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Interposizione fittizia e crediti: la Cassazione rinvia

L’Agenzia delle Entrate contesta a una società un credito d’imposta per ricerca, sostenendo un’interposizione fittizia tramite un consorzio. Dopo decisioni contrastanti nei primi gradi, la Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, non decide nel merito ma rinvia la causa a nuovo per l’emergere di complesse questioni sistemiche legate all’assoluzione in un parallelo procedimento penale.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito d’imposta per ricerca e interposizione fittizia: un caso complesso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria in commento, affronta un intricato caso di interposizione fittizia legato a un credito d’imposta per la ricerca scientifica. La vicenda mette in luce le difficoltà probatorie e le complesse interazioni tra procedimento tributario e penale, portando i giudici a un rinvio della causa per approfondire delicate questioni sistemiche. Vediamo nel dettaglio i fatti, il percorso giudiziario e le ragioni di questa decisione non definitiva.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore dei mangimi per animali riceveva dall’Agenzia delle Entrate diversi avvisi di accertamento relativi all’annualità d’imposta 2016. Le contestazioni principali riguardavano:

1. Indebita deduzione di costi: Per circa 80.000 euro, a fronte di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti.
2. Recupero di un credito d’imposta: Per un importo di 432.000 euro, relativo a un progetto di ricerca scientifica commissionato a un consorzio esterno.

Secondo l’amministrazione finanziaria, il consorzio era un mero intermediario fittizio. Pur possedendo i requisiti formali, sarebbe stato privo delle strutture, del personale e delle risorse necessarie per svolgere concretamente l’attività di ricerca. Il suo ruolo, secondo l’accusa, era quello di interporsi tra la società committente e i reali esecutori del progetto (tecnici e professionisti esterni), al solo scopo di permettere alla società di beneficiare di un credito d’imposta altrimenti non spettante. La differenza tra il costo fatturato dal consorzio alla società (480.000 euro) e quello fatturato dai fornitori al consorzio (circa 400.000 euro) costituiva, secondo il Fisco, il costo indeducibile.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Cassazione

Il caso ha visto esiti opposti nei primi due gradi di giudizio. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso della società, annullando gli atti relativi alla presunta interposizione fittizia e al recupero del credito d’imposta. Al contrario, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, ribaltava la decisione, dando ragione all’Agenzia delle Entrate. La CTR riteneva provato l’intento fraudolento, sottolineando come il consorzio fosse di fatto una “scatola vuota” utilizzata per “vendere” crediti d’imposta.

I contribuenti (la società e i suoi soci) hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’omesso esame di fatti decisivi, come la reale attività di ricerca svolta da membri del comitato scientifico del consorzio e l’archiviazione di un procedimento penale avviato per i medesimi fatti. Proprio quest’ultimo aspetto ha introdotto l’elemento di complessità che ha portato al rinvio. Durante il giudizio di Cassazione, i contribuenti hanno chiesto l’applicazione dell’art. 21-bis del D.Lgs. 74/2000, a seguito di una sentenza penale di assoluzione divenuta irrevocabile.

La Corte di Cassazione ha emesso un’ordinanza interlocutoria, con la quale ha deciso di non decidere. Ha ritenuto che la domanda dei contribuenti sollevasse “delicate questioni sistematiche”, in particolare riguardo all’applicazione retroattiva della norma e alla sua compatibilità con il rito camerale, decidendo quindi di rinviare la causa a una nuova trattazione per un esame più approfondito.

Le ragioni dell’interposizione fittizia e la complessità del caso

La motivazione della CTR, che la Cassazione dovrà vagliare nella futura udienza, si fondava su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti. Tra questi, la crescita esponenziale del fatturato del consorzio in concomitanza con l’introduzione della normativa sul credito d’imposta e il fatto che il progetto fosse stato materialmente realizzato da soggetti esterni, alcuni dei quali legati da rapporti commerciali o di parentela con la società committente. Per i giudici d’appello, questi elementi dimostravano che la società era consapevole del ruolo di mero intermediario del consorzio, un ruolo creato ad arte per accedere all’agevolazione fiscale.

I contribuenti, dal canto loro, hanno sempre sostenuto la realtà delle prestazioni e la legittimità della struttura consortile, strumento di collaborazione tra imprese previsto dal codice civile. La questione centrale, ora al vaglio della Suprema Corte, è se gli indizi raccolti dal Fisco siano sufficienti a provare l’interposizione fittizia a fronte di elementi contrari, come la prova di una (seppur parziale) attività di ricerca interna al consorzio e, soprattutto, l’esito del giudizio penale.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza interlocutoria della Cassazione lascia la questione aperta, ma offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, conferma la severità con cui il Fisco e la giurisprudenza tributaria valutano le operazioni che presentano i contorni di un’interposizione fittizia, specialmente quando sono in gioco ingenti agevolazioni fiscali. L’onere della prova per il contribuente di dimostrare la sostanza economica dell’operazione diventa cruciale. In secondo luogo, il rinvio evidenzia la crescente complessità del rapporto tra giudizio tributario e penale. La richiesta di applicare l’art. 21-bis, che lega l’esito del processo tributario a quello penale, solleva questioni che la giurisprudenza non ha ancora risolto in modo univoco. La decisione finale della Corte avrà quindi un impatto significativo non solo per i protagonisti di questa vicenda, ma per tutti i casi in cui accertamenti fiscali e procedimenti penali si intrecciano.

Che cos’è l’interposizione fittizia in ambito fiscale secondo questo caso?
È una situazione in cui un’entità, in questo caso un consorzio, viene interposta tra un’azienda e i reali fornitori di un servizio (la ricerca) non per reali esigenze operative, ma con lo scopo principale di far ottenere all’azienda un vantaggio fiscale, come un credito d’imposta, che altrimenti non le spetterebbe.

Perché la Corte di Cassazione non ha emesso una decisione definitiva?
La Corte ha emesso un’ordinanza interlocutoria rinviando la causa perché i contribuenti hanno sollevato una nuova e complessa questione legale: l’applicazione di una norma (art. 21-bis D.Lgs. 74/2000) a seguito di una sentenza di assoluzione definitiva in un processo penale per gli stessi fatti. Questa domanda ha introdotto “delicate questioni sistematiche” che richiedono una trattazione più approfondita.

Un’archiviazione o un’assoluzione in sede penale annulla automaticamente un accertamento fiscale per gli stessi fatti?
Basandosi sul provvedimento, non necessariamente in modo automatico. Mentre l’esito del procedimento penale è un elemento probatorio importante (e i ricorrenti lo hanno invocato), la Corte di Cassazione ha evidenziato che la sua influenza sul processo tributario, specialmente alla luce delle nuove norme, è una questione complessa e non di immediata soluzione, tanto da richiedere un rinvio per un esame specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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