Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33243 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33243 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10186/2018 R.G. proposto da : NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA-FIRENZE n. 1921/2017 depositata il 18/09/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe si evince quanto segue:
A seguito di un controllo effettuato in tema di imposta di registro era sottoposta a verifica l’operazione commerciale di compravendita effettuata dalla società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE NOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ (in seguito divenuta RAGIONE_SOCIALE), che cedeva in data 19 dicembre 2007 la propria azienda, avente ad oggetto l’attività di bar, alimentari, gastronomia alla società ‘RAGIONE_SOCIALE, per il prezzo dichiarato di euro 60.000, di cui euro 30.000 per attrezzature ed euro 30.000 per avviamento commerciale.
L’Amministrazione Finanziaria rettificava il valore dichiarato, e l’avviamento veniva rideterminato in euro 230.000.
L’accertamento ai fini dell’imposta di registro per complessivi euro 260.000 (euro 230.000 per valore di avviamento ed euro 30.000 per valore di attrezzature) diveniva definitivo per mancata impugnazione.
Incongruenze emerse nel corso del controllo inducevano l’Amministrazione ad avviare ulteriori controlli nei confronti della società contribuente che esitavano di accertamento relativ alle imposte IRPEF, IVA ed IRAP per l’annualità 2007.
In primo luogo emergeva che la società ‘RAGIONE_SOCIALE, acquirente dell’azienda ceduta, era posseduta per il 95% dal signor NOME COGNOME soggetto che faceva parte anche della compagine sociale della società cedente.
Vieppiù lo stesso giorno la società ‘RAGIONE_SOCIALE affittava l’azienda acquistata alla società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ in cui i fratelli COGNOME detenevano ciascuno una quota del 20%, mentre la restante quota del 40% era detenuta dal signor NOME COGNOME.
Altra anomalia verificata era che, a pochi giorni di distanza dalla vendita dell’azienda, in specie il 27 dicembre 2007, i soci della società RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ (ora RAGIONE_SOCIALE) cedevano le loro quote di partecipazione al signor COGNOME NOME che, contestualmente, modificava la denominazione della società da ‘RAGIONE_SOCIALE
NOME, NOME e NOME COGNOME snc’ a RAGIONE_SOCIALE‘ con trasferimento della sede legale .
L’acquirente di tali quote risultava il signor NOME COGNOME che cessava l’attività immediatamente dopo nel luglio 2008, senza però presentare nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2007 né la comunicazione annuale dei dati IVA, né il mod. 770.
La società RAGIONE_SOCIALE risultava cancellata dalla Camera di Commercio dal 15 luglio 2008.
L’Amministrazione Finanziaria contestava che la cessione delle quote al signor NOME COGNOME fosse avvenuta al solo fine di consentire ai fratelli NOME, NOME ed NOME COGNOME di evadere l’imposta e l’IVA derivanti sia dall’attività di impresa fino al 19 dicembre 2007, che dal conseguimento della plusvalenza accertata definitivamente.
Il reddito di impresa veniva rideterminato ex art. 39, comma 2, DPR n. 600/1973 .
La sentenza in epigrafe evidenzia che proponevano ricorso COGNOME NOME in proprio e quale ex amministratore della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME , deducendo ‘l’estraneità al disegno elusivo’.
La CTP di Firenze, con sentenza n. 438/05/2015 del 21 aprile 2015, rigettava il ricorso.
La sentenza in epigrafe evidenzia che, avverso la sentenza della CTP, proponevano appello i predetti fratelli COGNOME ed altresì COGNOME NOME quale ex socio della cessata NOME COGNOME ‘eccependo: a) la violazione dell’art. 42 DPR 600/1973 per difetto della sottoscrizione dell’avviso di accertamento; b) la nullità dell’avviso di accertamento perché notificato società estinta; c) la violazione dell’art. 86 del DPR 917/1986 in tema di plusvalenze; d) il difetto di motivazione in merito all’interposizione fittizia’.
La CTR della Toscana, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello, sulla base della seguente motivazione:
In riferimento alla asserita violazione dell’art. 42 DPR 600/1973 per difetto della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, la normativa prevede che l’atto sia sottoscritto dal direttore dell’Ufficio o da un funzionario dello stesso delegato, non richiedendo in maniera espressa la qualifica dirigenziale del delegato . L’atto di accertamento era
legittimo perché l’allora direttore provinciale era dirigente di ruolo (di seconda fascia) ed aveva delegato un funzionario di terza area.
Con riferimento al vizio dell’avviso di accertamento perché notificato società estinta, osservava la parte appellata che l’avviso di accertamento era stato notificato al signor NOME COGNOME quale unico socio della RAGIONE_SOCIALE cessata, nonché ai soci NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME ritenuto che gli stessi erano titolari della qualità di soci per tutto l’anno di imposta 2007 sicché la notifica appariva rituale.
In ordine alla presunta violazione dell’art. 86 DPR n. 917/1986, la plusvalenza e stata accertata con atto di rettifica del valore di avviamento e tale rettifica era divenuta definitiva, con conseguente legittimità del recupero a tassazione della plusvalenza.
Entrando nel merito, correttamente l’Amministrazione Finanziaria osservava che la vicenda aveva avuto un unico fine: evitare la tassazione dei redditi da plusvalenza e da accertamento induttivo, per recuperare l’azienda successivamente alla cessione ed il successivo affitto d’azienda, oltre alla cessione delle quote al signor NOME COGNOMEche cessava l’attività nel luglio 2008 senza presentare la dichiarazione dei redditi).
Segue sintetica ricostruzione delle operazioni effettuate dai fratelli COGNOME.
La finalità di evitare il pagamento della tassazione della plusvalenza, tramite l’interposizione fittizia del signor COGNOME e della ‘COGNOME NOME snc’ è evidente, e legittimamente l’Amministrazione Finanziaria ha correttamente determinato il maggior reddito di impresa utilizzando i dati in possesso, ovvero i ricavi dichiarati dalla controparte nei tre anni precedenti l’anno in contestazione, valore della plusvalenza determinato dal valore di cessione dell’azienda avvenuta il 19 dicembre 2007 in euro 260.000 .
Le parti appellanti pur contestando il valore di euro 260.000 non hanno assolto all’onere probatorio del contribuente di superare, anche con ricorso ad elementi indiziari, la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando in siffatto modo di aver venduto ad un prezzo inferiore .
Propongono ricorso per cassazione tutti i contribuenti già appellanti con quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Considerato che:
Preliminarmente deve rilevarsi che, alla luce dello stesso tenore letterale della sentenza impugnata, gli avvisi di accertamento per cui è causa non sono stati originariamente impugnati anche da COGNOME Pietro. Ne consegue che l’appello da questi proposto avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Il non averlo fatto vizia di nullità la sentenza impugnata, che conseguentemente deve essere cassata senza rinvio in riferimento alla posizione di COGNOME NOMECOGNOME il quale non avrebbe potuto coltivare il giudizio d’appello ed ‘a fortiori’ quello di legittimità (art. 382, comma 3, secondo periodo, cod. proc. civ.)
1.1. Stante il rilievo d’ufficio, le spese di merito vanno compensate, mentre, quanto al presente grado di legittimità, trova applicazione il principio della soccombenza. Il contribuente è tenuto ‘ex lege’ al pagamento del cd. doppio contributo unificato.
Può procedersi ora alla disamina dei motivi di ricorso.
Primo motivo: ‘Violazione e/o delle norme di diritto ex art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c., ed in particolare dell’art. 42, commi 1 e 3 DPR 600/1973 e del DPR 633/1972, art. 56 e dell’art. 2697 c.c. ed in particolare: sul difetto di motivazione della Commissione Tributaria Regionale’.
3.1. ‘Nel caso di specie, l’avviso di accertamento manca del tutto della sottoscrizione del funzionario delegato. Nonostante le contestazioni formalizzate nel giudizio di primo grado, in particolare con memoria aggiuntiva depositata il 24 marzo 2015 , l’Ufficio non ha dato alcuna dimostrazione dei poteri concretamente delegati al ‘Capo ufficio controlli’ firmatario dell’atto impositivo. L’Ufficio aveva l’onere di provare la legittimazione di chi ha sottoscritto l’atto, che doveva essere necessariamente il capo dell’ufficio emittente o un impiegato della carriera direttiva validamente delegato ‘.
3.2. Il motivo è inammissibile.
In violazione del principio di autosufficienza, soprattutto a fronte di specifica eccezione in controricorso, non offre dimostrazione dell’essere stata la questione relativa al difetto di valida sottoscrizione degli avvisi sollevata con il ricorso introduttivo. Lo stesso ricorso (p. 3) non menziona la questione tra quelle devolute al primo giudice laddove riassume pur per brevi cenni il ricorso introduttivo. La circostanza che la questione sia stata dedotta con memoria non immuta, m anzi conferma, la conclusione, posto che la memoria non può introdurre nuovi motivi di impugnazione, ampliando il ‘thema decidendum’.
Secondo motivo: ‘Violazione e/o delle norme di diritto ex art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c., ed in particolare dell’art. 2495 comma 2 cc, dell’art. 11 prel. e dell’art. 3 Statuto Diritti del Contribuente in relazione all’art. 28 d.lgs. 175/2014 -Nullità dell’avviso di accertamento notificato ad una società estinta, ed in particolare: sulla inesistenza della notificazione’.
4.1. ‘L’estinzione’ anche di una società di persone ‘fa venir meno la legittimazione passiva e la capacità processuale’. Nella specie, ‘la notificazione dell’avviso deve ritenersi inesistente e nulla, con conseguente nullità dello stesso’, siccome effettuata in violazione dell’art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175 del 2014. ‘La notifica ai soci di un avviso di accertamento società estinta e già cancellata dal registro delle imprese non è sufficiente ad instaurare un procedimento nei confronti degli stessi . La società RAGIONE_SOCIALE è stata cancellata dal registro delle imprese il 15 luglio 2008. L’avviso di accertamento è stato notificato il 6 marzo 2012, a Ferrini Pietro’.
4.2. Il motivo è infondato.
In riferimento al profilo in sé della notifica a società estinta, su cui è vertito il motivo, recentemente questa Suprema Corte ha avuto modo di ribadire che ‘l’atto impositivo intestato a società di persone o di capitali estinta è valido ed efficace, anche se notificato
agli ex soci collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio della società (analogamente a quanto previsto dall’art. 65, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 in caso di morte del debitore) o singolarmente a taluno di essi, non essendo necessaria l’emissione di specifici atti intestati e diretti ai medesimi, giacché l’estinzione determina un peculiare fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i soci subentrano nelle medesime obbligazioni inadempiute della società, rispondendone illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, a seconda che, ‘pendente societate’, fossero illimitatamente o limitatamente responsabili per i debiti sociali’ (Sez. 5, n. 753 del 09/01/2024, Rv. 669949 -02, cui si rinvia per ampi riferimenti giurisprudenziali).
In aggiunta a quanto precede, viene poi nella specie in linea di conto che, come pertinentemente rammentato dall’Agenzia in controricorso (p. 7), ‘l’avviso di accertamento era stato notificato al sig. COGNOME NOME quale unico socio della RAGIONE_SOCIALE cessata, nonché a tutti gli altri soci’: talché, ‘in limine’, la pur di per sé rituale notifica alla società estinta è comunque superata dalla notifica a coloro che ne erano soci e che, trattandosi di società di persone, rispondono direttamente dei debiti sociali, non essendo stato addotto patto contrario (art. 2267, comma 1, cod. civ.: ‘I creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci’).
5. Terzo motivo: ‘Ommesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c.,, e deart. 86, comma 2, DPR n. 917 del 1986, e dell’art. 5 DPR n. 917 del 1985 , dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. ed in particolare: sulla
mancata valutazione delle giustificazioni dedotte dai contribuenti e de documenti prodotti a prova da parte della CTR’.
5.1. Il motivo è diviso in due parti.
5.1.1. Prima parte: ‘Sulla motivazione della Commissione Tributaria Regionale’.
In punto di accertamento della plusvalenza in funzione dell’atto di rettifica del valore di avviamento non impugnato, ‘la motivazione della CTR è totalmente inesistente dato che non dà assolutamente conto delle ragioni della decisione adottata’. ‘Dal testo della sentenza emerge chiaramente come il giudice abbia apoditticamente accolto la tesi dell’Ufficio senza motivare in alcun modo riguardo agli elementi presuntivi forniti dall’Agenzia delle entrate’.
5.1.2. Seconda parte: Sull’omesso esame ex art. 360 comma 1 n 5 cpc’.
Il valore accertato ai fini dell’imposta di registro è meramente indiziario. ‘Occorre , secondo i Giudici del Palazzaccio, qualche ulteriore elemento probatorio che conforti le predette valutazioni dell’UTE o dell’osservatorio immobiliare, come, ad esempio, l’assoluta sproporzione tra corrispettivi dichiarati e valore degli immobili’. ‘Nel caso di specie l’Ufficio, così come il Giudice, ha fatto illegittimamente ricorso a tale rinvio automatico nel determinare una plusvalenza, senza indicare altri elementi, gravi precisi e concordanti che fornissero adeguata dimostrazione di un prezzo diverso effettivamente pagato’. ‘In particolare, non si sono tenuti in considerazione i seguenti elementi addotti dai ricorrenti: -che la cessione forse tra congiunti: -che l’azienda forse colpita da una pesante situazione debitoria ed avesse necessità di essere sanata -i ricorrenti, al contrario avevano offerto valida prova di un universo prezzo in realtà pagato mediante la produzione delle cambiali che rappresentavano il mezzo con il quale era stato effettuato il pagamento ‘.
5.2. Il motivo è inammissibile.
5.2.1. È cumulativo, senza che lo sviluppo illustrativo consenta un’autonoma ricostruzione delle singole censure in funzione dei paradigmi rubricati.
Inoltre, viola la preclusione derivante dalla cd. doppia conforme di merito ex art. 348 -ter cod. proc. civ. nel testo ‘ratione temporis’ vigente.
5.2.2. Pur a prescindere da ciò, donde altresì e comunque l’infondatezza del motivo, v’è da rilevare:
-quanto alla prima parte, che è sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Quel che il motivo mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma piuttosto le argomentazioni che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01);
-quanto alla seconda parte, che la CTR -sebbene erroneamente abbia affermato, in via di principio, la sufficienza della mancata impugnazione della rettifica del valore di avviamento ai fini della determinazione altresì della plusvalenza, giacché (dovendosi così correggere ‘in parte qua’ la motivazione della sentenza impugnata) vige invece il principio per cui la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende non può fondare solo sul valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo confluire in una valutazione del complessivo quadro indiziario, alla luce della situazione contabile ed economica dell’impresa, gravando sul contribuente la prova contraria (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 12131 del 08/05/2019, Rv. 653854 -01; Sez. 5, n. 12131 del 08/05/2019, Rv. 653854 -01) – tuttavia, in concreto, non ha fatto applicazione della suddetta erronea affermazione, bensì, in aderenza al principio testé evocato, ha attinto un articolato apprezzamento di merito nel quadro di un’operazione che ‘aveva avuto un unico fine: evitare la tassazione dei redditi da plusvalenza e da accertamento induttivo, per recuperare l’azienda successivamente alla cessione ed il successivo affitto d’azienda’ (quadro in cui peraltro si inscrive il dato obiettivo della notevole sproporzione del valore d’avviamento dichiarato rispetto a quello accertato in sede di rettifica), decisivamente rilevando che ‘le parti appellanti’, al netto della contestazione del valore complessivo di euro 260.000, non hanno tuttavia ‘supera’, com’era loro onere, ‘la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando in siffatto modo di aver venduto ad un prezzo inferiore’. Né, a fronte di ciò la seconda parte in disamina, che per
l’effetto incorre nuovamente n inammissibilità, rappresenta alcun fatto storico decisivo di cui la CTR non avrebbe tenuto conto, dolendosi in realtà della mancata condivisione di pure e semplici prospettazioni difensive, oltretutto non circostanziate, né ragguagliate a fonti documentali a loro volta localizzate nei fascicoli di merito, né predicate di decisività. Trova dunque applicazione l’insegnamento secondo cui ‘l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l”omesso esame’ come riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Sez. 6 -1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022, Rv. 663758 -01).
6. Quarto motivo: ‘Ommesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., ed in particolare: sulla mancata valutazione delle giustificazioni dedotte dai contribuenti e dei documenti prodotti a prova da parte della CTR; violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., ed in particolare degli artt. 37 c. 3 e 39 del DPR 29 settembre 19873, n. 600, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.’.
6.1. ‘L’accertamento induttivo di una interposizione fittizia di persona deve avere i requisiti propri delle presunzioni gravi, precise e concordanti, che in questo caso mancano’. ‘I ricorrenti hanno offerto prova piena della genesi e della natura del rapporto commerciale intercorso effettivamente producendo documentazione a riguardo. Occorre, per aversi interposizione fittizia, che il soggetto ‘cessionario’ sia coinvolto direttamente nella realizzazione della fattispecie illecita e che, soprattutto,
l’operazione non sia posta in essere in funzione dell’attività di impresa ma esclusivamente o in via prevalente al fine di perpetrare una frode oppure un’evasione fiscale ‘. ‘In conclusione, la prova della difformità tra realtà e rappresentazione contabile o documentazione grava sull’Amministrazione, mentre il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria. Il Giudice tributario avrebbe dovuto valutare gli elementi conoscitivi forniti dall’Amministrazione . Manca definitiva la prova che il reddito sia stato effettivamente percepito dal soggetto diverso da chi e risulta titolare’.
6.2. Il motivo è inammissibile.
Viola la preclusione derivante dalla cd. doppia conforme di merito.
Non rappresenta alcun fatto storico di cui la CTR non avrebbe tenuto conto, dolendosi in realtà della mancata condivisione di prospettazioni difensive.
Evoca – come detto di per sé fuori contesto – il paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., rapportandolo tuttavia alla violazione degli artt. 37 e 30 DPR n. 600 del 1973 e delle norme in materia di prova indiziaria, senza evidenziare in cosa consisterebbe la violazione stessa.
NOME, in definitiva, ad un giudizio esclusivamente meritale, in contrasto con natura e limiti del giudizio di cassazione.
Non solo: l’affermazione che i contribuenti avrebbero offerto ‘prova piena della genesi e della natura del rapporto commerciale intercorso effettivamente producendo documentazione a riguardo’, è del tutto generica, priva di alcun richiamo documentale ed in ultima analisi meramente locutoria.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo (tenuto conto che il valore della controversia è indicato, a p. 22 ric., come indeterminato).
P.Q.M.
In riferimento alla posizione di COGNOME NOME,
-cassa senza rinvio la sentenza impugnata;
-compensa tra le parti le spese del grado d’appello;
-condanna COGNOME NOME a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 5.100, oltre spese prenotate a debito.
In riferimento alla posizione di COGNOME NOME in proprio e quale ex amministratore della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME Bruno e COGNOME NOMECOGNOME
-rigetta il ricorso;
-condanna i ricorrenti in solido a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 5.100, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 9 ottobre 2024.