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Interposizione fittizia: la Cassazione chiarisce

Un professionista utilizzava una società per fatturare le proprie prestazioni. L’Amministrazione Finanziaria ha contestato tale schema come un caso di interposizione fittizia. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Fisco, annullando la sentenza di merito che aveva dato ragione al contribuente. Secondo la Corte, i giudici di secondo grado hanno errato nel non valutare adeguatamente le prove presuntive fornite dall’Ufficio per dimostrare che il reale possessore del reddito era il professionista e non la società. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interposizione Fittizia: Quando il Reddito della Società è del Socio

Nel complesso mondo del diritto tributario, il concetto di interposizione fittizia rappresenta un meccanismo di difesa cruciale per l’Amministrazione Finanziaria contro le pratiche elusive. Questa figura giuridica permette di superare lo schermo formale di una società per attribuire il reddito direttamente alla persona fisica che ne è l’effettivo possessore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 1401 del 2024, ha offerto importanti chiarimenti sui criteri probatori che il Fisco può utilizzare per dimostrare tale interposizione, sottolineando la prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un medico specializzato in ortopedia. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, il professionista aveva eluso il Fisco trasferendo gran parte dei suoi compensi professionali, derivanti da interventi chirurgici, a una società a responsabilità limitata di cui lui e la moglie erano gli unici soci. L’Ufficio riteneva che la società fosse un soggetto fittiziamente interposto, un mero schermo per incassare i redditi che, in realtà, appartenevano al medico. I giudici di primo e secondo grado avevano dato ragione al contribuente, ritenendo che il Fisco non avesse fornito prove adeguate per dimostrare l’interposizione. L’Amministrazione Finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Disciplina dell’Interposizione Fittizia e la Prova

L’articolo 37 del D.P.R. 600/1973 stabilisce che, in sede di accertamento, sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore. L’obiettivo della norma è riallineare la titolarità formale del reddito con quella sostanziale. La prova richiesta al Fisco non riguarda la natura fraudolenta dell’accordo, ma l’effettivo possesso del reddito. Se l’interponente (il professionista) dispone delle risorse del soggetto interposto (la società) uti dominus, cioè come se fosse il vero proprietario, allora il reddito deve essere a lui attribuito.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza d’appello. Secondo i giudici di legittimità, la corte territoriale ha commesso diversi errori di valutazione. In primo luogo, ha dato rilievo a circostanze ininfluenti, come il fatto che il medico operasse anche presso altre strutture, senza considerare che l’accertamento si concentrava specificamente sugli interventi eseguiti in una determinata clinica.

In secondo luogo, e più importante, la corte di merito ha omesso di procedere a un adeguato e critico raffronto tra gli elementi presuntivi forniti dal Fisco (contenuti nel processo verbale di constatazione) e le argomentazioni difensive del contribuente, basate su una consulenza tecnica di parte. La Cassazione ha ricordato che il giudice deve valutare tutte le prove, comprese quelle presuntive, per accertare chi sia il reale percettore del reddito.

La Corte ha ribadito che la disciplina sull’interposizione fittizia non richiede necessariamente un comportamento fraudolento, essendo sufficiente un uso improprio o deviante di uno strumento giuridico legittimo, come una società, che consenta di eludere l’applicazione del corretto regime fiscale. La sentenza impugnata non si è attenuta a questi principi, escludendo l’interposizione senza una corretta analisi probatoria.

Le Conclusioni

La Suprema Corte ha concluso che la sentenza d’appello deve essere annullata con rinvio a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso applicando correttamente i principi enunciati, ovvero valutando attentamente le presunzioni addotte dall’Amministrazione Finanziaria per dimostrare che il professionista era l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società. Questa decisione rafforza il principio della prevalenza della sostanza sulla forma e serve da monito: l’utilizzo di schermi societari per ridurre indebitamente il carico fiscale può essere contestato dal Fisco sulla base di prove logiche e presuntive che dimostrino la reale sostanza economica dell’operazione.

Cos’è l’interposizione fittizia in ambito fiscale?
È una situazione in cui un reddito, che formalmente appartiene a un soggetto (come una società), viene fiscalmente attribuito a un’altra persona (ad esempio un professionista) perché si dimostra che quest’ultima ne è l’effettivo possessore e controllore.

Come può l’Amministrazione Finanziaria provare un caso di interposizione fittizia?
Può utilizzare prove indirette, definite presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti. Queste presunzioni servono a dimostrare che la realtà economica è diversa da quella formale e che il vero titolare del reddito è il soggetto interponente.

Per contestare l’interposizione fittizia è necessario dimostrare l’intento fraudolento del contribuente?
No, la sentenza chiarisce che non è necessario provare una volontà fraudolenta. È sufficiente dimostrare un uso improprio o ingiustificato di uno strumento giuridico legittimo (come una società) che permette di eludere il regime fiscale che sarebbe stato altrimenti applicabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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