva madre -figlia.
3.3. Il nucleo della contestazione, anteriore alla disciplina previs ta dall’art. 10 bis della l. n. 212/2000, come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d. lgs. 5 agosto 2015, n. 128, è riferito però pur sempre all’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 , che di per sé non rientra tra le operazioni negoziali tipizzate dal legislatore nel previgente art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, applicabile ratione temporis nel presente giudizio, da considerarsi tassative per potersi considerare un abuso del diritto, richiedente lo specifico contraddittorio preventivo delineato dal comma 4 della norma da ultimo citata (cfr. Cass. sez. 5, ord. 31 ottobre 2018, n. 27886). Né occorreva, come invece dedotto
dalla contribuente, la necessaria specifica redazione per tutti gli atti impositivi, di processo verbale di constatazione, presente peraltro per gli anni dal 2004 al 2006, non risultando gli atti impositivi emessi per gli anni successivi a seguito di accessi nei locali destinati all’esercizio dell’attività svolta dalla società medesima rispetto ai quali poter invocare la eventuale violazione dell’art. 12, comma 7 della l. n. 212/2000 nel testo applicabile ratione temporis alla controversia in esame, il cui termine dilatorio ivi previsto risulta con riferimento alle annualità per le quali risulta emesso il processo verbale di constatazione pacificamente rispettato.
3.4. Il primo motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 1087/18 della CTR del Veneto va, pertanto, accolto.
Con il secondo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate denuncia «iolazione e falsa applicazione degli artt. 17, c. 1, lett. c) e cbis , d), f), 105, commi 1 e 4, 107, c.4, d.P.R. 22.12.1986, n. 917, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.», nella parte in cui la sentenza impugnata ha accolto l’appello della società, con riferimento al trattamento fiscale degli accantonamenti di fine mandato dei propri amministratori, che la sentenza di primo grado aveva considerato indeducibili ai fini IRES, confermando la legittimità del rilievo operato dall’Ufficio.
4.1. Nel caso di specie, essendo stato accertato in fatto dal giudice di merito che il trattamento di fine mandato per gli amministratori è stato determinato nel 2005 dall’assemblea dei soci come da relativo verbale anche nel quantum , la decisione impugnata ha giudicato in conformità ai principi già espressi da questa Corte secondo cui, per quanto qui rileva, in tema di redditi di impresa, in base al combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. c), e 105 del d.P.R. n. 917 del 1986, possono essere dedotte in ciascun esercizio, secondo
il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori della società, purché la previsione di detto trattamento risulti da atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapport o, che ne specifichi anche l’importo (cfr. Cass. sez. 5, ord. 19 ottobre 2018, n. 26431; in senso conforme, da ultimo, Cass. sez. trib., 7 giugno 2024, n. 15966, intervenuta nelle more della pubblicazione della presente decisione).
Il motivo va, pertanto, rigettato.
5. Con il terzo motivo di ricorso principale, dedotto in via subordinata, l’Amministrazione ricorrente, sempre con riferimento al capo relativo alla deduzione degli accantonamenti per indennità di fine mandato da corrispondere agli amministratori, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, del d.P.R. 22.12.1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che gli accantonamenti in questione non sono sindacabili dall’Ufficio, sebbene fosse stato dedotto dall’Ufficio medesimo, senza contestazione da parte della società, che l’ammontare degli accantonamenti in questione fosse da considerare palesemente esorbitante, in ciò risultando dunque violato il principio di inerenza.
5.1. Il motivo è fondato. Premesso che l’abnormità delle somme accantonate come TFM, diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente, non integra questione nuova (si veda, a mero titolo esemplificativo, l’accertamento riguardante proprio l’anno 2008, pag. 56), in materia questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 21 dicembre 2018, n. 33217; Cass. sez. 5, 30 novembre 2016, n. 24379), ha stabilito che, in tema di determinazione dei redditi d’impresa, rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valuta zione di congruità dei costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche ove non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici
d’impresa, sicché la deducibilità, ai sensi dell’art. 95, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986 dei compensi degli amministratori di società non implica alcun vincolo alla misura indicata nelle deliberazioni sociali o nei contratti, competendo agli uffici finanziari la verifica dell’attendibilità economica dei predetti dati. A detto principio va data ulteriore continuità.
5.2. Ne consegue l’accoglimento del presente motivo di ricorso principale.
Venendo all’esame del ricorso incidentale della società, con il primo motivo, avente natura di impugnazione autonoma, la società censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973 , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la CTR del Veneto, riguardo al capo di sentenza rubricato « capitolo terzo, contratto finanziario di opzione -minusvalenza anno 2007 », sarebbe incorsa nella violazione della citata norma, avendo desunto la fondatezza delle presunzioni dell’Ufficio dalla presunta sproporzione tra il vantaggio d’imposta ottenuto ed il risultato economico conseguito, pari in tesi al 4,7% dell’investimento, e dalle condizioni contrattuali che, nel loro insieme, « da un lato pre-definivano sia la perdita registrata dalla vendita dei titoli per la PIM, sia il modesto guadagno realizzatosi ed infine la entità del capitale esposto nel biennio ».
6.1. Si trattava di contratto di opzione stipulato in data 3 ottobre 2006 tra la PIM e la RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto di una partecipazione nella società RAGIONE_SOCIALE rispetto al quale l’Ufficio aveva rilevato che esso fin dall’inizio fosse sta to preordinato all’acquisto temporaneo di titoli finalizzato , alla distribuzione dei dividendi, ciò evidenziandone la natura elusiva.
6.2. Il motivo è inammissibile, dovendosi rilevare che il giudizio espresso da entrambi i giudici di merito è corroborato dalla mediazione
delle risultanze istruttorie -ivi comprese le clausole contrattuali, neppure censurate dalla ricorrente in via incidentale per violazione di legge in relazione alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale -sicché deve ritenersi, secondo indirizzo consolidato di questa Corte (cfr., ex multis , Cass. SU 27 dicembre 2019, n. 34478; Cass. sez. 1, ord. 4 marzo 2012, n. 5987) che, nella fattispecie, sub specie della deduzione del vizio di violazione di legge, la società, attraverso il motivo in esame, abbia mirato in realtà ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito a fondamento del giudizio espresso, ciò che è precluso in sede di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, formulato in via condizionata per violazione degli artt. 97 Cost., 10 della l. n. 212/2000 e 36 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5 c.p.c. , la società lamenta di avere sin dall’avvio del procedimento eccepito che le valutazioni espresse dall’Amministrazione in relazione agli atti impositivi scaturenti dall’ultima verifica eseguita si erano posti in contrasto con le precedenti valutazioni tra sfuse nell’originario processo verbale del 27 marzo 2009, ledendo quindi il principio di buona fede nei rapporti tra Amministrazione e contribuente e quindi violando l’affidamento ingenerato circa la legittimità a quei comportamenti i cui effetti si producono in più esercizi; ciò con specifico riferimento alla questione dell’accantonamento del TFM degli amministratori e in relazione alla questione della contestazione della indeducibilità della minusvalenza.
7.1. Il motivo è inammissibile. Con riferimento al primo profilo per mancanza d’interesse all’impugnazione, essendo risultata sulla questione dell’accantonamento del trattamento di fine mandato degli amministratori la società totalmente vittoriosa in sede di merito (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3, ord. 6 giugno 2023, n. 15893; Cass. sez. 5, 22 settembre 2017, n. 22095; Cass. sez. 5, 15 gennaio 2016, n. 574),
potendo la relativa questione riguardo al legittimo affidamento essere riproposta in sede di rinvio in relazione all’unico aspetto tuttora sub iudice (contestato difetto d’inerenza per abnormità dei compensi accantonati ) in ragione dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale dell’Amministrazione ; in relazione al secondo profilo, avendo invece lamentato la società essenzialmente il vizio di omessa pronuncia sulla questione, vizio che è in realtà insussistente, dovendosi ritenere la questione implicitamente rigettata, avendo la CTR espressamente confermato la legittimità della ripresa a tassazione in relazione al rilievo concernente la minusvalenza in esame con argomentazione incompatibile con la deduzione difensiva della parte contribuente, né d’altronde essendo stato dedotto il vizio di difetto assoluto di motivazione in relazione al corretto parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
8. In conclusione, riuniti i giudizi, va accolto il primo motivo di ricorso principale dell’Agenzia delle entrate nel giudizio n. R.G. 7066/2023, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale e, decidendosi nel merito sul ricorso della contribuente avverso il diniego di definizione agevolata con riferimento all’atto impositivo n. T650EMO00877/2013 per IRES relativa all’anno 2008, esso va respinto.
Con riferimento al giudizio n. R.G. 4397/2020, va accolto il ricorso principale in relazione al primo e terzo motivo, rigettato il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione, cui resta demandata anche la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità in questa sede riuniti, e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale della società.
In relazione a tale ultima declaratoria d’inammissibilità, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della controricorrente e ricorrente incidentale, con riferimento al giudizio n. R.G. 4397/2020, dell’ulteriore importo a titolo di contrib uto unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i giudizi, accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate nel giudizio n. R.G. 7066/2023 in relazione al primo motivo, assorbiti gli altri ed assorbito il ricorso incidentale ivi proposto dalla società , cassa per l’effetto la sentenza impugnata della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto n. 1106/2022 e, decidendo nel merito sul ricorso della società avverso il diniego di definizione agevolata con riferimento all’atto impositivo n. T650EMO00877/2013 per IRES r elativa all’anno 2008, lo respinge.
Accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate nel giudizio n. R.G. 4397/2020 in relazione al primo e terzo motivo, rigettato il secondo e dichiara inammissibile il ricorso incidentale della società.
Cassa la sentenza impugnata della CTR del Veneto n. 1087/2018 in relazione ai motivi del ricorso principale accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità riuniti.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della controricorrente e ricorrente incidentale, con riferimento al giudizio n. R.G. 4397/2020, dell’ulteriore importo a titolo di contrib uto unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione tributaria