Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20846 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20846 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14804/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, RAGIONE_SOCIALE -intimati- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 21/2023 depositata il 09/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 21 giugno 2010, il nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bolzano notificava alla RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione) formale PVC redatto
per le annualità dal 2006 al 2010, con cui contestava una serie di operazioni tra loro legate e relativa alla costituzione di un fondo immobiliare “chiuso ” nominato RAGIONE_SOCIALE. Fondo che invero risultava riservato ad investitori qualificati, quali la società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE, nonché la società RAGIONE_SOCIALE
All’esito delle verifiche, tali società venivano classificate come società conduit ubicate nella zona franca di Madeira e utilizzate da schermo in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, soci della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, a loro volta, socie della verificata. Il Whitestone Property Fund risultava formalmente gestito dalla società RAGIONE_SOCIALE di Milano e pertanto, insieme alla società di gestione dello stesso, fittiziamente interposto alla RAGIONE_SOCIALE
Oltre a ciò veniva contestato il conferimento di immobili nel predetto fondo da parte della RAGIONE_SOCIALE, l’emissione di corrispondenti quote di partecipazione al fondo; nonché la cessione, previa rivalutazione, degli immobili conferiti, ovvero acquisiti dal fondo, a diverse società residenti (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE con socio unico e, in particolare, la RAGIONE_SOCIALE) e persone fisiche, ovvero la locazione degli stessi.
A fronte di quanto evidenziato, la società RAGIONE_SOCIALE risultava avere evaso le maggiori imposte Ires, Irap ed IVA sulle cessioni e locazioni di immobili conferiti, ovvero acquisiti dal fondo, nonché sulle speculari plusvalenze realizzate sul valore di carico dei medesimi.
Invero, la formale imputazione delle anzidette cessioni e locazioni al RAGIONE_SOCIALE e, con esso, alla RAGIONE_SOCIALE Milano aveva generato proventi, a cagione del particolare regime fiscale dei fondi immobiliari, non assoggettati a tassazione ai fini Ires, Irap ed IVA, bensì assoggettabili solamente ad una ritenuta alla fonte del 20%, ex art. 82 D.L. 112/2008, conv. in l. 133/2008, ovvero ad imposta sostitutiva (per le plusvalenze realizzate) all’Irpef in capo agli investitori qualificati all’atto della loro distribuzione.
In particolare, grazie all’interposizione del fondo e, a fortiori, della società di gestione, la RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione risultava avere omesso la contabilizzazione, dichiarazione ed assoggettamento a tassazione di ricavi, per il periodo d’imposta 2008, derivanti dalla locazione degli immobili presenti nel fondo, pari ad euro 3.395.963,00, per i quali, altresì, è risultato omesso il versamento dell’IVA relativa, pari ad euro 682.793,00, nonché l’Irap pari ad euro 133.144,00; per il periodo d’imposta 2009, ricavi derivanti dalla vendita degli immobili analiticamente indicati nel PVC, oltre a ricavi derivanti dalla locazione, pari ad euro 3.348.520,00 per i quali, altresì, è risultato omesso il versamento dell’IVA relativa pari ad euro 1.931.692,00, nonché l’ Irap pari ad euro 377.922,00.
Dunque, sulla base delle risultanze trasmesse dalla Guardia di Finanza nucleo di P.T. di Bolzano, l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale I di Milano notificava distinti avvisi di accertamento alla RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione, alla RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione (in qualità di socia con una quota di partecipazione pari agli utili del 50%, nonché in proprio, ai fini della rettifica della posizione fiscale relativa alle medesime annualità), nonché alla RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima in qualità di socia della RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, con una quota di partecipazione agli utili pari al 50%.
Il presente giudizio è limitato agli avvisi di accertamento nn. T9B03BU00822/2013 e T9B03BU04369/2013 emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione, in regime di trasparenza ex art. 115 TUIR, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito di impresa per gli anni 2008 e 2009.
Gli avvisi emessi venivano impugnati con distinti ricorsi dinanzi alla CTP di Milano da COGNOME NOME, in proprio in qualità di liquidatore e legale rappresentante pro tempore delle società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
La CTP adita, con sentenza n. 3334/29/2016, depositata in data 13 aprile 2016, riuniti i ricorsi e rigettate tutte le eccezioni preliminari sollevate, nonché respinte le doglianze ivi contenute sul merito confermava i recuperi a tassazione ai fini Ires e Irap, unitamente alle correlate sanzioni, annullando, invece, il recupero a tassazione dell’IVA di cui agli avvisi di accertamento nn. T9B03BU00822/2013 per il 2008 e T9B03BU04369/2013 per il 2009, emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione (e le correlate sanzioni).
Avverso tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla CTR della Lombardia. Si costituivano in giudizio le menzionate società con appello incidentale.
La CTR della Lombardia con sentenza n. 5385/18/2017, pronunciata il 5 luglio 2017 e depositata il 18 dicembre 2017, accoglieva l’appello delle società e respingeva quello dell’Ufficio, annullando la pretesa impositiva.
Avverso tale decisione l’Ufficio proponeva ricorso per cassazione.
La S.C. con ordinanza n. 15721/2020, pronunciata il 12 febbraio 2020 e depositata il 23 luglio 2020, accoglieva il ricorso e conseguentemente cassava la sentenza impugnata rinviando alla CTR della Lombardia.
La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia, in veste di giudice del rinvio, con la sentenza n. 21/06/2023, pronunciata il 16 febbraio 2022 e depositata il 9 gennaio 2023, rigettava gli appelli principali e incidentali e confermava la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. Il pubblico ministero ha depositato requisitoria scritta con le proprie osservazioni chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’ unico motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 3, del DPR n. 600 del 1973, dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 115 c.p.c., nonché degli articoli 19, 21, 23, 26 e 36 del DPR n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la CGT affermato che la prova contraria, circa il fatto che l’Iva sia stata scontata dalla RAGIONE_SOCIALE per conto del Fondo interposto, gravasse sull’amministrazione finanziaria e, in base a ciò, per aver annullato gli accertamenti limitatamente al recupero dell’IVA. Conseguentemente violando l’art. 37, comma 3, del DPR n. 600 del 1973, nella sua accezione generale, l’art. 2697 cod. civ., in tema di onere della prova, l’art. 115 c,p,c, per non avere posto a fondamento della decisione i fatti e gli atti sottoposti alla sua cognizione, nonché gli articoli 19, 21, 23, 26 e 36 del DPR n. 633 del 1972, per il corretto assolvimento dell’IVA.
Il motivo è fondato e va accolto.
La sentenza della CTR si pone in urto con il quadro sedimentato dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha osservato che la ripresa si è incentrata sull’imputazione alla società intimata di redditi correlati alla locazione e vendita di alcuni immobili conferiti
nel Fondo immobiliare chiuso RAGIONE_SOCIALE. Il profilo messo in risalto ha riguardato l’interposizione fittizia della società intimata, che avrebbe realizzato, mediante il Fondo interposto, le operazioni, agevolandosi dei benefici fiscali connessi alla loro formale intestazione al Fondo stesso. In quanto il Fondo era un mero interposto il percepimento dei compensi era riconducibile alla società interponente.
Questa Corte ha fissato alcuni principi dai quali la sentenza d’appello si è disallineata.
Innanzitutto, va rammentato che l’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 non presuppone l’inesistenza del soggetto interposto, né richiede di sceverare le ipotesi in cui l’interposizione sia fittizia, rispetto a quelle in cui sia reale (Cass. n. 5276 del 2022; Cass. n. 27625 del 2018; Cass. n. 15830 del 2016).
Va, inoltre, evidenziato che la norma non limita i suoi effetti alle II.DD. (Cass. n. 23231 del 2022), dovendosi la qualità di soggetto interposto riconosciuta in capo al Fondo e il suo totale asservimento all’interponente far rilevare anche ai fini IVA.
Ancora, quanto alla prova dell’effettivo versamento dell’IVA da parte di VALORE REALE, per conto del Fondo (il che rende la stessa VALORE interposta), mette punto rammentare che la prova del mancato pagamento dell’I.V.A. viene fatta ricadere sull’Amministrazione finanziaria solo allorquando si tratti di accertare la sussistenza di una ‘frode carosello’, nella quale il mancato pagamento del tributo da parte della società cartiera è elemento essenziale della frode stessa (Cass. n. 17818 del 2016; Cass. n. 10414 del 2011).
Nel caso di specie, l’attribuzione alla intimata RAGIONE_SOCIALE delle operazioni svolte dal Fondo -e, per esso, da VALORE REALE -e dei relativi carichi fiscali, impone in linea di principio all’interponente l’onere di dimostrare il regolare adempimento degli
obblighi di versamento IVA, da parte dell’interposto o del suo gestore VALORE REALE.
Va richiamato il condiviso orientamento di questa Corte, a tenore del quale ‘ In tema di accertamento su IVA e imposte dirette, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nei confronti del soggetto che abbia gestito “uti dominus” una società di capitali si determina la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, quale effettivo possessore del reddito della società interposta, e si instaura, inoltre, un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore “uti dominus” e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a Iva, vi è soggetto pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta, incombendo sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, ed al contribuente quello di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione, ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto ‘ (Cass. n. 23231 del 2022). Questa Corte ha, d’altronde, anche soggiunto che ‘ In tema di sanzioni tributarie, nell’interposizione del gestore “uti dominus” alla società di capitali interposta, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale di quest’ultima, ma quello che fa capo direttamente all’interponente, in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività ‘ (Cass. n. 22231 del 2022 cit.). Parimenti è stato affermato da questa Corte che ‘ In tema di accertamento dei redditi, l’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, non distingue tra interposizione fittizia e interposizione reale, nella
quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all’atto, ma richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti e che possono consistere, in caso di reddito di impresa, anche nella gestione “uti dominus” dell’impresa e delle sue risorse finanziarie, che il contribuente sia l’effettivo possessore del reddito del soggetto interposto; spetta, poi, al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione, o della mancata percezione, in tutto o in parte, dei redditi del soggetto interposto ‘ (Cass. n. 5276 del 2022).
In buona sostanza, l’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, è il meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi, disponendo che « In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona ».
La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito «per interposta persona». Giova sottolineare che, come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018), L’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, peraltro, non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo come precisa la norma -che « egli ne è l’effettivo
possessore per interposta persona »: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito. In altri termini, il possesso del reddito « per interposta persona » costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità.
La posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo, ma di soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto; si è osservato, del resto, che nell’ipotesi in questione, « si configura, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della holding unipersonale, ossia di chi eserciti professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società » (Cass. n. 1439 del 1990; Cass. n. 12113 del 2002; Cass. n. 10495 del 2020).
Ne deriva che, in tale ipotesi, la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto e b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società. Non ha rilievo, invece, la dimostrazione che l’interposizione sia reale o fittizia: l’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973,
infatti, si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico (cfr. ex multis Cass. n. 11055 del 2021; Cass. n. 17128 del 2018; Cass. n. 5408 del 2017).
A fronte di tale prova, che può essere fornita anche solo in via presuntiva, incomberà poi al contribuente fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (Cass. n. 29228 del 2021; Cass. n. 5276 del 2022 cit.).
Va sottolineato, infine, che, in caso di interposizione mediante una società, la traslazione riguarda esattamente il reddito d’impresa nel suo complesso prodotto dal contribuente interposto avuto riguardo alla pluralità di elementi che lo compongono (salva la prova, a carico dell’Ufficio, di un maggior reddito conseguito dall’interponente), che, dunque, è attribuito all’interposto quale effettivo possessore del reddito ed effettivo debitore dei tributi formalmente imputati alla società. La compiuta traslazione del reddito, del resto, è coerente con il diritto al rimborso dell’interposto, ai sensi dell’art. 37, quinto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, per quelle imposte che abbia pagato per redditi imputati all’interponente, condizione che legittima il riconoscimento, ove ne sussistano i presupposti formali e sostanziali, anche del diritto alla detrazione ex art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 27964 del 2009).
La traslazione del reddito d’impresa dall’interposto (società) all’interponente ai sensi dell’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 è idonea ad assicurare la ripresa a tassazione nei confronti di quest’ultimo per le imposte dovute.
Quanto all’Iva, più in particolare, va sottolineata la piena convergenza su questo esito dei principi unionali. Nell’esecuzione delle prestazioni di servizi tra il soggetto gestore uti dominus e la società (la cui esistenza, come detto, non è scalfita
dall’assoggettamento di fatto), infatti, si instaura, quando il primo agisca in nome proprio ma per conto della seconda, un rapporto riconducibile al mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore e il mandante è la società. Ciò si verifica, in particolare, quando l’imprenditore, che gestisca delle società cartiere, disponga in autonomia in merito alle attività e alle transazioni e decida, per conto della società, sulla realizzazione delle operazioni commerciali, individuando, ad esempio, i venditori (esteri) e i successivi acquirenti (nazionali). Orbene, l’art. 6, par. 4, della Sesta direttiva, corrispondente all’art. 3, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, stabilisce che, qualora un soggetto passivo partecipi, in nome proprio ma per conto terzi, ad una prestazione di servizi, si deve ritenere che egli stesso abbia ricevuto o fornito i detti servizi a titolo personale. Si realizza, in altri termini, la finzione giuridica di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente sull’assunto che l’operatore che partecipa alla prestazione di servizi -il commissionario -abbia in un primo tempo ricevuto i servizi in questione da prestatori specializzati prima di fornire, in un secondo tempo, gli stessi servizi all’operatore per conto del quale agisce (v., tra le varie, Corte di giustizia, 4 maggio 2017, in C-274/15, Commissione c/ Lussemburgo, punto 86; nella giurisprudenza interna, v., ex multis, Cass. n. 30360 del 23/11/2018; Cass. 20591 del 29/09/2020): il mandatario, quindi, assume e acquista in nome proprio, rispettivamente, gli obblighi e i diritti derivanti dal compimento dell’affare trattato per conto del mandante. Ne deriva che se la prestazione di servizi a cui l’operatore partecipa è soggetta all’Iva, pure il rapporto giuridico tra costui e la parte per conto della quale agisce è soggetto all’Iva (v. Corte di giustizia, in C-274/15 cit., punto 87).
La delineata cornice normativa entro cui si colloca la questione in esame ha immediate conseguenze anche sul piano sanzionatorio. L’irrogazione delle sanzioni, difatti, trova il suo diretto riferimento
nella condotta dell’interponente, il quale è sanzionato in proprio, in relazione all’avvenuta traslazione del reddito e dei relativi tributi dell’ente collettivo, con conseguente imputazione anche delle condotte evasive. La fattispecie è esterna al perimetro dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003: il rapporto fiscale che viene in considerazione non è quello, previsto dalla citata norma, «proprio di società o enti con personalità giuridica» ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’effettivo possessore ex art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1970, quello specifico e proprio dell’interponente.
Il motivo va, in ultima analisi, accolto e la sentenza d’appello cassata; ne consegue il rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza d’appello. Rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio. Così deciso in Roma, il 10/04/2025.